STORIE di CITTA'

3 t 3 t 3 torte ittà g _ Ga lato o di leggerissima pasta di biscotto (la stessa pasta dei pazientini quaresimali, questi ultimi lavorati a forma di lettere dell'alfabeto o di numeri). Grazie signora Paviolo: chissà se, in qualche sperduto angolo del Piemonte, c'è ancora qualcuno capace di fabbricare le ressie commestibili. Sempre a proposito di tradizioni, un tema che ha suscitato molti appassionati interventi è stato quello delle varie forme del pane e dei relativi nomi. I lettori si sono dimostrati interessati soprattutto alla forma conosciuta come La cagnulén 'd Lissondria cioè «Il cagnolino di Alessandria». In particolare Giorgio Amprimo, che per la dovizia di segnalazioni è veramente il primo collaboratore di questa rubrica, mi ha mandato, oltre a un bel disegno a colori di questa forma di pane, anche la sua esatta descrizione redatta dall'alessandrino Luigi Gatti, che mi affretto a trascrivere per la gioia di tutti gli appassionati. «Forma di pane a taschino, con dimensioni medie di 15 centimetri di lunghezza e 8 di larghezza, rastremazione a punta, calotta superiore ripiegata a coperchio. Cotta al forno, presenta una crosta esterna deliziosamente dorata ed una g _ Brano Gamba rotta mollica interna cotta e morbida. E' stata la forma di pane preferita dalle generazioni locali precedenti il cinquantennio, soprattutto adottata dalle giovani generazioni di allora per colazioni e merende rapide, data la facilità con cui veniva rimossa e rimessa in loco la mollica interna consentendo il condimento a piacere della tasca». E' così viva questa descrizione che ti sembra di vederli i furbi alessandrini mentre rimuovono la mollica e nascondono il piccolo tesoro del loro condimento. «Tu cosa mangi?», chiedevano curiosi i compagni di gita, e loro: «Non lo vedi, è solo un pezzo di pane, un cagnulén». Anche Pier Andrea Tibaldeschi mi ha mandato il disegno del cagnolino di Alessandria, di profilo e in pianta, aggiungendo che «a Vercelli si chiama basletta, vale a dire bazza o mento per via della forma». Invece un lettore che ho incontrato al Salone del Libro ha corretto una mia libera interpretazione. A proposito delle pupe 'd Savoiarda io avevo fatto l'ipotesi scherzosa che si trattasse di un pane che riproduceva il seno prosperoso delle ragazze originarie della Savoia. Invece no, il Savoiarda in questione è una razza di capra e le pupe sono le sue. Ma non basta: l'infaticabile Giorgio Amprino mi ha segnalato il dizionario di Luciano Giteli:, edito dalla EdiValle-A, «Prima che scenda il buio» in cui sono elencate ben 85 forme di pane in uso in Piemonte, a dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, della centralità e dell'importanza di questo cibo per i nostri vecchi. Il Gibelli è una miniera di notizie e di memorie; tra l'altro ricorda quando il pane si faceva in casa e lo si portava a cuocere nel forno; da qui la necessità di marchiarlo con unaforma particolare per distinguere le proprie pagnotte da quelle degli altri. 0 il pane di meliga che era chiamato Ras-cetta, cioè Raschietta perché veniva utilizzato, a causa della sua ruvidezza, per raschiare il fondo del piatto per raccogliere il sugo, quell'azione conosciuta anche come «fare scarpetta» e che, a torto, viene stigmatizzato dagli esperti di buone maniere. Vorrei chiudere questa infornata di pane, citando, sempre dal Gibelli, il Pan del pom detto anche Panrusnent, cioè il pane della mela, consistente in una mela ruggine impacchettata in un foglio di pasta di pane e messa a cuocere nel forno. Come tutti i cibi che ti ricordano l'infanzia, non lo scambieresti con il piatto più raffinato e costoso del mondo. Avvolto nel delizioso profumo del pane appena sfornato, ti saluta il tuo Felice Pausasse» VENERDÌ'

Persone citate: Gamba, Gibelli, Giorgio Amprimo, Giorgio Amprino, Luciano Giteli, Luigi Gatti, Paviolo, Pier Andrea Tibaldeschi

Luoghi citati: Alessandria, Piemonte, Savoia, Vercelli