Cuba proibisce la moda Usa di Franco Pantarelli

«E' una colonizzazione mentale. Per ora puntiamo solo sulla persuasione» «E' una colonizzazione mentale. Per ora puntiamo solo sulla persuasione» Cuba proibisce la moda Usa Stop a jeans e t-shirt con i colori americani NEW YORK NOSTRO SERVIZIO Bisogna trovare il modo di porre fine a questa sorta di «colonizzazione mentale», si sono detti i dirigenti della Gioventù comunista di Cuba, e così hanno deciso di mettere a punto una controffensiva contro tutti quei jeans, quelle T-shirt e quei cappelletti vivacizzati dai colori della bandiera americana che molti ragazzi cubani usano indossare. Questa moda, riferisce il settimanale «Juventud Rebelde», che è per l'appunto l'organo ufficiale dei Giovani comunisti, è stata molto discussa dalla leadership dell'organizzazione e la conclusione cui si è giunti è stata che «si tratta della punta di un iceberg che nasconde un intrigo di contraddizioni ideologiche». Di qui la decisione di passare al contrattacco, mettendo a punto una «cosciente strategia di resistenza culturale». La battaglia, spiega una delle dirigenti della Gioventù comunista, Enith Alerm, «non è diretta contro l'uso acritico di quei simboli, ma contro la dominazione degli Stati Uniti, che è qualcosa di molto più esteso e che si manifesta in svariati modi». Come questa battaglia si svolgerà, sempre che le indicazioni raccolte da «Juventud Rebelde» abbiano un seguito, non è chiaro. Ma dalle parole di Enith Alerm sembra che non sia contemplata nessuna opera repressiva. Il terreno dell'offensiva, dice lei, dovrà essere quello della «persuasione». Nei confronti dei ragazzi che - magari semplicemente perché hanno ricevuto in dono una maglietta da qualche parente che vive negli Stati Uniti - vanno in giro con la bandiera a stelle e strisce, bisogna usare «i nostri argomenti storici, di cui certo CvuSa non manca». Gli argomenti sono quelli del passato (dal sergente Fulgencio Batista trasformato dagh americani nel dittatore di Cuba, fino al fallito tentativo di invasione alla Baia dei Porci del 1961) e del presente: l'embargo economico in vigore da quasi 40 anni e che ultimamente ha addirittura stretto le sue maghe. Di esso ha parlato proprio domenica Madeleine Albright, il segretario di Stato, durante una cerimonia di laurea all'Università di Mobile, nell'Alabama, per dire che agli Stati Uniti «piacerebbe molto adottare una diversa linea nei confronti di Cuba», ma non lo possono fare perché «il modo in cui Castro tratta i suoi cittadini non trova riscontro in ciò che accade in tutto il resto del mondo». Poi, forse perché di fronte ai giovani laureati stava cantando le lodi di «un mondo senza barriere commerciali», o forse perché quella visione decisamente ottimistica del «resto del mondo» le è sembrata esagerata, la signora Albrigh ha aggiunto che comunque gh Stati Uniti sono pronti a «riesaminare» la loro polìtica nei confronti di Cuba, se da lì verranno dei segnali che «qualcosa sta cambiando». La «controffensiva culturale» che i responsabili della Gioventù comunista cubana sembrano in- tenzionati a lanciare non è certo il «segnale» di cui la signora Albright parlava, ma visto che le sue parole avevano lasciato un po' freddo l'uditorio, per scaldarlo il segretario di Stato ha subito cambiato argomento, e tono, dicendo con perentorietà che «se gh altri Paesi vogliono vendere a casa nostra sarà bene che imparino a permettere agli americani di fare affari in casa loro». E gli applausi sono arrivati scroscianti. Franco Pantarelli La Albright: ci piacerebbe mutare politica nei confronti di Castro ma lui non cambia metodo Un'immagine di una via dell'Avana

Persone citate: Albright, Madeleine Albright