Disordine globale in tecnoconference

Disordine globale in tecnoconference Trionfa la mondializzazione. Ma l'ultima emozione è ancora il «fantasma» di Pannella Disordine globale in tecnoconference VNAPOLI OLEVATE la globalizzazione? Beh, eccola qua, al convegno napoletano di Palazzo reale, certificata dalla simultanea presenza dell'islamista Lewis e di un autentico pezzetto di Transatlantico: Pippo Marra, Lino Jannuzzi e Gustavo Selva in pellegrinaggio procossighiano. Quindi si entra in sala, e con un po' di buona volontà si potrebbero ascoltare le considerazioni tecno-istituzionali del tecno-giurista Baldassarri, per dire, in tecnoconference, come t'incoraggia incessantemente la striscia elettronica a fianco del palco (englìsh, francais, deutch). E poi si esce per un coffee-break, si ritorna dentro e Baldassarri è svanito, al suo posto si può materializzare, ad esempio, lo studioso Keehn che naturalmente non parla più di Prima Repubblica, ma del liberalismo in Asia, mentre Cossiga, sullo scalone, riferisce di una telefonata di tipo sanitario a Berlusconi. E più tardi verrà premiato Sbimon Peres, e si potranno ascoltare musiche di Scarlatti, Liszt e Rossini. Mondiale, dunque, è il disordine sotto il cielo di Liberal. Un film corale di Altman, un quadro di Brueghel. Il cardinale e la Bicamerale, il rabbino e Bassolino, quindi Zanone, Maffettone e il lenzuolone che Pannella si è portato da Roma «in una busta di cartone», Diin t come ha rivelato. E che per la terza volta, secondo serializzatissime strategie, ha indossato sul palco, a beneficio di un nugolo di tv, con la opportuna collaborazione multifunzionale dell'editore-moderatore Consoli. Per quanto prevedibile, e anzi previsto, il fantasma pannelhano rappresentava l'ultima emozione. «Marco, non hai caldo?» ha domandato il professor Colletti. «Sì, ho caldo - ha risposto quello da sotto il lenzuolo - ma a volte cerco di vivere il mondo come volontà e rappresentazione». Il mondo: a conferma di un Pannella pure lui mondializzato, oltre che emblematicamente mascherato per via dei referendum. A quel punto è parso abbastanza chiaro che «l'eccedenza del valore simbolico sulla realtà», come da definizione dello storico Furet riadattata nel primo pomeriggio dal professor Barbera alla recente storia italiana, ecco insomma forse solo a quel punto s'è capito che il convegno stava cambiando, anzi era già cambiato. E magari, con un po' d'immaginazione, pròprio nel senso in cui - almeno a sen¬ le nce tire le relazioni - sta cambiando il mondo: tutto più veloce, complesso, immateriale, ripetitivo, tecnologico, artificiale. Non senza una punta di ragionevole catastrofismo fine secolo, riconoscibile del resto anche nelle parole con cui terminava il suo intervento sulle istituzioni il politologo Sartori: o qui si riesce a trovare qualche sistema, «o finiamo nello sfascio assoluto, e questo mi dispiacerebbe molto». Come ogni società globalizzata, chairmen e discussants combattevano costantemente contro il tempo, che fuggiva mentre si dissolvevano i confini tra le materie e fra i personaggi. L'onorevole Stajano, l'hostess in giacchetta rossa, il filosofo Bodei, la deputata russa e l'ammiragho Birindelli; l'etica laica, il nazismo, rirriformabilità del sistema fiscale e il doppio turno su cui nel frattempo era parso assestarsi, a Roma, l'onorevole Pisanu. Forse. Strozzato dalle tele-risse e dagli spot, l'antico convegno rivive in una dimensione «globalitaria»: totale e al tempo stesso occasionale. Perfino divertente e istruttiva; anche se la sera, nella testa, r«irredimibilità del male» s'incrocia non solo con 1'«illiberalità della Prima Repubblica», ma anche con l'impossibilità del semipresidenzialismo. Filippo Cec carelli

Luoghi citati: Asia, Roma