In manette a Taranto L'ha colpita per errore

In manette a Taranto L'ha colpita per errore In manette a Taranto L'ha colpita per errore TARANTO. Meno di quarantott'ore di ricerche ed eccoli lì, in manette per avere ucciso la bambina che voleva diventare giudice, la piccola Raffaella, 11 anni: Francesco Pulpo, ventenne, nessun precedente penale, e di buona famiglia. Il padre non ci credeva: «Perché l'hai fatto?». Ha sparato lui. Ha confessato. Voleva colpire il papà di Raffaella. Avrebbe insidiato la moglie del boss quando questi era in galera. Il boss è Rodolfo Caforio, 26 anni. Non ha confessato. Neppure una parola. Ha messo la pistola nelle mani del suo scagnozzo. Erano insieme sullo scooter, martedì sera, alle 21. Si sono avvicinati all'auto, una Fiat «Tipo», in cui Raffaella era seduta accanto al papà. Un colpo al cuore. Doveva morire Antonio Lupoli, 34 anni, il papà della bimba, piccolo pregiudicato, tossicomane, ex matalmeccanico che sbarca il lunario con i lavori socialmente utili, ottocentomila lire al mese. Rodolfo Caforio è un boss per Francesco Pulpo, il killer. Di recente arrestato dopo un'operazione antimafia e poi scarcerato, è in realtà uno spavaldo bullo che voleva diventare qualcuno nella malavita. Si era fatto quattro anni di galera e qualcuno diceva che Antonio Lupoli, divorziato, ci avesse provato con la moglie. Non aveva gradito le dicerie. Con Lupoli si era accapigliato. Martedì sera, la spedizione punitiva. Il padre di Pulpo, quando lo incontra in questura, non ci crede: «Ma che cosa hai fatto? Perché». Caforio e Pulpo sono sottoposti a fermo. Sul loro arresto dovrà decidere il gip. Sono accusati di omicidio volontario. Francesco Pulpo è magro e alto, gli occhialini di metallo. E' silenzioso, ha già detto tutto. Il suo capo ha il volto sicuro, urla contro i giornalisti e i cameramen: «Sono innocente». Dal momento del delitto erano nel mirino della polizia. Erano stati ascoltati, poi rilasciati, e ascoltati ancora. Il boss non ha fiatato. Il killer l'ha fatto: «Sono stato io». Raffaella soffriva e sognava. Sapeva che il papà era tossicodipendente e voleva diventare giudice per «far fuori tutti quelli della droga». Racconta la zia, Tina Turi, la sorella della madre: «Voleva andare all'università, laurearsi, diventare magistrato e poi farsi mandare in Sicilia. Diceva alla mamma: metti i soldi da parte. Ci andrò in Sicilia. Che cosa mi può succedere, che faccia la fine della moglie di Falcone?». Aveva solo 11 anni e ieri se n'è andata per sempre in una bara bianca. I funerali si sono celebrati nella chiesa di Sant'Egidio, al quartiere popolare Tramontone. Qui Raffaella aveva fatto la prima comunione. Centinaia di persone, amici, parenti e tanti bambini, i compagni della Quinta B. Hanno letto le preghiere durante la Messa. C'erano una bambina esile e con i capelli scuri. Ha letto anche lei, poi non ce l'ha fatta più. L'hanno portata via, stava male. La mamma di Raffaella non muoveva gli occhi, sbarrati. Fissi sulla bara bianca. Lavora in una ditta di pulizie, ogni giorno settanta chilometri per guadagnarsi da vivere e mettere qualche lira da parte per il suo piccolo giudice. Il papà piangeva, un braccio fasciato: ha una pallottola nella mano. «Non possiamo tacere, perché si allunga la lista degli innocenti uccisi dall'odio e dalla violenza», ha detto nell'omelia don Luigi Trevisani.

Persone citate: Antonio Lupoli, Caforio, Francesco Pulpo, Luigi Trevisani, Lupoli, Rodolfo Caforio

Luoghi citati: Sicilia, Taranto