«E adesso tocca ai politici» di Paolo Colonnello
«E adesso tocca ai politici» «E adesso tocca ai politici» Igiudici: chi depistò l'inchiesta? MILANO. Adesso tocca al «livello politico». «Il livello superiore che stiamo cercando dal '72», lo definisce il procuratore Gerardo D'Ambrosio. Se con l'operazione di ieri, dopo 28 anni, si ritengono individuati e colpiti definitivamente gli ideatori e autori materiali della strage di Piazza Fontana (Maggi, Zorzi), i giudici che hanno emesso gli ordini di cattura si preparano adesso alla parte più difficile dell'inchiesta, quella che dovrà individuare i mandanti, trovare le responsabilità politiche. Anche se forse, rimarranno solo simboliche. E così, «strage di Stato», slogan buono finora solo per le piazze, nell'ufficio uggioso al quarto piano di palazzo di giustizia del pm Grazia Pradella, classe 1961, 8 anni quando la bomba scoppiò, assume il valore di fatti precisi: ((Ancora non ne ho la certezza. Anche se sicuramente questa strage ha goduto di complicità in ambienti istituzionali e dei servizi, nella copertura di esecutori e mandanti». «Questo è un processo indiziario», si limita ad aggiungere il pm Pradella, che con il collega Massimo Meroni ha seguito in questi ultimi due anni l'inchiesta su Piazza Fontana. E strizza gli occhi per la stanchezza di due giorni passati senza dormire. Ma nel linguaggio un po' criptico che usano in queste occasioni i magistrati, «indiziario» significa che esistono documenti e testimoni che portano al di là del gruppo di Ordine Nuovo cui viene attribuita la responsabilità della strage. E i segnali di questa nuova fase dell'inchiesta, ci sono già tutti: appena qualche mese fa, uno degli ultimi atti istruttori conosciuti, è stato, da parte del pm Pradella, di iscrivere nel registro degli indagati con l'accusa di falso ideologico, due funzionari della Direzione Centrale di polizia di prevenzione: il commissario Savio (che si è dimesso) e il direttore Ferrigno. Entrambi, fino a poco tempo prima, erano considerati tra i più stretti collaboratori del magistrato. L'indicazione che esiste una parte «istituzionale» dello Stato che tuttora, secondo gli inquirenti, giocherebbe contro l'accertamento definitivo della verità. Come spiegare altrimenti la scoperta del gigantesco archivio segreto del Viminale (150 mila fascicoli) avvenuto la scorsa primavera? Tra quelle certe, Pradella e Meroni hanno trovato anche alcuni corpi di reato, di attentati a treni e stazioni, nascosti fino ad allora: frammenti di valigie esplose, pezzi di timer, polvere di esplosivo. «Dai fascicoli ritrovati a Roma - dice il pm -, emerge che indagini e accertamenti venivano prima filtrati da ambienti della polizia». Depistaggi. Perché, come emerge da tutta la documentazione raccolta, gli ambienti neofascisti inquisiti erano legati mani e piedi con i servizi segreti: quello civile, militare. E con la Cia. Il servizio segreto americano, incombe sul gruppuscolo fascista veneto di On fin dalle prime fasi dell'attentato, addirittura ne tiene le fila, attraverso l'ormai defunto «professor Lino Franco», che coordina il gruppuscolo e ordina, nel '66, un furto di esplosivo ad Arzignano. Si tratta dello stesso esplosivo, scrive il pm Salvini nel mandato di comparizione contro Maggi, che venne usato per la banca dell'Agricoltura. E non c'è solo il ((professor Franco» a riferire nei lontani Anni 60 ai «capi del servizio» installato presso la base FTASE di Verona. Nelle indagini di Salvini, alla base della nuova istruttoria, si parla del ruolo svolto dal capocentro Sergio Minetto (arrestato due anni fa) e uno dei suoi agenti è quel Carlo Digibo, l'esperto di armi, che insieme all'altro pentito, Martino Siciliano, contribuirà a far luce sulle stragi, le trame nere e il ruolo dei servizi. Eppure non sarà facile il salto di qualità che i magistrati si aspettano di fare: indicare cioè quali uomini politici, in nome dell'Alleanza Atlantica e di chissà quale altro vantaggio, approvarono, tacquero, ordinarono depistaggi. E se si scopriranno potrebbe essere troppo tardi, servire solo a restituire un brandello di verità ai familiari delle vittime. Dopo trent'anni di buio, sarebbe meglio di niente. Quattro arresti, tre indagini parallele, un gruppo d'indagati. Questi sono i numeri dell'inchiesta che , come in tutte le storie, contiene un'involontaria beffa: negb ordini di cattura, «in concorso per strage» compaiono ancora una volta Freda e Ventura. Non più perseguibib per la giustizia. Paolo Colonnello
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