«Papà aiutami, c'è tanto sangue» di Fulvio Milone

«Papà aiutami, c'è tanto sangue» «Papà aiutami, c'è tanto sangue» Le ultime parole della bimba assassinata a Taranto TARANTO DAL NOSTRO INVIATO Nessuno ha visto, nessuno ha sentito. Eppure, martedì sera alle nove, piazza del Gesù Divin Lavoratore, una spianata di cemento su cui incombono i palazzi stile Anni Cinquanta del rione Tamburi, era piena di gente. Ma tutti dicono di non aver sentito, di non aver visto quella bambina di undici anni morire con il cuore spaccato da un colpo di pistola destinato al padre. E nessuno ha pensato di lasciare un fiore sul ciglio del marciapiede, a due passi dalla baracca di un gelataio, dove si è conclusa la vita breve e per nulla febee di Raffaella Lupoli, che ha pagato per colpe non sue. Ora che il sole è tornato a battere sulla piazza, e che gli agenti della «scientifica» hanno portato via la Tipo con la portiera forata dai proiettili in cui è morta la bambina, la gente di Tamburi sembra voler cancellare con un'alzata di spalle il male che è stato fatto e a cui non si potrà porre rimedio. Forse ne ha viste troppe, ne ha subite tante in un quartiere cresciuto troppo in fretta e malato di droga e di violenza. E' difficile che qualcuno ti dia retta quando racconti che Raffaella, colpita in petto, ha detto al padre prima di chiudere gli occhi: «Papà, c'è tanto sangue». Chi ha conosciuto Raffaella descrive una bambina vivace e spiritosa, ma non serena. Non tanto per il fallimento del matrimonio dei genitori, quanto per il dolore lacerante che provava vedendo il padre consumarsi giorno dopo giorno a causa dell'eroina. «Da grande voglio fare il giudice, così faccio sparire la droga e quelli che la vendono», diceva. Anche Antonio, il papà, spacciava. Alla squadra mobile dicono che lo faceva per procurarsi le dosi quotidiane, non per farsi ricco: gli agenti che hanno perquisito il suo appartamento hanno trovato siringhe dappertutto. L'eroina ha rovinato l'esistenza sua e di tutti coloro che gli sono stati vicino. Patrizia Turi, la donna che aveva conosciuto quando aveva solo quattordici anni, che aveva sposato e che gli aveva dato Raffaella, lo ha lasciato sette anni fa, portando con sé la bambina. Il padre di Patrizia, rappresentante di cu- cine, ha aiutato la figlia a farsi una nuova vita e a trovare una nuova casa, una villetta in riva al mare di Gandoli, a una decina di chilometri da Taranto: «Tu e Raffaella dovete tenervi alla larga dalla città e da Antonio», diceva. La bambina, però, continuava a frequentare la scuola a Taranto. Il direttore didattico, Giorgio Fazio, la ricorda come «una ragazzina dal viso luminoso, vivace e intelligente, che studiava con profitto». E racconta: «Andava sempre di fretta, temeva di arrivare in ritardo perché abitava molto lontano. L'ho vista per l'ultima volta martedì mattina: proprio lei ha insi¬ stito perché partecipassi ad una festicciola di addio dei bambini che avevano terminato la quinta elementare. Tra gli alunni c'era anche Raffaella, che mi ha dato un bacio sulla guancia. Se soffriva per le condizioni del papà? Certo che sì, altrimenti non avrebbe scritto in un tema che da grande avrebbe voluto fare il giudice e spazzare via la droga». A suo modo Antonio non era un pessimo padre. Ex operaio dell'Uva, ex cassintegrato, sei mesi fa era riuscito a infilarsi nelle Uste dei giovani in attesa dei «lavori socialmente utili»: una sorta di ammortizzatore sociale che, soprattutto al Sud, consente di tenere impegnati i disoccupati in piccole attività di manutenzione di opere pubbliche in cambio di 800 mila hre al mese. Poca roba, per uno costretto a spendere ogni giorno fior di quattrini per procurarsi l'eroina. Ma lui ci teneva, a quella parvenza di lavoro: probabilmente era un modo per dimostrare a Raffaella che suo padre non era un uomo completamente alla deriva. La madre non gli impediva di vedere la figlia, che spesso trascorreva il pomeriggio a Statte, un paese dell'entroterra dove Antonio aveva trovato casa con la sua compagna. Anche martedì, ultimo giorno di scuola, padre e figlia hanno deciso di stare un po' insieme. Secondo la ricostruzione fatta dalla polizia, gli assassini in motorino seguivano da tempo Antonio, quindi sapevano che nell'auto c'era anche la bambina che aveva appena comprato un vestito nuovo. Sapevano, eppure hanno sparato quei cinque maledetti colpi: uno ha ferito il padre alla mano sinistra, altri tre si sono conficcati nel corpo della figlia. «Ho tentato di proteggerla, mi sono buttato su di lei ma era troppo tardi», ha gridato Antonio in questura. Ma quando il funzionario della squadra mobile gli ha chiesto se avesse riconosciuto i sicari, ha scosso il capo ed è rimasto in silenzio. Ha paura di altre vendette? Il sospetto degli inquirenti è che ad agire sia stata una delle tante bande di spacciatori che infestano i quartieri Paolo VI e Tamburi, entrambi frequentati dal padre di Raffaella: Lupoli, vendendo per conto suo eroina, si sarebbe reso colpevole di uno «sgarro» imperdonabile. Ma siamo nel campo delle ipotesi. Per ora l'unica certezza è il dolore di un uomo che ha visto morire sua figlia senza poter reagire. Antonio è stato ricoverato al Santissima Annunziata, lo stesso ospedale in cui si trova il corpo della figlia. Pallido, dolorante per la ferita alla mano, ieri matthia ha chiesto al medico di guardia se poteva salutare ancora una volta Raffaella: «Vada pure, qui dentro non è mica un detenuto», gh' ha risposto l'uomo con il camice bianco, e lui si è avviato verso la sala mortuaria con un'immagine stampata nella mente come un marchio a fuoco. Quella di una bambina, la sua bambina, che mentre chiudeva gh occhi ha detto: «Papà, c'è tanto sangue». Fulvio Milone Dietro il delitto un regolamento di conti nel mondo degli spacciatori Antonio Lupoli il padre di Raffaella in ospedale con la mano ferita fasciata

Persone citate: Antonio Lupoli, Giorgio Fazio, Lupoli, Paolo Vi, Patrizia Turi, Raffaella Lupoli

Luoghi citati: Statte, Taranto