L'Italia delle prebende d'oro di Francesco Grignetti

9 Bassanini ha messo a punto due misure per riordinare la giungla retributiva dei megadirigenti pubblici L'Italia delle prebende d'oro Ecco come nei ministeri si «arrotonda» lo stipendio ROMA. Il percorso è sempre più difficile. Ma loro, i megaboiardi di Stato, in allegra compagnia di megadirigenti ministeriali e megamagistrati amministrativi, ormai sono allenati. Le regole del gioco sono facili a dire: accumulare cariche, incarichi e prebende in aggiunta allo stipendio di base. Gioco mica tanto virtuale, però. Perché, sia pure nel rispetto di ogni regola, e quindi ovviamente dichiarati nel 740, gli stipendi medesimi riescono a lievitare da soglie appena rispettabili per quei ruoli (in media duecento milioni lordi all'anno) a vette ben più comode (si sfiora il miliardo). Qualche nome, tanto per gradire. Il ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio, nel 1992 (ultimi dati disponibili) dichiarava al fisco 236 milioni di reddito da lavoro dipendente e 418 milioni da lavoro autonomo. Il direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, sempre nello stesso anno, incassava 351 milioni dal lavoro dipendente e 37 dall'autonomo. Ora, prima di gridare allo scandalo, c'è da considerare che nel settore privato, a parità di responsabilità, si guadagnano cifre molto superiori, fi se lo Stato decide di tenere tra le sue file tanti uomini di vaglia, li deve pagare adeguatamente, fi fatto è che i meccanismi burocratici sono quelh che sono. E così, anziché fissare una bella cifra di stipendio (e magari prevedere anche adeguati premi di fine anno) si preferisce lasciare aperta la porta all'incarico secondario, alla collaborazione, alla consulenza, alla poltrona nel consiglio di amministrazione e a quant'altro. Presso il rninistero della Funzione pubblica, per monitorare adeguatamente il fenomeno, da almeno cinque anni è in funzione una «Anagrafe degli incarichi e delle prestazioni svolte dai dipendenti pubblici». In questi cinque anni di monitoraggio a dir poco parziale sembra che una minima parte delle unità ainministrative interessate abbia mandato la documentazione al ministero - sono saltati fuori novantamila dirigenti e funzionari pubblici che fanno il doppio lavoro per conto dello Stato. Sempre nei cinque anni, hanno incassato 752 miliardi oltre lo stipendio regolare Tanto per avere un'idea degli incarichi del 1994: 2299 poltrone in consigli di annninistrazione, 660 in collegi sindacali, 3244 mandati di revisore dei conti nelle scuole, 750 in enti e 75 nelle università, 17.082 in commissioni varie, 2500 in gruppi di lavoro, 596 in comitati, 7003 consulenze tecniche, 2083 direzione lavori, 591 collaudi opere pubbliche, 251 arbitrati, 35.083 docenze e 152 commissari ad acta. Per rendersi conto dell'entità del fenomeno, basta sfogliare la Gazzetta Ufficiale. Naturalmente nel gran calderone della statistica c'è un po' di tutto. Ci sono, ad esempio, i componenti della commissione elettorale del comune di Portici (Napoli) che si sono guadagnati l'onore di una interrogazione parlamentare, a firma del deputato Alfonso Pecoraro Scanio, Verde, visto che «percepiscono l'irrisorio, e mortificante, riconoscimento di lire 3000 lorde a seduta». Con questi suoi diseredati dipendenti, lo Stato mostra la sua faccia più arcigna. C'è poi, è proprio il caso di dire, l'altra faccia della medaglia (di presenza). Quello aureo. Per restare ai redditi del 1993, ad esempio, Lorenzo Pallesi, che aveva la veste di presidente dell'Ina - ente ancora non privatizzato - trascinandosi ta istituita ppi lavori» ano i dati dietro la vicépresidenza della As'sitalia, nonché un posto di annninistratore delle società Inasim, nell'Istituto del credito fondiario, nella Compagnie d'Assurances, nell'Aeriennes & Terrestres di Parigi, totalizzava 757 milioni di reddito da lavoro autonomo. Il marchingegno, se così si può dire, è sempre lo stesso. La carica principale garantisce un certo reddito. Ma i guadagni veri, e i più graditi perché in fondo c'è hen poco da faticare, vengono dalle cariche accessorie. Enzo Berlanda, come da dichiarazione dei redditi del 1993, da presidente della Consob dichiarava 99 rnilioni di reddito da lavoro dipendente e 532 milioni da lavoro autonomo. Franco Viezzoli, che era all'epoca il presidente dell'Enel, dichiarava 61 milioni da lavoro dipendente e 533 da reddito autonomo. Il settimanale economico «Il Mondo» ha condotto una lunga inchiesta tra i redditi aggiuntivi dei burocrati d'oro. Sono emersi tanti nomi, noti solo agli addetti ai lavori, che però cumulano fino a sei-sette incarichi distinti. Un gioco a incastro in cui Stefano Parisi, ex segretario generale delle Poste, attualmente capodipartimento economico di palazzo Chigi, ha mantenuto il posto nel consiglio di amministrazione della Rai che spetta al ministero delle Telecomunicazioni. Stefano Torda, capodipartimento del turismo di palazzo Chigi, siede nel consiglio di amministrazione della Insud (finanziaria turistica controllata dal Tesoro) e di conseguenza aveva un seggio persino alla Valtur. Ma c'è ben poco da scoprire. Il capitalismo di Stato, strettamente intrecciato con le strutture ministeriali di controllo, genera incarichi. < Per cercare di mettere ordine in questa vera e propria giungla retributiva, il ministro Franco Bassanini ha pensato a un paio di misure che potrebbero rivelarsi trappole micidiali per i collezionisti di incarichi. Tanto per cominciare, l'Anagrafe degli incarichi presso il ministero della Funzione pubblica non potrà più essere snobbata come accade ora: le amministrazioni pubbliche che non abbiano inviato i dati, come da legge, entro il 31 dicembre 1996, non potranno più «conferire nuovi incarichi». Ci aveva già provato anche Franco Frattini, predecessore di Bassanini, nel 1995, a mettere ordine, addirittura distribuendo un software speciale alle varie amministrazioni. Ma poi il governo Berlusconi era caduto e non se ne era pm parlato. La seconda «tagliola» di Bassanini riguarda i compensi: fino a 200 milioni, i soldi vanno direttamente all'interessato; oltre i 200 milioni, la metà viene devoluta alle casse dell'anuninistrazione di appartenenza. E' chiara la ragione: quei soldi arrivano in ragione della carica, non della persona. E' giusto che in parte rientrino nelle casse dello Stato. Da oggi in poi, inoltre, per le amministrazioni pubbhche è d'obbligo d'informare semestralmente la presidenza del Consiglio di ogni incarico di consulenza o collaborazione esterna. In verità, qualche forma di controllo già esiste. La presidenza del Consiglio aggiorna da oltre dieci anni un elenco con la situazione patrimoniale dei titolari di cariche direttive di alcuni enti a partecipazione pubblica (e presto si aggiungeranno i dirigenti dell'amministrazione pubblica). E' qui che si può scoprire - i dati sono aggiornati al 1993 - quanto guadagnano Giampiero Cantoni, presidente Bnl fino al 1992 (726 milioni); Romano Prodi, cessato presidente Iri (18 milioni di lavoro dipendente, 487 milioni di lavoro autonomo); Franco Bernabé, amministratore delegato dell'Eni (472 milioni dal lavoro dipendente). Enrico Micheli, che oggi siede alla presidenza del Consiglio come sottosegretario, e che nel 1993 era direttore generale dell'Ili (585 milioni di reddito da lavoro dipendente). Sergio Siglienti, presidente Ina (480 milioni lavoro dipendente, 285 milioni lavoro autonomo); Ferdinando Ventriglia, cessato amministratore delegato del banco di Napoli (un miliardo 160 milioni di lavoro dipendente, 29 milioni di lavoro autonomo); Emmanuele Emanuele, vicepresidente Cassa di risparmio Indennità pdi 1.650.0Indennità dper l'Italia, anche ques di Roma (1 miliardo 198 milioni di lavoro autonomo); Vincenzo Desario, direttore generale Banca d'Itaha (391 milioni da lavori dipendente); Davide Croff, amministratore delegato Bnl (796 miliom da lavoro dipendente); Roberto Mazzotta, cessato presidente Cariplo (380 milioni da lavoro autonomo, 47 da redditi di partecipazione); Gianni Zandano, presidente banca San Paolo (868 milioni da lavoro autonomo); Giovanni Billia, presidente Inps (170 milioni da lavoro dipendente, 25 mihoni da lavoro autonomo); Victor Uckmar, presidente della società Zona Franca-porto di Genova (152 milioni da lavoro dipendente, 446 mihoni da lavori autonomo, 1 miliardo e mezzo da redditi di partecipazione). Fin qui, il librone azzurro che la presidenza del Consiglio stampa ogni anno. Si conosce meno un altro librone, depositato presso il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (il Csm dei giudici amnnnistrativi), che raccoglie altre curiose informazioni. Il «registro» nacque nel 1993, quando a palazzo Chigi c'era Carlo Azeglio Ciampi e cominciavano a sentirsi gli spifferi della Seconda Repubblica. Partì all'epoca una campagna per limitare gli incarichi extragiudiziari dei giudici. Da cinque anni è stata istituita una anagrafe dei «doppi lavori» ma gli uffici non mandano i dati E il Tar continua a salvare gli arbitrati miliardari che «piovono» su alcuni giudici PAGA» MENSILE DEI DEPUTATI Indennità base: 16.933.399 (+ 800 mila dell'aumento proposto l'altro ieri). Ritenute: previdenza (8,60?/o), fondo di solidarietà (6,70%), sanità integrativa (4,50%). Totale: 19,90% (3.352.813). Netto in busta paga: 7.945.631 (+ 400 mila con l'ultimo aumento). Rimborso per vitto e alloggio (diaria): 251.100 mensili fisse; 275.000 variabili per 15 giorni di seduta mensile (totale 4.125.000). Rimborso spese di segreteria e rappresentanza: 6.500.000. Indennità per spese di viaggio: da un minimo di 1.650.000 a un massimo di 1.983.000. Indennità di missione: 200.000 lire al giorno per l'Italia, 250.000 per l'estero (sottoposti anche questi a tassazione del 100%). Stipendi da centinaia di milioni l'anno e in più prebende per le varie collaborazioni: ecco quanto guadagnano i «mega-boiardi» di Stato re ni giudici Fu allora che il Consiglio dei magistrati amministrativi decise di istituire il «registro». Da allora, sono quattro anni che confluiscono b tutti i dati sugli incarichi. Che si dividono essenzialmente in due tipi: insegnamento (tutta gloria) e arbitrati (tutti soldi). L'arbitrato è una parola magica che significa giustizia parallela e veloce, ma a pagamento. Gli arbitri risolvono infatti rapidamente i contenziosi tra ditte private e l'amministrazione pubblica. Qualche volta sono addirittura obbligatori, gli arbitrati. Solo che gli arbitri incassano una percentuale sulla cifra del contenzioso: il presidente del collegio arbitrale - se c'è, è sempre un magistrato - incassa dai cento ai cinquecento milioni a volta. Si calcola che nel 1995 siano stati devoluti 350 miliardi per gb arbitrati. Inutile dire che la posta in gioco è talmente alta, che quasi quotidianamente i consiglieri di Stato vanno a controllare il «registro» per vedere come va ai colleghi. E poi, se del caso, protestano. Anche qui, ci sono i recordman e i peones. In genere, i magistrati dei Tar rastrellano ben poco. All'inverso, i presidenti di sezione del Consiglio di Stato fanno il pieno Qualche caso, preso tra questi ultimi, relativi al 1995. Venerio Cattaui è arbitro in contenziosi tra Consorzio Tagliamento e Regione Friuli Venezia Giulia, tra Edilstrade e Comune di Rimini, tra Cogefarimpresit e Federazione italiana lotta pesi judo, nonché presiede la commissione d'inchiesta sulla centrale Enel a Chivasso. Lorenzo Cuonzo arbitra tra Federici e Autostrada MessinaPalermo, tra impresa edile Zorattini e Iacp Trieste, tra Impresa Telea Tardito e Anas, nonché presiede alla commissione d'inchiesta sulla centrale Enel a Cavriglia. Pasquale De Lise è arbitro tra Consorzio Fermag e Ferrovie dello Stato, tra Garboli Rep e Svei, società Raiola e Anas, tra Ripa costruzioni e ministero delle Finanze, impresa Romano e Comune di Favignana, nonché presiede la commissione d'inchiesta sulla centrale Enel a Livorno. Giovanni Imperatrice è arbitro tra Consorzio Corav e Lavori Pubblici, tra Dipenta e Lavori pubblici, Costruzioni generali prefabbricate e Anas, impresa Romano e comune di Favignana, tra Pizzarotti e Anas, tra Ferrocemento e consorzio bonifica Lessino-Euganeo, tar Co.Ed.Ar. e Comune di Sartre Finsiel e regione Tosca- teano, na. Si potrebbe continuare a lungo. Dice Franco Frattini, che è un consigbere di Stato prestato alla politica: «Il Senato ha già approvato ima legge di riforma che abolisce gli arbitrati. Per i contenziosi ci si dovrebbe rivolgere alla magistratura. Se l'arbitrato resterà in piedi, ci si dovrà rivolgere a magistrati in pensione. Non vorrei che la furia iconoclasta serva solo a estromettere i magistrati, che hanno una formazione all'insegna dell'indipendenza, a beneficio degli avvocati». Ad abolirli, gb arbitraci, che gettano una luce poco cristallina sui giudici, ci aveva già provato la Bicamerale di Aldo Bozzi (commissione sulla giustizia coordinata da Ciriaco De Mita), nel 1992. Ci aveva provato anche Carlo Azeglio Ciampi, nel 1993. Ci sta provando da tempo il Csm, che nega sistematicamente il permesso al singolo magistrato e si trova regolarmente sconfessato dal Tar e dal Consiglio di Stato. E comunque il problema potrebbe risolversi alla radice se il 15 giugno gli italiani votassero il referendum radicale sugli incarichi extragiudiziari, che avrebbe l'effetto di vietarli ai magistrati. Francesco Grignetti