«Fiero di essere della Folgore» di Luigi Grassia

«Fiero di essere della Folgore» INTERVISTA UNA VOCE CONTRO «Fiero di essere della Folgore» Un ex para: vi racconto la verità sulla missione Ibis TORINO. Marino Sommaggio, 26 anni, vive a Torino e ha partecipato alla missione Ibis in Somalia fra l'aprile e il luglio del 1993 come artigliere paracadutista della Folgore. Come ha vissuto quel periodo? Che può dirci delle torture? «Chi adesso pretende di giudicare non ha vissuto quei momenti difficili, non era lì quando i nostri compagni tornavano feriti dal checkpoint Pasta. Non vi scagliavano addosso una caterva di sassi mentre passavate per le strade, non vi tiravano i coperchi acuminati delle latte come fossero dei "frisbee", non vi urlavano in continuazione "Italiani Mafia", non stavate a 40 gradi all'ombra, non lavoravate 24 ore al giorno per una massa di ingrati e soprattutto non avevate addosso la pressione che si ha quando si sa che in ogni momento si può rimanere gravemente mutilati o morire». Va bene, ma le torture? «All'epoca dell'attentato a "Pasta" quattro somali sono stati arrestati dai carabinieri paracadutisti del Tuscania, per aver partecipato all'attentato contro di noi. E sono stati portati nel mio campo al Porto vecchio. Sono stati legati e incappucciati con i sacchetti che venivano usati, riempiti di sabbia, per fortificare le postazioni. Adesso sì, questa per voi può essere una violazione dei diritti umani. Ma in ambito militare si fa così per impedire che il prigioniero una volta rilasciato possa fornire informazioni sulla disposizione del campo e sulle forze presenti». Come sono andati gli interrogatori? E che fine hanno fatto i prigionieri? «Le posso dire che durante l'interrogatorio le urla si sentivano per tutto il campo. Poi i somali sono stati portati via, non se n'è saputo più niente. Ma non c'era una persona fra noi, glielo assicuro, che dicesse "poverini, che cosa gli stanno facendo?". Dopo aver visto quei ragazzi feriti e uccisi dalle stesse persone che aiutavano, era il mimmo che si doveva fare. Di questi ragaz¬ zi però si è parlato poco o niente, come mai? Eppure anche loro come me hanno fatto fare una bella figura all'Italia per bene, che dal salotto di casa sua guarda e giudica. Quell'Italia che deve far credere al mondo di essere una potenza pari agli Stati Uniti o all'Inghilterra, ma a fare questi lavori manda i figli della povera gente, come fanno tutte le altre nazioni del resto». L'astio per i somali è nato dal singolo episodio di «Pasta»? 0 ci sono stati altri fatti a scavare questo solco? «Invece di onorare i morti italiani ci preoccupiamo di come sono stati trattati i somali, ci paragonate alle SS e ci attribuite chissà quali atrocità. Ma guardate che i somali non erano poi chissà che angeli. Quante volte è capitato che ci privavamo noi dell'acqua da bere per darla ai ragazzini che ci urlavano in continuazione "Bio! Bio! Bio!" (acqua). E una volta che gli si dava la bottiglia, davanti ai nostri occhi l'aprivano e la svuotavano per terra, gli serviva solo la bottiglia di plastica per metterci dentro la nafta. E non parliamo degli aiuti alimentari, una volta distribuiti anziché tenerseli per mangiarli andavano a venderli nei mercatini locali. E quante volte ci è capitato che qualcuno con tre o quattro mogli cercasse di venderci una notte di passione con una di loro a 20 dollari». Che cosa ne conclude? «Da quello che ho visto io è gente che non ha voglia di fare niente. Lì lavoravano solo le donne. Gli uomini stavano tutto il giorno seduti ad aspettare che noi gli dessimo da mangiare. E tutto sommato non hanno ricevuto quel trattamento terribile che volete far credere». Lei assolve totalmente i soldati italiani? Neanche un po' di autocritica? «Sì polemizzate tanto sulla Folgore, ma non dite niente dei legionari francesi che hanno fatto 18 morti in una volta, perché una camionetta non si era fermata a un posto di blocco. Questo non ha fatto una gran notizia. I pakistani morivano sotto gli attentati dei somali come le mosche, non se n'è saputo niente. I somali ci hanno attaccato al Porto nuovo con tre razzi RPG-7, anche di questo non si è parlato granché. E neanche degli americani che avevano il grilletto libero, se solo un somalo si azzardava a tiragli una pietra partiva subito una raffica, e state sicuri che a loro pietre non ne tiravano. Noi invece dovevamo rendere conto di ogni colpo sparato. Io penso che anche noi avremmo dovuto fare come gli americani. In quelle situazioni bisogna essere decisi e non si può fare i buoni samaritani per far contenti quelli che stanno a casa». La gente che magari era favorevole alla missione militare ma la voleva senza uso della forza. Che cosa vorrebbe dirle? «La gente che sta a casa si deve mettere in testa che queste operazioni, diciamo "umanitarie", sono azioni militari in terre ostili, e pertanto bisogna comportarsi di con- seguenza. Non si può andare lì a farsi prendere a calci nel culo e a rischiare la vita per non aver sparato un colpo in più. Diciamo alla gente le cose come stanno e come si devono fare. Se poi la loro coscienza gli vieta di vedere o di sapere queste cose, allora bene, ce ne stiamo a casa tutti, anche le forze annate, che è la cosa migliore. Smettiamola di raccontare le favole per piacere, non esistono missioni militari umanitarie». Dell'intervento in Albania che cosa pensa? «In Albania i nostri ragazzi non possono fare niente come in Somalia. Che cosa li abbiamo mandati a l'are? Perché così magari ne ammazzano qualcuno?». Provi a fare un bilancio della sue esperienza in Somalia. «Sono orgoglioso di essere stato un paracadutista della Folgore. Nella Brigata sono stati e sono tutti dei grandi uomini, con il coraggio di fare cose che pochi fanno. La missione Ibis è stata una grande esperienza che mi porterò sempre dentro, e vorrei che molti altri ragazzi l'avessero fatta per capire che non c'è solo la realtà che vivono in Italia. 1 ragazzi di oggi hanno perso molti valori. Abituati a questa società consumistica e individualista, perdono di vista i valori veri della vita». Luigi Grassia

Persone citate: Marino Sommaggio