«Privatizzare ora si può» di Ugo Bertone
«Privatizzare ora si può» «Privatizzare ora si può» «Troverò partner anche stranieri» IMTEDlflCTA ■INI T KK V191A UN PROFESSORE IN«< » PROFESSORE, ma quando l'ha saputo? «Mi hanno telefonato ieri mattina». Sorpreso? «Sorpreso dal comunicato del Tesoro. Contavo in un'ultima domenica di tranquillità, ma capisco. In ballo ci sono società quotate, gli interessi del mercato. Cose che vanno rispettate». Ma chi lo conosce non ha dubbi: non basta la prossima nomina a presidente dell'Ili per turbare i sonni di Gian Maria Gros Pietro, classe 1942, torinese, uno dei pochi esperti di economia industriale italiani di fama internazionale. Lassù a Murisengo, nel cuore delle colline del Monferrato, del resto, l'eco delle battaglie che lo attendono in via Veneto arriva molto attutita. Il mandato di Ciampi è esplicito, professore: privatizzare e liquidare... «Ed è un mandato che mi trova perfettamente d'accordo. Sia ben chiaro, la decisione di procedere con l'obiettivo della chiusura dell'Ili non vuol essere un segnale di sfiducia verso gli uomini o la loro professionalità». Eppure fa un certo effetto parlare di chiusura. In molti hanno parlato di un bagaglio culturale da difendere, di missioni nuove per Tiri. Il Mezzogiorno, magari... «Allora, parliamoci chiaro. Le organizzazioni hanno una propria cultura. Si tratta, anzi, di sistemi complessi, quasi dei mosaici composti da singoli pezzi, gli uomini che finiscono con il manifestare una certa cultura. Gli uomini, ovvero i singoli pezzi, possono venir utilizzati, se validi, altrove, anche in un contesto diverso. Ma per la cultura è diverso». E cioè? «O si trova una missione affine oppure quel sistema non serve più». Ma si era parlato di un Iri votato al Sud. Perché no? «Perché una missione al servizio delle sviluppo delle piccole medie imprese nel Mezzogiorno è esattamente agli antipodi della cultura aziendale dell Iri». A legger la composizione del nuovo consiglio, professore, non si ha la sensazione di un istituto alla vigilia della sua fine. Lei, Patrizio Bianchi, gente che sa d'industria più che di liquidazioni... «Ma per fortuna l'Ili non è nelle condizioni dell'Efim. Qui occorre privatizzare e, nella maggior parte dei casi, si tratta di cose che si possono privatizzare solo dopo determinate operazioni». Ovvero? «Sono cose che difficihnente possono venir collocate sul mercato così come sono. Certo, c'è la Stet, un'utility di prima grandezza. Anche per le Autostrade si manifesta un certo interesse da parte di più privati. Ma non posso mica pensare a collocare Alitalia in Borsa così com'è. Per la compagnia, così come per Finmeccanica, occorre un certo lavoro preliminare. E' evidente che occorrono alleanze, e non bastano semplici operazioni finanziarie. Devono essere alleanze con controparti interessate ad un futuro privato. E sia chiaro, i tre anni del nostro mandato per collocare tutta quella roba non sono certo sovrabbondanti». Di sicuro, non vi potrete limitare a partner italiani... «Sicuramente no! Del resto, non credo sia possibile trovare un alleato adeguato per Alitalia tra le compagnie italiane». Anche lei sembra destinato a finire nella schiera dei nuovi Mattei, come li chiama Franco Debenedetti. Gente, come Tato e Bernabò, troppo brava a far marciare le aziende per privatizzare... «Non credo proprio, almeno per quel che mi riguarda. Io ho sempre fatto del mio meglio, per le privatizzazioni, nel comitato del Tesoro. Eppoi già dieci anni fa io e Zanetti ci siamo presi un rimprovero dal capo ufficio studi di Banca d'Italia per aver spinto per le privatizzazioni». Ma per la prima volta, dopo tante emergenze finanziarie, va al potere la politica industriale, la grande Cenerentola di questo Paese... «Beh, sì. Diciamo che il momento è il più propizio da tanti anni a questa parte per aspirare a qualche risultato. Questo per quanto riguarda le privatizzazioni che non riguardano solo Tiri. Ma anche l'Eni e l'Enel. Siamo fortunati, penso che ora sia possibile privatizzare con un certo criterio». Può esser l'occasione, ad esempio, per far crescere qualche medio gruppo industriale? «Sì, è un momento favorevole che va sfruttato. A nostro vantaggio c'è l'eccezionale effervescenza dei piccoli che, anzi, ormai non sono più piccoli. Ma bisogna sapersi muovere con giu¬ dizio». Quali sono i problemi più grossi? «Il fatto che le privatizzazioni devono rispondere a molti obiettivi. Primo, far cassa; perciò garantendo i maggiori introiti allo Stato. Secondo, contribuire allo sviluppo del mercato azionario; perciò favorendo i compratori. Terzo, contribuire alla maggior efficacia del sistema, permettendo così la creazione di noccioli duri per il comando. Quarto, stimolare l'apertura delle imprese all'estero, dopo ima gestione prevalentemente domestica». C'è di che perder la testa... «E non basta. Non dimentichiamo la fattibilità politica, le indicazioni in arrivo dal Parlamento. Siamo noi cittadini ad aver scelto le Camere, è nostro compito rifletterne le indicazioni politiche. E in questo momento ci sono pareri diversi rispetto agli investitori stranieri». La golden share, ad esempio... «Già, è un ottimo strumento per favorire il transito dall'economia di Stato al mercato. Ma in Gran Bretagna venne introdotta quando Londra era già la seconda piazza azionaria mondiale e non c'erano problemi di assorbimento dell'offerta. In Italia la situazione è diversa, ci sono grossi problemi di fattibilità politica». Non ha fiducia nel mercato? «Tutt'altro. Ma, un economista industriale non crede alla logica dei mercati perfetti. Semmai, pensa che occorra l'Antitrust, le authorities e tutto quanto serve per migliorare il mercato». Ugo Bertone «L'ente non è un carrozzone L'Alitalia così com'è oggi non può essere quotata in Borsa Per Finmeccanica ci vuole tempo» Gian Maria Gros-Pietro, nuovo presidente Iri
Persone citate: Bernabò, Ciampi, Franco Debenedetti, Gian Maria Gros Pietro, Gian Maria Gros-pietro, Mattei, Patrizio Bianchi, Zanetti
Luoghi citati: Gran Bretagna, Italia, Londra, Monferrato, Murisengo, Quarto
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