VATTIMO-COLLETTI. Uno sparo sulla cultura di Maurizio Assalto

Il delitto di Roma, nel tempio del sapere: gli studi umanistici non servono a formare una coscienza morale? Il delitto di Roma, nel tempio del sapere: gli studi umanistici non servono a formare una coscienza morale? VATTIMO-COLLETTI Uno sparo sulla cultura A un mese e qualche giorno dalla morte di Marta Russo, la (provvisoria) soluzione del giallo solleva inquietudini ancora più tormentose di quelle che avevano agitato le no stre coscienze nelle lunghe setti mane in cui le indagini parevano senza sbocchi. Una ragazza cade colpita da uno sparo mentre passeggia nel vialetto interno di una università, La Sapienza di Roma, e dopo lo sbigottimento, il dolore, la rabbia, dopo i funerali con contorno di autorità e di studenti in lacrime, dopo il mesto omaggio di una laurea post mortem, si scopre che di quel delitto molti, troppi sapevano e non parlavano. Un direttore d'istituto, un assistente (l'autore materiale), un altro assistente, un'impiegata, un usciere. E poi chissà. Tutti appartenenti alla facoltà di Giurisprudenza, e per di più a un istituto come quello di Filosofia del diritto. Possibile che proprio in un ambiente come questo sia maturato un delitto così apparentemente gratuito? Possibile che dal grembo della cultura, storicamente definitasi in opposizione alle dinamiche indifferenti della natura, per affermare i diritti e il valore dell'umanità, riemerga folgorante come uno sparo la pulsione distruttiva, un'esplosione subitanea di violenza? Lo abbiamo chiesto a Gianni Vattimo e Lucio Colletti, quest'ultimo a lungo docente proprio alla Sapienza, prima di diventare senatore nelle Uste di Forza Italia. Qual è la prima reazione di due uomini di cultura, di due filosofi, di fronte alla scoperta che c'è del marcio nel tempio della cultura umanistica? COLLETTI: «Per sorprendersi bisognerebbe avere ancora illusioni che è impossibile avere, ormai da qualche decennio. Un istituto di filosofia è null'altro che un quartiere della società attuale...». VATTIMO: «... che rispecchia abbastanza la media statistica della delittuosità sociale generale. Però è vero che ci si stupisce un po'. Anche se temo che agisca qui il senso dell'appartenenza, nonostante tutto, a una specie di corporazione separata. Nelle reazioni degli altri professori dell'istituto, e al limite anche nella scelta di coprire in qualche modo i responsabili, c'era forse proprio questo: il tentativo di sfuggire a un'eventualità così strana, che uno di noi avesse potuto fare una cosa del genere». COLLETTI: «Sì, capisco. Però è anche vero che un istituto di filosofia, forse, è un luogo privilegiato per un delitto gratuito. Siamo probabilmente in quella terra di nessuno dell'adolescenza molto protratta, come avviene per lo più nelle aule universitarie. Con un superomismo in sessantaquattresimo, che forse subisce anche l'influenza di qualche film, come quella scena di Schindler's List, recentemente rivisto in tv, dove un ufficiale nazista gratuitamente prende di mira i passanti e li secca con il fucile». Ma si ha qualche idea sugli orientamenti politico-filosofici delle persone coinvolte in questa vicenda? COLLETTI: «Alcuni mesi fa, per puro caso, appresi che alla Sapienza un professore di Filosofia del diritto - di cui allora non trattenni il nome, ma che mi è tornato alla mente in questi giorni, Bruno Romano (il direttore dell'istituto di Fi- losofia del diritto a Giurisprudenza, arrestato nei giorni scorsi per favoreggiamento, ndr) - insegnava la sua materia con i testi di Heidegger e di Lacan. La cosa mi colpì molto, perché credo che in Heidegger sia difficile trovare anche un paio di righe sul diritto». VATTIMO: «Veramente, sarebbe difficile trovare in Heidegger un'apologia così diretta dell'assassinio gratuito...». COLLETTI: «No, non intendevo questo. Però credo che anche tu sia d'accordo sul fatto che in Heidegger non ci sono neppure i rudimenti di una filosofia del diritto». VATTIMO: «Questo sì, è vero: è un'impostazione un po' bizzarra. E come potesse entrarci Lacan, per me è ancora più misterioso». Heidegger e Lacan mandanti del delitto Russo? E' solo una battuta, ovviamente. Resta il senso di disagio, perché da un milieu umanistico, e soprattutto dallo studio della filosofia, e della filosofìa del diritto in particolare, ci si attenderebbe, se non altro, una forma mentale modellata dalla morale socratica, dall'imperativo categorico, dall'idea del valore della vita umana. VATTIMO: «Confesso che riflettendo su questa vicenda mi domandavo anch'io se aveva senso aspettarsi che la frequentazione di una certa tradizione testuale come quella dei testi filosofici, o comunque in generale della cultura accademica umanistica - che si chiama così anche perché ha da fare con ì'humanitas -, non dovesse in qualche modo contribuire a una formazione etica. Ma sono domande legate a una concezione della filosofia come sapienza di vita che non sempre ac¬ compagna la disciplina quale si esercita nelle università. Una filosofia molto specialistica, come le altre materie tecnico-scientifiche, non credo possa dire molto sulla moralità. Io stesso, quando mi domando come si potrebbe fornire un'educazione morale nelle scuole, in fondo non penso di far leggere dei trattati di etica, ma piuttosto dei buoni romanzi, buoni testi come quelli su cui mi sono formato. Però poi mi rendo anche conto che l'educazione conseguente a queste frequentazioni è più simile alle buone maniere che non a un allenamento alla virtù in senso stretto. Cioè, insomma, si può aver letto per tutta la vita Aristotele e poi sparare dalla finestra». COLLETTI: «Certo. E c'è da dire che un istituto di filosofia oggi è come dire - un luogo di lavoro meno assillante e impegnativo di quanto fosse un'università tedesca nel 1890. E allora, oltre alle influenze interne all'istituto, che io non sopravvaluterei, bisogna tener conto dell'impatto generato da una società che è certamente permeata di aggressività e che instilla l'idea anche di una violenza gratuita co¬ me esercizio di protagonismo, come mezzo per realizzarsi». VATTIMO: «Si potrebbe anche pensare a una affinità tra questo assistente ipoteticamente colpevole e i soldati in Somalia: la stessa mitologia dell'affermarsi, di far valere la propria forza». COLLETTI: «E anche un divertissement proprio nel senso pascaliano, cioè un modo di distrarsi da pensieri più gravi». VATTIMO: «E la retorica della trasgressione. Che per tante ragioni non mi è aliena, però, sai, a forza di trasgredire alla fine si può trasgredire anche il valore della vita. Però c'è un'altra considerazione: il relativo minor grado di violenza che noi crediamo ci sia nei nostri ambienti forse dipende anche da una certa marginante della professione. Un commerciarne il cui concorrente tiene il banco lì vicino a lui al mercato ha più impulsi a sparargli di quanto non accada a noi in un concorso accademico». COLLETTI: «Beh, se è per questo ha anche più cose a cui pensare, capisci... Se ha un concorrente al mercato penserà a qualche espediente, quindi sarà occupato dal suo mestiere più di quanto possa esserlo un aspirante ricercatore». VATTIMO: «Ma io voglio dire che in fondo nel nostro mestiere c'è ancora una certa separazione tra ciò che si fa e ciò che si guadagna: nel senso che se insegniamo delle sciocchezze continuano a pagarci ugualmente. Tutto ciò rende meno teso, ma anche più marginale sociologicamente, il nostro mondo. Tra due commercianti di droga è più facile che si venga ai coltelli; tra due venditori di libri di filosofia, bali...». Ma alla Sapienza è accaduto. E qualcuno ha detto che quel giorno non è morta soltanto Marta Russo: nel tempio del sapere, è morta la cultura stessa. Con tutto il carico di aspettative e forse di illusioni che noi vi annettiamo. COLLETTI: «Queste considerazioni, se permettete, mi sembrano un po' intonate a una vecchia pedagogia, come se l'università e la scuola fossero al pari della Chiesa il tabernacolo dei valori. Ormai, non dirò nella Chiesa, ma certamente nella scuola l'incontro con i valori è molto dubbio. E' un sistema educativo dal ritmo fiacco, che risente del generale sfascio dell'università prodottosi negli ultimi 20-25 anni»;. VATTIMO: «Ma della scuola come tempio dei valori noi abbiamo bisogno di mantenere vivo l'ideale». COLLETTI: «Sono d'accordo. Però bisogna allora ricostruire il tempio, perché si trova da molto tempo gravemente lesionato, addirittura a tratti alluvionato». VATTIMO: «Sì, è un'istituzione a cui non si nega il suo compito, ma che lo fa molto male. Che davvero sia morta la cultura, no, non direi: è che la scuola non funziona più tanto bene». COLLETTI: «Caro Vattimo, tu usi espressioni molto tenui e moderate...». VATTIMO (congedandosi): «Caro Colletti, se frequenti ancora La Sapienza stai attento...». COLLETTI: «No, non la frequento più. Adesso sto in un luogo che in certo senso è pure peggiore. Sono passato dalla padella nella brace». VATTIMO: «Auguri». Maurizio Assalto A un mese e qualche giorno dalla morte di Marta Russo, la (provvisoria) soluzione del giallo solleva inquietudini ancora più tormentose senso che se insegniamo delle sciocchezze continuano a pagarci ugualmente. Tutto ciò rende meno teso, ma anche più marginale sociologicamente il nostro mondo

Luoghi citati: Roma, Somalia