IL GIUDIZIO di Edmondo Berselli

IL DALLA PRIMA PAGINA IL GIUDIZIO di democrazia diretta esistente nel nostro ordinamento. E' difficile sostenere un'opinione del genere. Perché in essa è implicita la convinzione che tutta la classe politica, senza troppe distinzioni di schieramento, tende a bloccare la situazione ordinamentale e legislativa opponendosi a qualsiasi cambiamento. Se questo fosse vero, significherebbe che tutto il processo di trasformazione della politica italiana (cominciato proprio con il referendum sulla preferenza unica nel 1991) è stato sostanzialmente inutile. Se si ammettesse che il sistema politico non si è autoriformato adeguatamente, anzi, che siamo in presenza di una controriforma partitocratica, l'offensiva referendaria nei termini in cui la sostiene Palmella sarebbe più che giustificata. In realtà abbiamo davanti a noi un sistema certamente incompleto, e ancora suscettibile di ampie razionalizzazioni, ma che è riuscito a esprimere prima una maggioranza e un governo di centrodestra e poi una maggioranza e un governo di centrosinistra. Questo per dire che faticosamente la formula funziona. Inoltre, con tutti i limiti che si possono attribuire all'esecutivo Prodi, bisogna considerare che in questo momento in Italia c'è un governo che sta applicando un programma politico. I referendum di ieri non contemplavano dilemmi di civiltà, bensì questioni tecniche che qualsiasi governo è in grado di risolvere facilmente. Se il governo in carica non le risolve, vuol dire che non figurano nella sua agenda di priorità. Di qui a pensare che invece siamo in presenza di un oscuro complotto del ceto politico per togliere la voce al popolo sovrano, ne corre. Si potrebbe piuttosto mettere a fuoco un aspetto più propriamente politico. Risulta infatti evidente che rispetto a questo appuntamento referendario, al di là delle sfumature specifiche e delle scelte sui singoli quesiti, c'era un atteggiamento di esplicita simpatia da parte del Polo e di tendenziale ostilità da parte del centrosinistra (con ogni presa di posizione che intensificava automaticamente quella sul fronte opposto). Quindi i referendum di fatto si erano politicizzati: impropriamente, come succede in questi casi, ma si erano colorati di politica. E se ci fosse stata una partecipazione corale e liberatoria dei cittadini, sicuramente ne sarebbero state tratte conclusioni politiche. Ora invece la situazione torna alla casella in cui eravamo prima. Con una sottolineatura negativa, tuttavia. Vale a dire che il popolo è stato interpellato e il popolo stesso si è rifiutato di rispondere. Questo significherà pure qualche cosa. Non è il caso di credere a chi, fin da oggi, sosterrà che si è trattato di una congiura della disinformazione gestita dall'establishment: realisticamente converrà riconoscere che è stato un errore usare impropriamente i referendum, prima come arma totale di liberalizzazione e poi come presunta mobilitazione democratica contro l'arroganza del potere consolidato. Forse è vero che i referendum escono ridimensionati da questa prova. Tuttavia non muore l'istituto del referendum e non muore la democrazia. I referendum erano stati ridimensionati anche nel 1990, con il quorum mancato sulla caccia e sui pesticidi. Ma ridimensionati, per l'appunto, significa ricondotti alla loro dimensione: che è quella della scelta fra grandi alternative «etiche», che non possono essere mediate dai partiti politici né essere decise dai governi. Altrimenti, come si è visto, i cittadini votano, cioè esprimono un giudizio anche non votando. E allora, a proposito dell'astensionismo di ieri, si dirà ancora una volta che il popolo si è sbagliato, che è stato malamente imbrogliato, insomma, che non è stato in grado di decidere come invece doveva? Edmondo Berselli

Persone citate: Prodi

Luoghi citati: Italia