Gerico le mura della pace di Maurizio Assalto

i sono tutti a bordo. Italiani e palestinesi insieme per salvare i tesori archeologici della West Bank: le scoperte della prima campagna di scavi Gerico, le mura della pace Un Eden conteso, ma non fu Giosuè a distruggerlo SL settimo giorno si levarono allo spuntare dell'alba e fecero sette volte il giro della città. Al settimo giro i sacerdoti suonarono fortemente le trombe e Giosuè disse al popolo: "Gridate, perché Jahve ha messo in vostro potere la città (...)". Quando il popolo ebbe udito il suono delle trombe ed ebbe levato un alto grido, le mura crollarono». Con ispirata semplicità, così la Bibbia (Giosuè 6, 15-20) sunteggia la presa della grande e potente città di Gerico da parte del condottiero successore di Mose che guidava gli ebrei verso la Terra Promessa. Più di 30 secoli dopo, sappiamo con certezza che Giosuè non ebbe parte alcuna nella distruzione della roccaforte che al popolo eletto schiudeva la via verso i fertili campi di Canaan: al tempo in cui la Bibbia colloca la conquista della Palestina (ultima parte del XIII secolo a. C.) Gerico non esisteva più da almeno 300 anni. Ma a questa consapevolezza, esito a sua volta di una battaglia ma lunga e complicata - in cui i sottintesi politici si sono intrecciati alle ragioni confessionali, si è giunti solo di recente. Le ultime prove sono state portate dalla missione italo-palestinese che ha concluso un mese fa la sua prima campagna di scavi, nell'ambito di un progetto di cooperazione quinquennale coordinato da Paolo Matthiae, lo scopritore di Ebla, e dal responsabile delle Antichità di Palestina Hamdan laha (ieri la presentazione, all'Università La Sapienza di Roma). Da quando tre anni fa è cominciata la restituzione della West Bank, l'Autorità palestinese si è ritrovata a gestire un patrimonio archeologico immenso, che dai tempi dell'occupazione militare israeliana (1967, guerra dei Sei giorni) era stato per forza di cose abbandonato all'incuria. Davvero non si è perso tempo. «Sono .già stati avviati circa settanta progetti per interventi di consolidamento e di restauro conservativo» conferma Nicolò Marchetti,, l'allievo di Matthiae che con Lorenzo Nigro dirige la missione di Gerico. «E dobbiamo dire che i palestinesi hanno fatto un lavoro molto serio, molto filologico. Per esempio impiegando malta impastata a mano anziché cemento» (come invece aveva fatto a Cnosso Arthur Evans, all'inizio del secolo, e come ancora avviene in molte zone del Medio Oriente, soprattutto nell'Iraq di Saddam). «Il nostro obiettivo», spiegano i responsabili della missione, «è portare alla luce i fondamenti e i caratteri della civiltà urbana siro-palestinese in una prospettiva storica corretta». E nell'intento, non secondario, di proporre agli appassionati una topografia chiaramente leggibile del sito, per favorirne lo sfruttamento turistico. «Già ora arrivano a Gerico una trentina di pullman ogni giorno - racconta Marchetti - soprattutto americani che si aggirano intonando "Joshua at the battle of Jericho..."». Intanto, si mira alla formazione di archeologi locali e alla sensibilizzazione degli abitanti. «I primi riscontri sono molto incoraggianti», dice Nigro. «Non passa giorno senza che giunga da qualche parte la segnalazione di nuovi ritrovamenti. Un giovane che ha lavorato con noi ha già aperto da qualche settimana il suo scavo». La recente campagna a Gerico ha rimesso ordine nel lavoro degli archeologi che si sono avvicendati sul sito, Teli es-Sultan, fin dal 1868. E ha avviato uno studio sistematico sul sistema di fortificazioni dell'età del bronzo, fra 2850 e 1550 a. C, il periodo di maggior fioritura dell'insediamento (sebbene già nell'8500 un'enorme torre di pietra, portata alla luce negli Anni 50 dalla britannica Kathleen M. Kenyon, stesse a indicare uno sviluppo e un'articolazione sociale privi di precedenti nel periodo neolitico). Sul versante meridionale del teli è venuto alla luce l'angolo interno della città del ni millennio, con tracce di un edificio devastato da un violento incendio. Lungo il lato occidentale è stato scavato un ripido terrapieno di calcare pressato, risalente al 18001650, sulla cui sommità si sono identificati i resti delle mura, spesse 6 metri, fatte di mattoni di argilla cruda. Un altro tratto di mura, composte da blocchi di pietra pesanti fino a due tonnellate, su cui poggiavano i terrapieni più recenti (1650-1550), è stato messo in luce sul lato Sud. Secondo i calcoli della Kenyon, che aveva individuato un angolo costante di 35-37 gradi, l'intera struttura doveva raggiungere un'altezza di 18 metri. E proprio il ricordo di queste mura, che all'epoca del redattore biblico (VI secolo a. C.) permanevano come un impressionante campo di rovine, deve essere all'origine del racconto nel libro di Giosuè. Intorno al 1550 Gerico venne distrutta, probabilmente dalle armate egiziane di lutinosi III che incalzando gli Hiksos stavano annettendosi tutta la Palestina, e solo nei secoli successivi tornò a vivere, più in basso, come un modesto accampamento. Nel 1200 non c'erano mura da far crollare. Una menzogna del libro sacro, nel tentativo post-esilico di ricostruire una cronologia e un'identità nazionale ebraica? Don Gianantonio Borgonovo, direttore della rivista di archeologia scritturale Il mondo della Bibbia, non si scompone: «Solo i fondamentalisti prendono le Scritture alla lettera, come una storia documentaria. In realtà si tratta di testi che conservano alcune memorie storiche, ma molto confuse e appiattite cronologicamente. Intorno alla figura di Giosuè deve essersi condensato il ricordo di un processo più lungo, passato attraverso fasi di conflitto e di pace. Oltretutto, è indicativo che nella Bibbia Gerico sia strettamente connessa alla misteriosa città di Ai, che in aramaico significa "rovine"». La rettifica non ha un valore puramente storico. Golda Meir diceva che basta piantare un piccone in qualsiasi punto di Israele per trovare tracce della presenza ebraica; l'evidenza archeologica indica che non è (soltanto) così. Con tracce di insediamento che risalgono fino al 10 mila a. C, Gerico è stata teatro di vicende spesso conflittuali che vanno molto al di là della stessa remota antichità biblica. Una ricerca archeologica seria può contrastare gli opposti tentativi che dai tempi greci e romani (come è documentato in un ottimo studio di Alessandra Coppola, Archaiologia e propaganda, uscito di recente dall'Erma di Bretschneider) non ha smesso di alimentare le strumentalizzazioni del passato in funzione del presente. X5n'artière-pensée del genere, per esempio, può avere accompagnato, quattro anni fa, il ritrovamento a Tel Dan, presso il confine di Israele con il Libano, di una stele del IX se¬ colo a. C. su cui è inciso il nome del re David (unica conferma documentale del racconto biblico), della quale però un autorevole epigrafista come l'italiano Giovanni Garbini ha sostenuto l'inautenticità. Ma nelle Scritture la suggestione dell'antichissima città dalle ciclopiche mura non agisce soltanto sul piano della ricostruzione pseudostorica. All'oasi di Ain es-Sultan, sul cui margine nord-occidentale è dislocata Gerico, la Bibbia fa riferimento 101 volte, alludendo alla fonte di Eliseo, con una scelta lessicale strettamente imparentata alle descrizioni del paradiso terrestre. Ancora oggi il contrasto con il paesaggio lunare che si stende a Oriente, con il deserto roccioso segnato dagli wadi, non potrebbe essere più stridente. «Palme da dattero, alberi di sandalo, albicocchi, aranci, pompelmi, nespoli», racconta estasiato Marchetti. «E poi fiori: buganvillee a fasci fittissimi, glicini, gelsomini dal profumo inebriante. E cicogne, aironi, upupe, rondoni, perfino una sorta di colibrì. Ricordo che quando siamo arrivati, all'inizio di aprile, abbiamo trovato il terreno ricoperto di bruchi; due settimane dopo siamo stati investiti da milioni di farfalle multicolori, che si spostavano a ondate». Un incanto naturale e la cognizione di una immemorabile antichità, di un processo lunghissimo che sottrae questa accidentata parte del mondo alle contrastanti pretese restituendola alla continuità della storia umana: sono le esperienze fondamentali che accompagnano la visita di Gerico e lo studio del suo passato. Le mura possenti che riaffiorano alle soglie del Duemila, e che non servirono a proteggere la città dagli antichi assalitori, con la loro muta testimonianza sapranno perorare la pace di domani? Maurizio Assalto All'epoca del racconto biblico, la ricchissima città non esisteva più da almeno tre secoli Le mura del 1600 a. C. e a destra la presa di Gerico in un'incisione di Dorè. In alto Nicolò Marchetti (a sinistra) e Lorenzo Nigro