La battaglia di Djamel e Metali «Non siamo terroristi di Allah»

l'Aids conclamato» LA STORIA Un imam e un inserviente algerini al centro di un intrigo internazionale tra Italia, Francia e Marocco La battaglia di Djamel e Metali «Non siamo terroristi di Allah» JAMEL Lounici è un pezzo d'uomo solitamente da un quintale di peso per un metro e 90 di altezza. L'altro ieri, venerdì, nel giorno che ogni buon musulmano deve consacrare ad Allah e al suo Profeta, lui aveva da poco rifiutato la flebo del trattamento sanitario obbligatorio che volevano somministrargli i medici del reparto Psichiatria dell'ospedale Niguarda di Milano, dov'è detenuto sotto stretta sorveglianza, quando sono arrivati la giovane moglie Zahida, 22 anni, con il suocero Ofman Deramchi che di Lounici ha condiviso un anno di carcere. «Oggi sono esattamente due mesi che non tocchi cibo», lo hanno implorato. «Ormai rischi la morte. Che senso ha morire proprio quando la tua lotta non commuove più solo i nostri fratelli musulmani immigrati, ma comincia a interessare molti italiani?». Quel grosso mucchio di pelle e ossa si è lasciato allora piegare dall'amore disperato dei familiari, concedendo loro una sospensione del digiuno in attesa che possano verificarsi eventi giudiziari a lui favorevoli. «Altrimenti sarà sciopero della sete», ha minacciato. Metali Abder è tutto il contrario di Lounici. Mingherlino, il suo viso dagli zigomi ormai sporgenti come quelli di un teschio affonda nel cuscino del reparto detenuti dell'ospedale Molinette, a Torino. Pesa 47 chili, gli occhi neri sono sbarrati nel vuoto. Non ha parenti che possano fargli visita, per cui ha digiunato un giorno in più dell'altro finché ieri pomeriggio un generoso consigliere regionale verde, Pasquale Cavaliere, è corso ad avvertalo: «Guarda, i giornali parlano di voi e anche Lounici ha ripreso a mangiare». Cosicché la dottoressa di Dietologia gli ha sonunmistrato i primi cibi liquidi dal 13 aprile scorso. Lounici e Metali (un terzo detenuto algerino, Aider Farid, aveva cessato qualche giorno prima lo sciopero della fame intrapreso assieme nel carcere di Novara) sono due facce all'apparenza opposte dell'Islam con cui l'Italia deve imparare a fare i conti. Dipenderà solo da noi se non si trasformeranno in un unico, gigantesco problema. Il perché, lo si capisce confrontandoli. Lounici è un imam, un capo religioso di 35 anni. La sua moschea, detta Plateau, ad Algeri era una delle più importanti e non a caso il Fis (Fronte di salvezza islamica) l'aveva cooptato nella sua Majlis Shura (assemblea consultiva). Poi il colpo di Stato dei generali, l'arresto, la condanna a morte, la fuga in Europa circondato da un'aura di mistero, la richiesta di asilo politico in Italia contemporanea a una raffica di richieste di estradizione dal Marocco e dalla Francia che lo additano come gran leader del terrorismo islamico armato. Un'odissea giudiziaria gestita più dai servizi segreti che dai magistrati, sicché le porte del carcere non si sono più aperte per lui dal 12 maggio '95. E Metali? Il trentunenne Metali è il prototipo dell'immigrato virtuoso che sembra non credere aricor oggi a quel che gli è capitato: «Prima di entrare in prigione non ero neppure un musulmano praticante. Vivevo in Italia da 7 anni, facevo pulizie in un supermercato, quando a novembre mi hanno incarcerato come fiancheggiatore della Già algerina. Ma l'intercettazione ambientale in cui proprio io avrei parlato di traffico d'armi, non ho ancora avuto il bene di sentirla». Nel frattempo, dopo il suo arresto, gli algerini si sono messi in allarme e sono andati a prendere a casa sua anche la vecchia madre, finita per due giorni in cella. Uomini sepolti in cella Svelare l'intrigo oggi sarebbe al di sopra delle nostre modeste forze, ma ragionare lo possiamo e lo dobbiairio. Chi lo sa se Metali è un bravo attore o la vittima di un errore giudiziario. Chi lo sa se Lounici è solo un prete islamico radicale come ce ne sono molti, o invece il pericolo pubblico numero uno denunciato dagli investigatori d'Oltralpe. Il buon senso ci dice comunque che seppellire questi uomini in cella senza che sia garantito nei loro confronti un iter giudiziario celere e trasparente, non solo ne lede i diritti ma rischia di produrre effetti nefasti. Il «caso Lounici» potrebbe diventare clamoroso. Già due volte interrogato dal giudice istruttore parigino Jean-Louis Bruguiere, che lo ritiene uno dei responsabili dell'approvvigionamento d'armi per la Già (gruppi islamici armati), dalla sua ha la Comunità di Sant'Egidio che lo considera solo un poveraccio perseguitato. «Mica tutti i militanti del Fis vanno considerati dei terroristi, non dimentichiamoci che stiamo parlando di un partito che nel '91 vinse le elesioni», ammoniscono i protagonisti dell'ultimo tentativo di dialogo per una soluzione politica della crisi algerina. Ma allora perché avrebbe telefonato il ministro francese della Giustizia in persona per evitarne la scarcerazione? E se le organizzazioni islamiche moderate minimizzano in Italia il ruolo del misterioso Lounici, ecco levarsi a correggerle da Mortara la voce del suo devotissimo suocero Deramchi: «E' un uomo di grande autorità che non rinuncerebbe mai alle sue idee. Ricordo quando in carcere, a Poggioreale, preferì prendere le botte dai detenuti che gli chiedevano un atto di sottomis- sione, piuttosto che venir meno alla propria fede». Proprio questo è il punto. La comunità islamica italiana non ha ancora un milione di fedeli, contro gli oltre 4 milioni di musulmani che vivono in Francia. Le sue prime, divise e provvisorie istituzioni sono caratterizzate da moderazione e forte volontà di dialogo con le autorità laiche. Ma come pensare che le bufere della Storia possano solo sfiorarla, ignorandola e risparmiandola del tutto? Queste bufere, lo sappiamo bene, portano oggi il nome di fonda¬ mentalismo islamico. Un'ideologia non dissimile nelle sue concezioni dagli analoghi cristiano ed ebraico, ma assai più diffusa in forma di movimento di massa fin dentro le metropoli dell'Occidente, additato all'esecrazione dei fedeli come «il Grande Satana». Niente di peggio che confondere l'Islam, uria religione universale fondata sul culto di una divmità rivelata, con il fondamentalismo islamico che - come scrive lo studioso Bassam Tibi - «è una ideologia totalitaria che si fonda sulla politicizzazione di elementi se- condari, scelti arbitrariamente, dell'Islam». Altrettanto sbagliato sarebbe confondere l'intero, vasto movimento fondamentalista con le sue propaggini terroriste. Ma è un fatto che il fondamentalismo si contrappone nel suo insieme alla democrazia, liquidata come soluzione estranea all'Islam, così come nega la legittimità dello Stato laico in quanto limitativo della «umma», cioè della comunità islamica. L'aspirazione al sacrifìcio Cosa c'entra tutto questo con i nostri Loumici e Metali, che per fortuna da ieri hanno ricominciato a nutrirsi, ma che mantengono dentro di sé quell'irriducibile energia per cui il supremo sacrificio non appare impensabile? Basterebbe visitare il centro islamico milanese di via Jenner per trovare una risposta a questo interrogativo. A quanto pare quella rispettabilissima comunità non è rimasta per nulla insensibile alla lotta dei detenuti musulmani nelle carceri italiane. La sostiene, anche in polemica con i musulmani moderati che invece evitano accuratamente ogni commistione fondamentalista. E intanto la moschea di via Jenner sta piangendo ancora il suo imam Anwar Shaban che la giustizia italiana voleva arrestare nel giugno del '95 come sostenitore dei combattenti islamici, e che invece nel dicembre dello stesso anno ha trovato la morte durante uno scontro a fuoco in Bosnia con una pattuglia croata. Shaban è il primo martire del fondamentalismo islamico basato in Italia, tipico esponente di una nuova militanza rivoluzionaria di fine secolo che non può conoscere confini né zone franche. Dipende dalla saggezza delle nostre autorità che Lounici non allunghi una lista di martiri il cui significato conosciamo in anticipo: rendere impossibile capirsi e rispettarsi, obbligatorio odiarsi. Gad Lerner Il primo è accusato di essere un leader dei fondamentalisti L'altro di avere partecipato a un traffico d'armi dal Nord Africa Sessanta giorni in cella senza mangiare: siamo pronti a morire Due facce dell'Islam con le quali il nostro Paese deve imparare a fare i conti In alto, conferenza stampa dopo un blitz contro i fondamentalisti islamici in Italia A sinistra un'immagine di Algeri, A lato la disperazione di due algerine dopo un attentato