Si scrive patria si legge secessione

Due convegni paralleli sull'Italia finiscono con il parlare di strategie anti-Bossi Due convegni paralleli sull'Italia finiscono con il parlare di strategie anti-Bossi Si scrive patria, si legge secessione SROMA INTOMATICA abbondanza di nazional-convegnismo, quest'oggi, sul tema della patria, o della Patria, con o senza la maiuscola a seconda di chi la evoca, e come, e perché. «Cos'è la Patria?» si sono chiesti dalle nove di mattina alle otto di sera i numerosi e disciplinatissimi partecipanti - la maggior parte in uniforme grigioverde dell'Esercito e bianca della Marina - all'incontro organizzato dall'Istituto di studi, ricerche e informazioni sulla difesa (Istrid) e dall'Associazione di studi di politica internazionale e strategia (Aspis), e svoltosi a Palazzo Salviati, cioè in una sede militare. A maggior ragione è stato interessante notare come ormai in convegni del genere si comincia con la patria, e si finisce regolarmente a parlare di secessione. Perciò ha fatto malissimo il senatore Miglio, teorico dell'indipendentismo, a disertare la tavola rotonda a cui era stato invitato. In attesa della Padania, se non altro si sarebbe fatto un'idea di come gli alti gradi italiani si preparano e insieme vengono preparati a fronteggiare l'evento. Avrebbe sentito il giurista professor De Vergottini discettare sulle due ipotesi di separazione: legale, anzi «costituzionalizzata» (con i vari modelli storici e procedurali, dalla Birmania alla Cecoslovacchia, fino ai cantoni svizzeri); oppure illegale, data la Costituzione, e quindi «eversiva», rottura «che genera il diritto». Oppure avrebbe potuto ascoltare, sempre Miglio, quanto strategicamente suggerisce il generale Jean per colpire il secessionismo leghista. Bene, per questo intellettuale in divisa che sembra una specie di robot convegnistico di rara e temeraria intelligenza, sta proprio nel carattere etnico su cui punta Bossi la «vulnerabihtà» della Lega, anzi delle Leghe. Se non si è capito male, l'idea maligna sarebbe di metterle l'una contro l'altra, queste leghe, giocarsi i veneti contro i lumbard, i liguri contro i piemontesi, i trentini contro tutti. «A meno che», ha soggiunto Jean con estremo lampo diavolesco, non ci sia qui qualcuno che per motivi di bottega (ha detto «funzionali») abbia interesse a giocarsela lui la secessione, con annesso Bossi. Vai a sapere. Questo e altro, comunque, ha suscitato la rinnovatissima questione della patria. Dibattuta, d'altra parte, pure in contemporanea, qualche centinaia di metri al di là del fiume, tra stucchi, specchi, quadri antichi e moderni nella sede dell'Istituto italo-latino americano dove l'Istituto La Malfa aveva organizzato un dibattito sul libro di Gian Enrico Rusconi, intitolato appunto «Patria e Repubblica». Qui la platea, salvo un ufficiale dell'Aeronautica, era composta quasi interamente di civili, moltissimi repubblicani o ex come il ministro Maccanico, più Carlo De Benedetti venuto a salutare. Fra i relatori, il banchiere Cingano, Violante e La Malfa. Anche qui dalla patria si deve essere passati rapidamente alla secessione. E tuttavia non è solo a causa di Bossi, che si intensifica questa attenzione alla patria, o per via di quel federalismo che pure, nel convegno dell'IstridAspis, è apparso piuttosto sotto tiro. Un federalismo che può nascere per «disaggregare», come ha spiegato il professor De Vergottini facendo gli esempi del Belgio e del Quebec. 0 che, se messo in opera come «pezza a colori», secondo il generale Jean può essere «disastroso». Per quanto o forse proprio in quanto «termine sempre ambiguo e confuso, quando non retorico e vuoto», come ha spiegato il professor Santoro, a pensarci bene la patria ha anche a che fare con gli sciagurati torturatori della Somalia - su cui, francamente, come sulla nave del venerdì santo o su quella arenatasi in Albania, da tanti militari ci si poteva aspettare qualche commentino in più. Come pure ha a che fare con la bandiera, magali anche con quella di recente ripiegata per protesta dagli alpini. A proposito di tricolore, l'arnmiragUo Papili ha fatto presente che gli secca che ad «agitarlo», oggi, siano molti di quelli che ieri brandivano vessilli monocromatici, e quindi rossi. Petruccioli, lì accanto, ha fatto finta di niente, evidenziando piuttosto i rischi di divisione geografico-elettorale del referendum finale sulla Bicamerale. Mentre dall'alto del suo «invincibile gaullismo», Zamberletti, Super-Zamb, già sempiterno doroteo con elmetto, ha segnalato i rischi che anche «annacquando tutto nell'Europa» possa compiersi una «pericolosa disgregazione». Molto caustico - e applaudito dalla platea militare - l'ex ambasciatore a Bonn Ferraris che con invidiabile sincerità ha confessato di essersi scocciato del «disagio-del-Nordest»: soprattutto quando pensa all'evasione fiscale. Se poi, ha osservato, questo Nordest vuole proprio andare da solo in Europa, beh, prima di tutto è necessario che sia ammesso. E l'Italia potrà esprimere un veto. Filippo Ceccarelli Augusto Mfnzolini nei confronti di D'Alema addirittura accomunato ai professori di Forza Italia? Eppure ieri è avvenuto: «Con Fini si può ragionare. Con qualcun altro che pensa di essere bravo, no. Il problema so¬ no i professori di Forza Italia che sono senza sensibilità politica e affrontano il nodo del doppio turno come se fossero dei semplici professori». Insomma, sotto sotto la nuova

Luoghi citati: Albania, Belgio, Birmania, Bonn, Cecoslovacchia, Europa, Italia, Somalia