«Abbiamo sconfitto il muro di omertà» di Francesco La Licata
Il prof. Lipari Il questore: è uno dei casi più difficili mai affrontati. e la lista degli indagati può allungarsi ancora «Abbiamo sconfitto il muro di omertà» Ma sul movente ci sono tante ipotesi e nessuna certezza ROMA. A sentire loro, quelli che per un mese si sono rotti la testa contro il muro che occultava la verità sulla tragica morte di Marta Russo - eroina suo malgrado - e impediva di comprendere come si possa morire passeggiando per i viali dell'Università di una grande capitale moderna, a sentire loro, la vera «vittoria» conseguita dalla «taskforce» investigativa è quella di aver «sconfitto l'omertà». Le parole sono di Rino Monaco, questore di Roma, che le ha pronunciate durante la conferenza stampa per l'arresto dei tre giovani (tutti dell'ambiente accademico). Ha precisato, Monaco, chiamando quasi a conforto la presenza dei giudici Italo Ormanni e Carlo La Speranza: «E' stato uno dei casi più difficili in cui ci siamo imbattuti, perché abbiamo dovuto sconfiggere un vero e proprio muro di omertà». E fa impressione sentir parlare il questore, uomo di grande esperienza e di sperimentata attitudine all'azione di contrasto alla criminalità organizzata. A sentirgli fare quel commento, perciò, il pensiero corre alla bande mafiose siciliane, agli specialisti dei sequestri di persona, ai taglieggiatoli. E invece il questore sta descrivendo le difficoltà di una inchiesta che ha come palcoscenico una fetta del mondo accademico. I protagonisti di questa «congiura del silenzio» - ancora non del tutto smascherata, neppure dopo gli arresti di ieri non sono uomini e donne allevati col latte della mafia. No, stiamo parlando di intellettuali, gente che si è fatta sui libri, che nulla dovrebbe sapere o cercare di armi e violenza, avendo trascorso gran parte della vita a studiare e studiare argomenti tosti come la filosofia del diritto. Il quadro offerto dalla conferenza stampa - al contrario andrebbe bene per illustrare ben altri successi. Ammesso che la vicenda sia «ormai chiusa», perché chiarita in tutti i particolari. Ma non sembra così. L'impressione è che il.grò- viglio che avvolge le complicità - queste sì, sembrano ormai fuori dubbio - tra filosofi del diritto con la passione per le armi, sia ancora tutto da dipanare. Certo, in un mese di ostinato lavoro investigativo di strada se ne è fatta tanta. Ma la luce dell'uscita del tunnel si intravede soltanto. Le dichiarazioni dei magistrati vanno in questo senso. Dice La Speranza che le modalità dello spatp.«non sono compatibili con un incidente», che tradotto - vuol dire che l'assassino voleva uccidere. Dice Ormanni che «bisogna rendere omaggio al coraggio della testimone Maria Chiara Lipari», la¬ sciando intendere di aver nutrito sospetti sui due ricercatori (Ferraro e Scattone) sin da subito, e di non aver agito per prudenza e per non giocare immediatamente tutte le carte. Insieme, i due magistrati, aggiungono che «le indagini continuano e si stanno cercando ulteriori responsabilità». «Per il momento - è la conclusione degli investigatori - né la pistola né il bossolo sono stati trovati. Scattone non ha il porto d'armi, mentre uno c'è nella famiglia di Ferraro, e i due sono molto amici». Già, la pistola. Manca l'arma del delitto e - a un mese dal fatto - sarà difficile ritrovarla. Tranne che qualcuno confessi e la faccia ritrovare. I «silenzi» della Facoltà? Quelli, insieme con la tragica morte di Marta, sono una delle poche cose certe dell'inchiesta. Silenzi e coperture. Cosa si vuole occultare? Se c'è qualcosa da coprire, vuol dire che in quell'ambiente è maturato il delitto, incidente, fatalità o puro gesto criminale che sia. Ma c'è ancora un bel pezzo di muro d'omertà da abbattere. Malgrado l'esistenza di verbali che puntano il dito sul ricercatore Giovanni Scattone. Manca, infatti, un altro bel pezzo perché la storia possa diventare processo. Manca il movente. E manca la spiegazione di un atteggiamento come quel¬ lo del prof. Romano, accusato di aver offerto coperture all'assassino. E anche in questo caso, se non c'è una testimonianza precisa, una confessione, sarà difficile polverizzare il «muro». Basterà la sicurezza ostentata da investigatori e magistrati? Basterà il senso di colpa per una vicenda che, da qualunque parte la prendi, si ritorce ferocemente contro il buon nome di un ambiente passato alla cronaca come una sorta di nido di vipere, velenose tanto da dare la morte ad una ragazza innocente e omertose più di killer della mafia? Francesco La Licata Né la pistola né il bossolo sono stati trovati Il questore di Roma, Monaco (a sinistra) e il pm La Speranza spiegano l'indagine
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