Grandi battaglie sul lavoro di Massimo Giannini

Granili battaglie sul Invero Granili battaglie sul Invero Il governo gioca la carta della riduzione d'orario LI ROMA HANNO urlato per anni, I durante i ruggenti 70, sindacalisti con la pipa, operai e studenti con l'eskimo. Ma oggi, dopo che i socialisti vincitori in Francia ne hanno fatto uno dei cardini del programma di governo, torna di moda il vecchio slogan «Lavorare meno, lavorare tutti». Depurata dei suoi datati contenuti ideologici, la riduzione dell'orario di lavoro tanto cara a Rifondazione sarà una delle carte che il governo giocherà al tavolo della trattativa sul Welfare State. La strategia di Prodi è quella ormai consolidata, nell'ambito del dialettico rapporto con la Sinistra radicale, di maggioranza ma non di governo: Fausto Bertinotti incassa il «dividendo» di una discesa articolata dell'orario sotto le 40 ore, e in cambio paga «pegno» sulla riforma previdenziale e sulle pensioni di anzianità. Ora, nei Palazzi della politica romana nessuno - di qui al 18 giugno, data nella quale partirà la trattativa governo-parti sociali - la butterà giù in termini così brutali. Ma la questione è esattamente questa. Il vicepremier Veltroni l'aveva già accennato due settimane fa e l'ha lasciato capire anche sabato scorso al meeting di Liberal a Napoli: «Pensiamo a qualche forma ragionevole e responsabile di intervento sull'orario di lavoro». La stessa cosa ha fatto Armando Cossutta, che non parla mai a caso, alla festicciola di piazza Farnese per la vittoria dei socialisti francesi: «Il fatto che il governo di Parigi abbia nel suo programma la riduzione dell'orario di lavoro crea le condizioni per meglio sostenere in Italia la stessa questione...». Il ministro del Lavoro sta studiando il problema, con l'obiettivo di elaborare proposte da far cadere sul tavolo al momento opportuno. «La riduzione dell'orario non è all'ordine del giorno della trattativa confida Tiziano Treu - ma è chiaro che ci rientrerà. Qualcosa si può fare...». Sul «che cosa» gli sherpa di governo e quelli di Rifondazione hanno già avviato contatti, dando comunque per scontato il varo definitivo in Parlamento del «pac- chetto Treu», nel quale è contenuto all'articolo 13 il primo passo verso la riduzione dell'orario in Italia, con il passaggio dalle 48 alle 40 ore settimanali. Questa è la base dalla quale si parte. Di cosa si possa fare di più ha discusso a lungo in questi giorni con gli esperti di Treu Alfonso Gianni, plenipotenziario di Bertinotti: «Per ora col rninistero del Lavoro ci si muove su tre filoni che riguardano la gestione delle eccedenze di manodopera collegata alla riduzione dell'orario. Il primo si chiama outplacement e prevede che un'impresa che licenzia un lavoratore deve accollarsi l'onere di riallocarlo altrove e solo in questo caso può beneficiare di alcuni sgravi. Il secondo è la riduzione dell'orario di lavoro tout court, sulla base del modello francese della legge Robien, che di fatto eleva a sistema quelli che da noi si chiamano contratti di solidarietà: quando un'azienda ha esuberi da smaltire, si prevede una riduzione del 10% dell'orario di lavoro, il che signifea passare dalle 40 alle 36 ore settimanali, e in cambio si dispone l'assunzione di un 10% di nuova ma- nodopera come condizione necessaria per la fiscalizzazione degli oneri sociali». Il terzo e ultimo filone è quello che - sia pur con le consuete vaghezze comunicazionali Romano Prodi ha lumeggiato durante il Pinocchio di Gad Lerner, e che Gianni riassume così: «E' il principio del "metà tempo di lavoro per metà pensione": si consente il prolungamento dell'età pensionabile in base ai tetti ancora in vigore per le pensioni d'anzianità solo a chi accetta ilpart time. In questo caso, il lavoratore percepisce mezza pensione e mezzo stipendio, e può legittimamente cumularli». I margini di manovra su questi tre punti, tra governo e Rifondazione, sembrano estesi. Ma al tavolo sul Welfare, il 18 giugno, ci saranno anche il sindacato e soprattutto la Confindustria. Per l'uno e l'altra il tema del «chi paga» la riduzione dell'orario di lavoro è decisiva. Carlo Callieri, vicepresidente di Confindustria, qualche spiraglio lo apre, quando ripete che «in Italia si può anche arrivare a determinate condizioni alla riduzione dell'orario di lavoro, ma tutto deve essere strettamente legato al concetto di flessibilità». Anche nel caso degli industriali, insomma, il tabù dell'orario si può violare, ma in cambio di una politica del lavoro e del collocamento più moderna. E a una condizione, che ricorda lo stesso Callieri e conferma Rinaldo Fadda. vicedirettore generale di viale dell'Astronomia: «Posto che sull'orario legale il pacchetto Treu è già esaustivo, l'unico versante su cui si può discutere di riduzione di orario e di flessibilità è quello aziendale». Nell'ambito dei singoli accordi, e per le aree, i settori e le imprese in cui questo è possibile per ragioni di competitività e di tecnologie, «è possibile concordare forme di riduzione dell'orario attraverso l'utilizzo dei turni, dei festivi, delle domeniche. E' già così nel tessile, dove si lavora da anni a 36 ore a settimana, su 6 turni e con maggiore utilizzo degli impianti. Ma questo modello può valere appunto in casi specifici, e comunque ogni variazione dell'orario contrattuale dipende dalle parti, che lo negoziano caso per caso. Pensare di concordare fin d'ora col governo una riduzione generalizzata come fa Rifondazione è impensabile», conclude Fadda. Su posizioni altrettanto prudenti sta la Cgil di Sergio Cofferati, che come sempre ha il problema di smarcarsi dal movimentismo bertinottiano: «Noi - dice Walter Ceri'eda, segretario confederale incaricato dal Cinese di seguire il problema in vista dell'incontro del issiamo contrari a interventi dirigistici del governo, su questo punto. La questione dell'orario deve restare di stretta competenza delle parti sociali. Che poi possa servire per scambi politici all'interno della maggioranza, è questione che non ci riguarda...». Ma anche la Cgil, così come Rifondazione, finirà per non sottrarsi allo scambio: non a caso Cofferati, come Bertinotti, chiede che di pensioni si discuta solo alla fine, e che prima si parli di assistenza e di lavoro: se sindacati e neocomunisti spunteranno qualcosa di buono «a monte» su questi punti, allora potranno concedere di più «a valle», sulla previdenza. Ma la partita non sarà semplice, perché anche Fossa e Callieri vogliono contropartite serie sulla flessibilità, né si accontentano delle briciole contenute nel pacchetto Treu. Questo è anche il motivo per cui è prevedibile che, nel vivo della discussione, si entrerà solo a settembre: perché in quel momento governo, sindacati e mdustriali, oltre al tavolo sul Welfare, apriranno anche quello sulla verifica dell'accordo di luglio del '93. E così le possibili «ragioni di scambio» si moltiplicheranno. Insieme, beninteso, a quelle di conflitto. Massimo Giannini Rifondazione esulta E Treu: l'argomento non è all'ordine del giorno ma è chiaro che ci rientrerà Qualcosa si potrà fare... ministro del Lavoro Tiziano Treu

Luoghi citati: Francia, Italia, Napoli, Parigi, Roma