Amsterdam battezza la «piccola Europa»

Amsterdam battezza la «piccola Europa» SFILATA DEI LEADER IN BICI (PRIMO BLAIR. ULTIMO PRODI): FUORI PROGRAMMA AL VERTICE Amsterdam battezza la «piccola Europa» Maastricht 2: cadono molte speranze nate 15 mesi fa a Torino AMSTERDAM DAL NOSTRO INVIATO Una nuova Europa sta nascendo qui ad Amsterdam, ma è un'Europa ben più «piccola» di quella che si era immaginata a Torino, quindici mesi fa, quando dentro la cupola di vetro del Lingotto è partito il processo di revisione del trattato di Maastricht insieme alla volontà di spingere sul processo di integrazione tra i quindici paesi che aderiscono all'Unione. Non solo moneta, ma anche lavoro (e su questo capitolo si è fatto un passo avanti lunedì), politica; politica economica, politica estera, diritti civili e giuridici condivisi in uno spazio geografico che superi i confini dei vecchi stati. Istituzioni nuove in grado di reggere la sfida dell'allargamento futuro ai paesi dell'est. In una «notte dei lunghi coltelli», come aveva previsto il ministro degli Esteri tedesco Klaus Kinkel, s'è invece affermata un'Europa al di sotto delle ambizioni, con luci e ombre, come la «Ronda di notte» di Rembrandt che lunedì sera ha fatto da sfondo alla cena di gala nei saloni del museo reale. All'una di notte s'è evitato uno stallo che stava mettendo in forse la riforma del trattato e s'è deciso di rinviare al momento dell'allargamento la revisione della «ponderazione» dei voti, cioè di quanto deve «pesare» ciascun paese nella sede decisionale comunitaria. Era forse la riforma più politica. Non s'è fatta e l'Europa, per paradosso, è oggi meno unita di prima. Anche il diritto alla libera circolazione dei cittadini (secondo l'accordo di Schengen, nel quale sarà presto ammessa anche l'Italia) e la soppressione delle frontiere interne ai paesi Ue, scatterà soltanto cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato. A quell'epoca ci sarà anche un unico visto europeo per gli extra comunitari: entrati in Italia (Europa) a Palermo, si potrà viaggiare fino a Hel¬ sinki senza più controlli del passaporto. Dall'intesa si sono chiamati fuori Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca perchè intendono continuare a controllare le loro frontiere. Uno «strappo» nella costruzione comunitaria, non l'unico. Per esempio anche sulla politica di difesa il neo governo laburista di Tony Blair ha dimostrato di non essersi discostato in nulla da quello conservatore di John Major. Si va verso una dissoluzione nella Ue dell'Ueo, l'Unione dell'Europa occidentale, unico organismo di difesa dell'Unione. Ma Blair si è risolutamente opposto all'«integrazione» sostenendo che, in questo campo, non va compromesso o duplicato un organismo che «funziona come la Nato». Una posizione sostenuta anche dai paesi neutrali, come Irlanda, Austria, Svezia e Finlandia. Altro capitolo rinviato. E pure la politica estera, a cui soprattutto Chirac e Kohl (ma anche l'Italia) avrebbero voluto dare quella forte identità europea drammaticamente mancata in una crisi terribile come quella jugoslava, esce ridimensionata rispetto alle ambizioni. Non ci sarà un vero ministro degli Esteri d'Europa, ma il ruolo sarà affidato al segretario generale del Consiglio dei ministri dell'Unione. Un burocrate, altissimo, ma pur sempre un burocrate che è cosa ben diversa da un «ministro». A proposito di lavoro, dopo l'intesa di lunedì per un protocollo da affiancare al «patto di stabilità» dell'euro, ieri c'è stata l'intesa sul capitolo di strategie nella lotta alla disoccupazione. Con questo nuovo capitolo nel trattato si assegna all'Unione europea l'obbiettivo di conseguire il più elevato liVello di occupazione. Ma l'intesa è stata raggiunta solo dopo che la Germania ha accettato il principio del voto a maggioranza qualificata sui progetti pilota che saranno varaI ti per promuovere il lavoro. Bonn (sostenuta da Spagna e Gran Bretagna e cioè da un governo conservatore e da quello di Blair) ha però voluto un protocollo aggiuntivo in cui si precisasse che le misure di lotta alla disoccupazione dovranno essere finanziate da fondi comunitari già esistenti, senza nuovi finanziamenti nazionali. Ma è sulla riforma delle istituzioni comunitarie che la battaglia notturna è stata al coltello. Era questo d'altra parte il vero banco di prova per i Quindici, di quale misura fossero disponibili a cedere prerogative nazionali in favore della dimensione comunitaria. Riforma significava estendere le questioni su cui l'Unione può decidere a maggioranza e non all'unanimità (come accade ora con una pratica che consegna anche ai piccoli un effettivo potere di veto). Significava decidere il numero dei commissari e il peso con cui valutare il voto di ciascuno. Una strenua battaglia di piccoli contro grandi, con una violenta litigata tra il premier socialista olandese Wim Kok (presidente di turno dell'Unione) e il primo ministro democristiano del Belgio Jean Lue Dehaene. Kok aveva proposto una «riponderazione» dei voti assegnandone dodici al suo paese e solo dieci al Belgio. Se ne riparlerà. Chissà quando. Cesare Martinetti Un gruppo di vigili urbani del comune di Amsterdam controlla «a vista» le biciclette che poco dopo i leader europei utilizzeranno per trasferirsi dalla sala del vertice al pranzo Romano Prodi in un atteggiamento per lui normale: a cavalcioni della bicicletta Ma ad Amsterdam il premier italiano è arrivato ultimo fra i leader nella singolare «competizione» Il primo ministro francese Jospin sotto lo sguardo vigile della polizia olandese e della scorta francese sembra a suo agio a cavallo della bicicletta. E' arrivato a metà gruppo Felice per essere arrivato primo fra i leader in «gara» ecco il premier britannico Tony Blair che precede il collega spagnolo Jose Aznar sotto lo sguardo vigile del Cancelliere tedesco Kohl che invece non ha voluto la bicicletta