Il pranzo biologico è servito

Un settore in espansione che dà lavoro a 15 mila a2iende agricole Un settore in espansione che dà lavoro a 15 mila a2iende agricole Il pranzo, biologico, è servito... Ricchissima la scelta di cibi naturali I pionieri cominciano ad avere i capelli brizzolati. Avevano iniziato negli Anni 70 con i primi prodotti: il riso integrale, i cereali da collezione, il miele... Allora sembravano tipi stravaganti: simpatici ma un po' fissati. Il tempo ba dimostrato che avevano ragione. Oggi molti di loro gestiscono «business» con fatturati di centinaia di milioni e anche di miliardi. E tutto questo senza aver venduto l'anima al diavolo. L'alimentazione biologica ha ormai acquisito una dimensione e una visibilità insperate: si sta inserendo stabilmente nelle abitudini di singoli e famiglie. E, soprattutto, continua a crescere. Secondo i dati della Bio Bank di Forlì, in Italia le superfici coltivate con metodi biologici si aggirano sui 95 mila ettari. Quelle in corso di «conversione» sono di oltre 180 mila ettari. Le Regioni più attive sono l'Emilia Romagna, la Toscana, la Puglia e la Sicilia. L'attività coinvolge più di 15 mila aziende agricole tra grandi e piccole. Il numero è praticamente triplicato dal '93 a oggiLa scelta del menu non pone più problemi. «Il nostro catalogo da solo propone oltre 500 prodotti biologici: riso, cereali, pasta, condimenti, latte da conservare, snack, marmellate, biscotti, succhi di frutta, piatti preparati», fa notare, ad esempio, Claudia Marini, direttore marketing della Fior di Loto, uno dei maggiori distributori italiani del settore. Non mancano le bevande alcoliche come la birra e il vino. E poi ci sono i prodotti freschi: le mozzarelle, il parmigiano, le caciotte, il latte fresco, gli yogurt. Per garantire l'approvvigionamento della frutta e della verdura che erano, fino a tempi recenti, un anello debole del sistema, i produttori del settore, localizzati soprattutto in Emilia Romagna e nel Veneto, si sono organizzati attraverso cooperative e organizzazioni specializzate che aiutano gli agricoltori a programmare la produzione, prelevano il prodotto, ricevono le ordinazioni, effettuano le consegne nei punti vendita specializzati con frequenza di una, due, tre volte alla settimana, a seconda delle distanze. Per le località più lontane queste organizzazioni spesso si alternano, coordinandosi in modo da non arrivare tutte nello stesso giorno e da garantire uno scaglionamento degli arrivi nell'arco della settimana. Il risultato è positivo per tutti: «Un tempo i prodotti freschi erano difficili da collocare e in cambio i prezzi erano alti. Oggi si riesce a farli arrivare presso il consumatore e la differenza rispetto ai prodotti convenzionali spesso non supera il 15/20 per cento» afferma Riccardo Cozzo, presidente di Bioagricoop, uno degli enti di certificazione del settore. L'intera catena che dai produttori porta ai consumatori si sta consolidando. Entro breve il mercato ortofrutticolo di Bolo¬ gna dovrebbe riservare un'area apposita ai prodotti della bioagricoltura. Intanto anche i negozi di alimentazione biologica sono usciti dalla clandestinità. Sempre secóndo Bio Bank se ne contano più di 800 in tutto il Paese. Sono situati soprattutto al Nord (in particolare la concentrazione più elevata si registra in Lombardia e nel Piemonte) ma anche in molte località del Centro. Maggiori difficoltà si trovano invece nel Sud dove in cambio si estendono le coltivazioni con consistenti investimenti, soprattutto in Sicilia, anche di operatori esteri. «Credo poi che siamo arrivati a un punto di svolta: molti negozi alimentari tradizionali si rendono conto che è nel loro interesse qualificarsi, se vogliono avere un futuro. E l'alimentazione biologica è un settore in crescita» fa notare Cozzo. Recentemente hanno iniziato a svilupparsi anche reti in franchising, alcune delle quali hanno superato la decina di negozi affiliati. Non solo, ma la grande distribuzione organizzata, in particolare Coop, Conad, Bilia cominciano a dedicare un'attenzione e talora spazi specifici agli alimenti biologici. Insomma «Biologico» non fa più rima con «esotico» e nemmeno con «marginale». Un contributo determinante in questa svolta è stato introdotto dalla certificazione dei prodotti. E' importante sottolineare questo aspetto anche perché rappresenta il punto di riferimento più immediato per i consumatori. La prima domanda, infatti, suona così: cosa è veramente «biologico»? Il principio di fondo sembra semplice: sono prodotti coltivati senza l'ausilio di sostanze artificiali. Inizialmente i fautori di questo principio venivano additati dagli esperti come seguaci di una religione settaria e superata. Sembrava una battaglia perduta in partenza. Si trattava di combattere contro la convinzione prevalente che l'agricoltura moderna fosse fatta da formule chimiche sempre più complesse da irrorare senza rimorsi. Più ne spargi e più diventano grossi, belli, colorati: le patate come la frutta, il grano o l'insalata... Da veicolare anche nel sistema digestivo di vitelli, polli e maiali e mucche per ottenere ingrassamenti che rubano l'occhio: chili al mese, litri al giorno, quintali per ettaro da citare con orgoglio in occasione di convegni e seminari economico-scientifici. La scommessa degli adepti dell'agricoltura biologica, pochi inizialmente, consisteva nella convinzione che alcuni consumatori, non tutti, avrebbero apprezzato un arresto di questa frenesia. E in effetti così è avvenuto. Ma non è stata una vittoria né facile né immediata... In questa direzione l'Italia è stata anticipata da altri Paesi, in particolare del Nord Europa. Le prime confezioni di cereali integrali, di biscotti senza conservanti, di marmellate finalmente prive di additivi dai nomi inquietanti venivano da h. Sembrava un fatto di cultura e anche un po' di moda. In questo contesto si è anche capito che la cosa a un certo punto andava controllata: al di là del packaging e delle etichette dichiaratamente «alternative» chi poteva garantire infatti che i prodotti fossero effettivamente naturali? E' entrato così in funzione il sistema un po' burocratico ma certamente utile della «certificazione» che consente a chiunque di capire, dall'etichetta, se i prodotti che compra corrispondono esattamente ai requisiti dell'appellativo «biologico». Attenzione, anche, a distinguere i prodotti rigorosamente «biologici» da quelli provenienti dalla cosiddetta agricoltura integrata, promossa, con appositi marchi, da un numero crescente di Consorzi e di Regioni! I procedimenti adottati, in questo caso, non escludono l'impiego di fertilizzanti e di antiparassitari. E' vero però che cercano almeno di limitarlo allo stretto necessario. Nella stessa direzione si vanno orientando, del resto, anche molte aziende alimentari, comprese le grandi multinazionali sia italiane che estere, che ora puntano a lanciare linee specifiche di prodotti cosiddetti «naturali» con un impiego ridotto di additivi e conservanti.

Persone citate: Bilia, Fior