L'«lntifada» del rabbino di Fiamma Nirenstein

L'«lntffada» elei rabbino L'«lntffada» elei rabbino Dilaga la violenza degli ultra Ln TEL AVIV m INTIFADA dei religiosi e anche dei poveri di spirito che accolgono la moda oscena della violenza (una delle croci del mondo occidentale) è diventata così importante e così popolare nel panorama politico israeliano che alla Knesset (il Parlamento) è già pronta una legge: deve garantire un risarcimento pubblico come ai tempi della vera Intifada, per chi ne venga colpito. L'ha presentata il parlamentare Ophir Pines con una semplice motivazione: il sasso di un religioso non fa meno male, o meno danno, di una pietra palestinese. Anche uno dei leader più popolari a sinistra, Yossi Sarid, ha rivolto un appello ufficiale al ministro degli Interni Avigdor Kahalani perché metta fine con misure particolari alla violenza religiosa durante le feste. Ora, una pietra è sempre una pietra, giusto: ma gli haredim, i religiosi vestiti di nero e i loro epigoni, hanno una fantasia sviluppata e perversa. Per esempio, adorano tirare ai poliziotti israeliani e ai laici che passano con le macchine nei loro quartieri pannolini e assorbenti sporchi, fanno un grande uso di sacchi di spazzatura di ogni genere come arma da lancio, sono molto allenati nello sputo anche a distanza. Di questo in particolare sono state vittime le donne di un gruppo di ebrei riformati che due giorni or sono, a Gerusalemme, hanno tentato di pregare mescolate con gli uomini e con il manto di preghiera leggendo la Bibbia proprio vicino al Muro del Pianto. L'occasione era la festa di Shavuot, quella che ce¬ lebra l'ascesa di Mose sul Monte Sinai e la rivelazione della Legge. E' una festa molto commovente, perché nella tradizione israeliana, specie nei kibbutz, è divenuta anche una sorta di festa laica del raccolto, una celebrazione dei fiori e della frutta di stagione. Questa poetica non ha interessato per niente gli haredim che vedendo le donne leggere la porzione di Torah del giorno, si sono buttati addosso al gruppo non ortodosso con sputi, spintoni, botte, e hanno gridato loro ripetutamente: «Nazisti». Ora, chi può ripagare una persona civile, e per di più un ebreo, di una simile accusa, per di più lanciata dappresso al Muro del Pianto, il luogo cui da duemila anni gli ebrei pensano quando dicono «l'anno prossimo a Gerusalemme», il simbolo stesso dell'unità ebraica nel corso dei secoli? Potrà il governo stabilire una ricompensa anche per un oltraggio di questo genere? Certamente un problema simile non si pose durante l'Intifada. Né capitavano eventi, come quello occorso alla cronista (che pure ha preso molte pietre) durante la festa di Shavuot: non si può dire che quei dieci giovanotti mezzi nudi situati all'angolo del moshav (un villaggio agricolo comunitario) dov'ero diretta portassero i segni esteriori dei religiosi, la kippa o i riccioli laterali, o l'abbigliamento scuro prescritto agli ultraortodossi. Ma avevano invece tutti quanti i segni di quella provenienza irachena, yemenita o marocchina che segna un'appartenenza sociale in cui la tradizione è forte, e tuttora offesa dalla modernità, dalla preminenza ashkenazita, dall'Europa o dall'America, dalle donne bionde al volante durante le feste religiose o chissà da quale altro oltraggio ancestrale. Fatto sta che erano grandi e grossi, appostati dietro la curva, muniti di secchi di un fango particolarmente denso e scuro, e dopo averne inondato la mia macchina in corsa per ben due volte oscurando la visibilità, insozzando, gridavano e saltavano di gioia. E anche quando è arrivata la polizia hanno seguitato a gridare e a far mostra di una spavalda innocenza, di una vocazione alla vendetta contro qualcosa di molto grande e potente, che li aveva fatti sentire oppressi per cinquantanni. Ben Gurion aveva torto quando pensava di assorbire illuministicamente la povertà, l'ignoranza che l'accompagna, e anche, con l'oppressione, il fanatismo religioso. Gli haredim che pattugliano freneticamente il Muro del Pianto e le loro strade durante le feste e il sabato in realtà non solleticano soltanto lo spirito revanscista dei credenti, ma quello di tutti coloro che si sentono qui emarginati, umiliati dalla storia di una società opulenta, troppo europea per loro, organizzata secondo valori a cui i loro genitori e loro stessi si sentono estranei. Un tempo li chiamavano ciarciachim, ovvero quelli che parlando con un accento non russo né polacco, dicevano più o meno: «Ciarch ciarch». Poi non s'è detto più: è diventato politicamente non corretto. Ma loro se ne ricordano bene, e Ygal Amir era uno di loro. Fiamma Nirenstein

Persone citate: Avigdor Kahalani, Ben Gurion, Pines, Ygal Amir, Yossi Sarid

Luoghi citati: America, Europa, Gerusalemme, Tel Aviv