Nello scontro Parigi-Bonn è Roma a rischiare di più di Massimo Giannini

Socialisti all'attacco Nello scontro Parigi-Bonn è Roma a rischiare di più E' I M manna - come ieri pome" riggio ha spiegato al telefono il ministro degli Esteri Lamberto Dini al suo nuovo collega francese Vedrine - nella misura in cui la posizione di Parigi contribuisce a rafforzare in tutta Europa il «bilanciamento politico nel processo di integrazione monetaria», e sul quale la Farnesina ha impostato la sua strategia diplomatica di queste ultime settimane. Dini, ieri, ha toccato più volte questa corda, trovando una sponda convinta nell'alleato transalpino: le politiche economiche rigorose, pur se necessarie, non possono alla lunga non creare difficoltà e lacerazioni nel tessuto sociale, specialmente in fasi di bassa congiuntura come quella attuale. Quindi - è stato il messaggio di Dini, pienamente condiviso dal ministro francese - le date e i criteri del Trattato di Maastricht non si discutono, ma i Paesi dell'Unione hanno l'obbligo di occuparsi non solo della stabilità della finanza pubblica, ma anche della crescita dell'economia. Ben venga la pausa di riflessione sul Patto di stabilità invocata dai francesi, se serve a irrobustire il principio secondo cui sia nella valutazione degli «ins» e degli «outs» sia nel funzionamento a regime della moneta unica - peseranno non solo i decimali di punto nel rapporto deficiVPil, ma anche i giudizi globali sui singoli Paesi e gli obiettivi generali di politica economica e occupazione. Questa linea, fissati i paletti sull'intangibilità delle scadenze e dei criteri dell'Uero, trova concorde anche Ciampi che ieri è tornato a ripeterlo all'Ecofin: l'Euro è moneta, ma è anche politica. Nella svolta francese il ministro del Tesoro legge la chiara impronta di Jacques Delors, che aveva anticipato la linea del nuovo esecutivo socialista in un'intervista al Die Zeit di una settimana fa: «Jospin è esplicito nella sua volontà di applicare il Trattato dell'Unione economica e monetaria. Nient'altro che il Trattato, ma tutto il Trattato! ... Compreso quindi il suo articolo 103 in base al quale il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo definisce ogni anno le principali direttive di politica eco- nomica ai fini del coordinamento tra le politiche nazionali. Jospin concludeva Delors - vuole che le norme applicative di questo articolo 103 siano specificate dettagliatamente in un Protocollo, che dovrebbe essere allegato al Patto di stabilità...». Fin qui manna, appunto. Ma perchè la svolta di ieri rischia di trasformarsi in una «pillola avvelenata» per noi? La ragione sta negli esiti della prevedibile turbolenza che questa svolta scaricherà nelle relazioni franco-tedesche. A giudicare dalla stizzita reazione di Theo Waigel, ministro delle Finanze di Bonn, non c'è da sperare in nulla di buono in vista del decisivo vertice di Amsterdam della prossima settimana. Le tensioni tra Parigi e Bonn hanno una duplice origine. La prima è di metodo: dal cambio di governo, in un impulso di grandeur e di residua cultura di Stato-Nazione, la Francia trae spunto per riaffermare la propria autorità e sovranità politica nello scacchiere europeo, e dunque per alzarvi il prezzo della sua permanenza. La seconda è di merito: Possessione della convergenza monetaria» - a giudizio dei socialisti francesi - è costata all'Europa almeno 3 punti di crescita di Prodotto lordo negli ultimi cinque anni, e quella che Delors definisce l'«autosuggestione dei tedeschi che vedono pericoli dovunque per la stabilità dell'Euro» è materia da psicologo, più che da Commissione europea o da Comitato monetario. Quindi - piaccia o no alla Germania e alla Bundesbank - bisogna tornare allo spirito del Trattato, a una moneta unica che nasca nei termini prestabiliti, ma che sia veicolo di crescita e di lavoro. Questa linea - che del resto Jospin aveva anticipato con chiarezza al congresso di Malmoe suscitando i consensi di tutta la Sinistra europea - non può non irritare i tedeschi che, per esorcizzare le paure ricordate da Delors, contano di usare l'applicazione inesorabile dei criteri di Maastricht e del Patto di stabilità e l'inasprimento draco¬ niano delle politiche fiscali come strumento di selezione naturale delle valute, e quindi di esclusione dall'Euro dei Paesi deboli, Italia, Spagna e Portogallo. Come reagiranno allora Kohl e Waigel alla nuova posizione francese che di fatto, non mirando a un rinvio esecrato da tutti, finisce col rimettere sulla pista di Maastricht proprio i Paesi del cosiddetto «Club Med»? Ieri sera, ai piani nobili del Tesoro, non si nascondeva la preoccupazione: «Il cancelliere non può accettare la richiesta di Parigi - si commentava - perchè questo, a pochi mesi dalle elezioni, agli occhi dell'opinione pubblica tedesca verrebbe letto come un grave cedimento tattico ai francesi e una pericolosissima 'minaccia' politica per la forza futura dell'Euro. Quindi è prevedibile che, se lo scontro si inasprisce, la Germania userà come arma di ricatto proprio il rinvio». Eccola qui, la poison pili per il Belpaese. Quella che angoscia Ciampi e che impedirà oggi a Prodi di sposare con toni troppo trionfalistici la pur benedetta proposta francese. Se lo scontro tra i vasi di ferro franco-tedeschi producesse come esito lo slittamento anche solo di 12 mesi dell'avvio della moneta unica rispetto alla scadenza del primo gennaio '99, a rompersi come un vaso di coccio sarebbe l'Italia, sotto i prevedibili colpi della speculazione. Già oggi il regime di transizione verso la primavera del '98, allorché il Consiglio europeo dovrebbe riunirsi per decretare chi farà parte e chi no della moneta unica, è fitto di insidie quotidiane per la nostra mone¬ ta e i Btp. Ieri, dopo la sortita francese, non a caso hanno perso più di una lira e hanno visto riaprirsi la forbice del differenziale dei tassi con i Bund tedeschi. Prolungare addirittura questa già tormentata transizione potrebbe rivelarsi fatale non per la Francia né per la Germania - che tutto sommato vedrebbe schizzare verso l'alto il suo marco tornato ad essere il bene-rifugio di sempre - ma proprio per l'Italia. Per questo, prevedibilmente, nei prossimi giorni assisteremo ad un forcing diplomatico di Prodi, di Ciampi e di Dini per accelerare i tempi della decisione su chi sta fuori e chi sta dentro. Tutti e tre sanno bene infatti che il rischio, in caso contrario, è che a decidere per noi siano direttamente i mercati, attaccando la lira e spingendola fuori dalla banda di oscillazione del 2,25% accordataci con il rientro nello Sme. E a quel punto, addio pulcino. Massimo Giannini