Pol Pot l'ultima carneficina
Braccato nella giungla con gli ultimi 200 fedelissimi, vuole espatriare ma nessun Paese gli concede asilo Braccato nella giungla con gli ultimi 200 fedelissimi, vuole espatriare ma nessun Paese gli concede asilo Poi Pot, l'ultima carneficina L'ex dittatore stermina parenti e collaboratori Dal fondo delle giungle cambogiane arrivano su Poi Pot, il responsabile del genocidio del suo popolo negli Anni Settanta, notizie di tropicale crepuscolo degli dei senza cupa grandezza nibelungica. Ultimi sprazzi di vite sanguinarie che nel sangue si spengono. Regolamento di conti fra bande di assassini, non cupio dissolvi, fango del Mekong, non oro del Reno. Poi Pot, contrariamente a quanto ha pubblicato l'altro giorno un giornale di Bangkok, non si sarebbe rifugiato nella capitale thailandese, né starebbe per riparare in un Paese disposto ad accoglierlo, forse la Cina, come aveva dichiarato Norodom Ranariddh, uno dei due primi ministri cambogiani. Con duecento ultimi fedelissimi, sarebbe invece in fuga nelle giungle, dopo aver trucidato a fucilate il suo «ministro della difesa», Son San, eli membri della sua famiglia. Prima di lasciare il suo rifugio nella roccaforte nel Nord del Paese, per cercare scampo altrove, sarebbe passato con un camion sui loro cadaveri, e nella fuga avrebbe portato con sé, prendendolo prigioniero come ostaggio, il suo «primo ministro», Khieu Samphan. Esausto per l'ultimo, feroce massacro compiuto sui suoi complici, Poi Pot è a tratti trasportato in barella dai suoi fedelissimi. Queste ultime notizie sulla sorte del cupo capo dei khmer rossi, che dal '75 al '78 hanno insanguinato la Cambogia e da allora si sono dati alla guerriglia non riconoscendo neanche il legitti- mo governo installatosi sotto la supervisione dell'Orni nel '92, è lo stesso Norodom Ranariddh, figlio di re Sihanouk, a riferirle. Egli ha dichiarato di essere in possesso di prove dell'eccidio compiuto da Poi Pot, ma non le ha esibite, affermando che non è ancora il momento. Pur non suffragato da prove certe, il feroce scontro interno tra i capi dei superstiti khmer rossi si spiega con gli eventi più recenti, che segnano un indebolimento della guerriglia. Giorni fa sembravano vicini a una conclusione trattative per un accordo, in base al quale i circa duemila guerriglieri ancora in azione avrebbero deposto le armi. Mesi fa Poi Pot era stato abbandonato dal mag¬ giore dei suoi fedelissimi, Ieng Sary, ministro degli Esteri quando erano al potere, e a lui legato da parentela, avendo entrambi sposato due sorelle. Ricevute garanzie dal governo,Ieng e i suoi uomini hanno deposto le armi, dando un duro colpo a Poi Pot. L'altro giorno lo stesso Khieu Samphan aveva fatto chiedere a Ncrodom Ranariddh un incontro «ad alto livello» per definire l'intesa su cui si stava trattando, ma non si era poi presentato. Khieu è un vecchio sodale di Poi Pot. Hanno insieme studiato a Parigi negli Anni 50, e insieme erano arrivati al potere. Dopo il genocidio, in cui in poco più di tre anni furono uccisi due milioni di cambogiani su cinque, e dopo l'invasione della Cambogia da parte del Vietnam a fine '78, Poi Pot, impresentabile, si era ritirato nell'ombra. Alla ribalta era venuto Khieu, meno noto, che ha rappresentato i khmer rossi alle trattive internazionali sul problema cambogiano. Secondo l'intesa che stava per concludersi, Poi Pot avrebbe potuto recarsi in un Paese disposto ad accoglierlo: probabilmente la Cina, ma Pechino aveva smentito di essere al corrente delle trattative e di aver dato il suo assenso per ospitare Poi Pot. Questi sarebbe stato seguito in esilio, e nella salvezza, dal suo «ministro della dife¬ sa», Son San, e da un altro suo complice, Ta Mok. L'ipotesi su quanto sta avvenendo è che Poi Pot si sia opposto alle trattative avviate dopo la defezione di Ieng Sary da Khieu Samphan, e sulle quali erano forse d'accordo Son San e l'altro. Ciò spiegherebbe il massacro e la presa in ostaggio di Khieu in una fuga senza scampo. Fonti militari thailandesi dichiarano che aiuteranno il governo cambogiano a ritrovare Poi Pot e a liberare Khieu. Il confine tra i due Paesi sarebbe già stato chiuso. «Poi Pot dichiara un generale - non può andare da nessuna parte, e non gli resta che morire in Cambogia». Fernando Mezzetti Ha fucilato il suo «ministro della difesa» Son San con 11 membri della famiglia Poi è passato con un camion sui corpi In ostaggio il «primo ministro» Khieu Samphan Una rara immagine di Poi Pot nella giungla cambogiana con alcuni dei suoi più stretti collaboratori Una catasta di teschi di vittime dei khmer rossi La repressione costò la vita a due milioni di cambogiani
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