POLILLO, L'EDITORE ESORDISCE IN GIALLO

POLILLO, L'EDITORE ESORDISCE IN GIALLO POLILLO, L'EDITORE ESORDISCE IN GIALLO TESTIMONE INVISIBILE Marco Pollilo Piemme pp. 371 L 30.000 TESTIMONE INVISIBILE Marco Pollilo Piemme pp. 371 L 30.000 ON è cosa da tutti i giorni trovare un editore che scriva gialli e che tenti la scalata della classifica inerpicandosi per i sentieri misteriosi del delitto. Il primo a farlo è Marco Pollilo, quel figlio maschio quasi cinquantenne, capelli precocemente bianchi e pettinatissimi, di Arrigo Pollilo - jazzista e critico di razza - che, dopo anni sudati tra Rizzoli e Mondadori, ha deciso di mettersi due volte in proprio: primo, pubblicando lavori di altri. Secondo, cimentandosi in storie sue milanesissime, da fare uscire - noblesse oblige - nei cataloghi della concorrenza. Un esordio dunque, Testimone invisibile, che partorirà - tanto inevitabilmente quanto dichiaratamente - almeno un figlio con il suo contorno di avvocati, notai, malavitosi da ippodromo, medici, belle donne traditrici, portinaie laboriose, mariti enigmi¬ sti, mezze maniche delle tasse, commissari, omicidi a sangue freddo (tre, di cui uno commesso - in pratica - al telefono) e colpi di scena a raffica con tanto di segnalibro-elenco di personaggi per non perdersi nei meandri di un thriller urbano ridondante di maschere e di vicenda. Allora, Pollilo, come nasce un editore-scrittore? «Nel mio caso alla Penta, quando un poveraccio come me, precipitato nel bel mezzo di una guerra stellare tra Berlusconi e Cecchi Gori, si accorge di essere stato preso in giro ed è costretto ad una sorta di anno sabbatico di inutilità dietro ad una scrivania che doveva decidere (falso) del futuro del cinema italiano e che - per sopravvivere - tira fuori dal cassetto una vecchia trama appena abbozzata e decide di farne un romanzo vero. Nello stesso tempo, vista l'insopportabilità della situazione, incomincia anche a pensare a che cosa farà da grande, senza più padroni o proprietari. Unica soluzione: una casa editrice sua». Ma il narratore, che genitori ha? «Agatha Christie e Hartley Howard: vi ricordate quell'investigatore gentiluomo e scanzonato che rispondeva al nome di Glenn Bowmann? E poi Dickson Carr, Rex Stout, Ellery Queen. Il giallo di ragionamento elegante, in sostanza, senza brutalità. Un misto di scuola inglese Anni 30 e americana alla Earl Stanley Gardner, sia che facesse Perry Mason sia che giocas¬ se con Donald Lamb e Bertha Cool. Sul tutto, una spruzzata italiana in stile Donna della domenica». Come fa un editore a trovare un editore? «Per caso. In una sera a cena da Cristina Poma che festeggia Spinosa ed il suo romanzo per Piemme. Il giorno dopo le mando dei fiori per ringraziarla e lei mi dice: "A proposito: quella tua cosa, perché non la fai per noi? E' buona, vale la pena, dai che ci divertiamo". Tutto qui». E per contratto e anticipo? La sua specialità, se non sba¬ glio... g«Anticipo? Pochissimo. Un esordiente non sta a trattare. Per il contratto invece, due pagine di precisazioni. Ma non per i soldi: solo la formulazione. Avevano un vecchio modello inadeguato. E un contrattualista ferrato come me...». Veniamo al romanzo: 20 personaggi nelle prime 10 pagine... «Troppi? Mah... Io odio i libri da 200 pagine e adoro quelli con impianto largo, con tanta suspense, tanti risvolti, tanto contorno. Di Marco Polillo esordisce con «Testimone invisibile» per Piemme conseguenza i protagonisti bisogna buttarli dentro subito, fin all'inizio. A me servono tante figure, non una sola, quella tipica del giallo all'italiana: il commissario. Sì, il commissario c'è, ci mancherebbe, ma non è mai centrale. Perché preferisco tanti deus ex machina anomali (il portiere, la falsa contessa, il ragioniere e così via), ognuno dei quali, scoprendo un elemento, provoca il continuo succedersi di colpi di scena. E per far questo non posso farli comparire dopo un centinaio di pagine. Devono essere immediatamente noti, ciascuno con un suo ruolo ben preciso. In sostanza: nel prossimo romanzo voglio essere in grado di sceglierne uno qualsiasi come filo conduttore. Perché limitarsi ad un solo - sempre lo stesso - commissario?» Già, perché? Piero Sorta »