Delitto di Marta caccia al terzo uomo

Nuovi indagati dopo l'arresto del docente. La teste vide 3 persone nella stanza dello sparo, ma una fuggì Nuovi indagati dopo l'arresto del docente. La teste vide 3 persone nella stanza dello sparo, ma una fuggì Delitto di Marta, caccia al terzo uomo ROMA. Ormai è caccia aperta al «terzo uomo», il misterioso personaggio che la mattina del 9 maggio si trovava nell'aula 6 di Giurisprudenza dalla quale - secondo gli inquirenti - è stato sparato il proiettile calibro 22 che ha ucciso Marta Russo in un vialetto dell'università di Roma. La testimone-chiave dell'inchiesta, Maria Chiara Lipari, ha raccontato che quando lei entrò nella stanza - due minuti dopo il ferimento di Marta, stando agli accertamenti della polizia trovò tre persone, due uomini e una donna. «Era avvertibile una forte tensione, svanita non appena uno dei due uomini è uscito», ha detto la donna, che ha identificato le due persone rimaste nell'aula: l'usciere Francesco Liparota e la bibliote¬ caria Gabriella Alletto. La terza persona Chiara Lipari non è stata in grado di riconoscerla. Quell'uomo, secondo il giudice Muntoli che ha fatto arrestare il direttore dell'Istituto di Filosofia del Diritto Bruno Romano con l'accusa di favoreggiamento nei confronti dell'assassino, è «con tutta probabilità l'uomo che aveva appena sparato alla Russo, ed è uscito recando con sé l'arma». Nel provvedimento di arresti domiciliari per il professor Romano è scritto che l'identità del «terzo uomo» è ancora ignota, ma è possibile che mquirenti ed investigatori gli abbiano invece già dato un nome e un cognome che tengono riservati per non pregiudicare le indagini. Ancora ieri sono proseguiti per tutto il giorno gli interrogatori di persone che rientrano a vario titolo in questa vicenda, testimoni che rischiano da un momento all'altro di ritrovarsi indagati. Da quando s'è concentrata sull'Istituto di Filosofia del Diritto, l'inchiesta per l'omicidio di Marta è stata caratterizzata, come scrive il giudice, da continui depistaggi e bugie. Ieri mattina è stato consegnato un avviso di garanzia per dichiarazioni «false» o comunque «omissive» rese al pm da Maria Urilli, impiegata nella segreteria dell'Istituto. La donna, che lavora all'università da 35 anni, ha commentato dicendo che «se una persona non ha fatto nulla, non ha nulla da temere. Quello che sapevo l'ho detto, non posso dire quello che non so; forse quello che sapevo era troppo poco». Dal provvedimento contro il professor Romano risulta che pure Liparota e Gabriella Alletto hanno «a loro volta fornito una serie di false dichiarazioni per cercare di nascondere la loro presenza nella sala assistenti al momento in cui venne sparato il colpo di arma da fuoco». Il giorno dopo il delitto la Allotta avrebbe parlato con la Lipari «ricordandole» che quando Marta fu colpita lei e Liparota si trovavano nella sala fax. «Circostanza assolutamente falsa», commenta il giudice sulla base di altre testimonianze, che «trova una giustificazione logica solo nella presenza dei due nella sala assistenti al momento in cui venne sparato il colpo». Ieri la Alletto ha dichiarato: «Possibile che chi ha sparato non abbia un briciolo di pentimento? Si faccia avanti, perché noi stiamo patendo le pene dell'inferno». Alle bugie e reticenze il magistrato non dà altra spiegazione che la copertura del «terzo uomo», anche perché la difesa dell'immagine dell'Istituto diretto da Romano non avrebbe senso. Infatti, «proprio comportamenti come quelli di Romano, prolungando la durata delle indagini e aumentando campagne di stampa, contribuiscono a mettere l'Istituto in una luce sinistra, e suggeriscono sospetti diffusi e anche infondati». Come dire che per il giudice vale di più l'altra ipotesi sul movente del favoreggiamento contestato a Romano: i presunti «rapporti personali» con il soggetto da coprire, [gio. bia. Gli inquirenti: adesso basta bugie Il professor Bruno Romano, agli arresti domiciliari per favoreggiamento

Luoghi citati: Lipari, Marta, Roma