«La mia Somalia violenta di Francesco Grignetti

«La mia Somalia violenta «La mia Somalia violenta » Un para: altro che missione umanitaria UN ALTRO TESTIMONE ACCUSA ■TORINO 0 c'ero». Si chiama Salvio Tutone, ha 24 anni, dal dicembre '92 al marzo 93 è stato in Somalia. Caporalmaggiore del reggimento Guide, addetto alla logistica. Ha viaggiato anche a bordo di un blindato Centauro armato di tutto punto. Salvio ha letto «La Stampa», con le fotografie di «Panorama», e non è rimasto troppo stupito. Quello che ha vissuto, nel suo campo a Jalalassi, nella savana profonda della Somalia, non lo dimenticherà facilmente. Andiamo con ordine. Ci racconti la sua esperienza africana. <<Arrivammò7'ìh Somalia con lo spirito di una spedizione umanitaria, pacifica. Andavamo per portare da mangiare a gente che moriva di fame. E noi eravamo ragazzi di vent'anni. Poi però le cose cambiarono. In che senso cambiarono? «Tutto cominciò quando un cecchino ammazzò un marine. Gli sparò al collo durante la scorta a un convoglio. Da quel momento i marines cambiarono atteggiamento. Bastava che qualcuno alzasse un sasso e quelli reagivano. Anche intorno a noi italiani le cose cambiarono. Un poco alla volta ci trovammo nel pieno di una guerra, una sporca guerra africana, non so se mi spiego. Noi stavamo lì, trincerati, a fare convogli. I paracadutisti facevano i rastrellamenti e cercavano armi nei villaggi con ottimi successi». Ci furono morti? «Tanti. Tantissimi. I nostri poveri ragazzi del Pastificio. Quelli che facevano il footing al porto. E tanti altri. Allora, dico io, noi dovevamo andare in giro a farci ammazzare? Eh no». E i somali? «Io racconto quello che ho visto. Una notte il nostro campo fu attaccato. Lo dovete immaginare per quello che era: trenta tende nel deserto, circondate dalla concertina, che è un filo spinato tagliente come rasoio, un muro di sabbia, guardie ogni dieci metri, una vedetta che giorno e notte stava in cima a un palo. Dentro, eravamo in due-trecento a morire di caldo. Insomma, una notte ci attaccarono. Il corpo di guardia si mise a sparare da tutte le parti. I "tuscani", che sono i para del reggimento Tuscania, gente tostissima, uscirono dal campo. E finì lì». Non ci furono conseguenze? «Qualche giorno dopo, mi ricordo che portarono dentro due somali». E cosa accadde? «Li chiusero in un container che era da una parte e li gonfiarono di botte. Noi sentimmo le urla». E poi? «E' durata un giorno e una notte. Il giorno dopo li vedemmo un po' pesti». Chi c'era? «Non lo so». Ma che clima c'era nel campo? «Noi del reggimento Guide eravamo un gruppo di professionisti che stava da una parte. I para da un'altra. La maggior parte di loro era di leva. All'inizio i due gruppi non legavano molto. Forse perché venivamo da due caserme diverse e avevamo una mentalità, militarmente parlando, diversa». Che fine fecero quei due somali? «Non lo so. Io non c'ero. Poi ho saputo che non erano più nel campo». Scusi, Salvio, come mai adesso? «Volevo farlo, ma non ci sono riuscito. Perché noi, per tutti, eravamo i "mercenari". Ma qualcuno ci ha pensato che dei ventenni sono morti per i famosi cinque milioni al mese? Quando poi ieri ho visto le foto che quel para ha tirato fuori, allora ho pensato anch'io di chiamare il giornale». Anche lei, a casa, ha foto come quelle che si sono viste ieri? «No, io ho solo fotografie "buone". Si vede me in mezzo ai ragazzini somali. Io che do in giro gallette. Anche perché io ci tengo a dire che la missione in Somalia ha avuto anche tanti aspetti positivi. Abbiamo portato da mangiare a tanta gente. Abbiamo requisito le armi». Sì, bene, ma con che metodi? «Boli, ai rastrellamenti io non c'ero. So però che la sera i "tuscani" si raccontavano le loro cose, a mensa. Se ne vantavano». Anche voi che facevate la scorta ai convogli, però, non usavate la mano leggera. «Ma quando ti sparano addosso, qualcosa devi fare! Pure io, che ero arrivato con le migliori intenzioni, alla fine ero pronto a difendere la mia vita. Era cambiato il clima. Non c'era più lo spirito iniziale. Ma lo sapete che tutte le jeep dovevano mettere un tagliafili di protezione, davanti al cofano, perché i somali, quei bastardi, tendevano dei fili da un albero all'altro per decapitare i soldati che viaggiavano in macchina? Non so quanti fili ho tagliato anche io». Insomma, voi ragazzi italiani siete precipitati nell'inferno somalo dalla comoda vita italiana. «Esatto. Mettetevi nei panni di un ventenne che di colpo si trovi a Jalalassi. Non c'era nemmeno la corrente elettrica. Si viveva in tende. Un caldo soffocante. Il nostro passatempo consisteva nel far combattere ragni e scorpioni: li chiudevamo in scatola, e vincevano sempre i ragni. Sono tornato dimagrito di trenta chili. Stavo male per i sali che avevo perso. E tra l'altro l'esercito ci dissetava con tre litri di acqua oligominerale al giorno». Questo non giustifica che una missione di caschi blu dell'Orni si sia trasformata in una caccia al somalo. «E' che a un certo punto, dopo che abbiamo visto morire i nostri amici, tutto è cambiato. Racconto un piccolo particolare: quando facevamo la scorta ai convogli alimentari, mettevamo il colpo in canna. Mica il tracciante, però. Certo non davamo gli avvertimenti con il colpo in aria». Si sparava per uccidere, questo vuole dire? «Si faceva sul serio. Non era la situazione che vedevano i giornalisti. Al mio campo, a Jalalassi, quando doveva arrivare un giornalista, lo sapevamo due giorni prima. Tutto veniva lustrato. Ci davano pure da mangiare bene. Eravamo arrivati al punto, noi soldati, che speravamo nelle visite dei giornalisti per poter mangiare decentemente. Ma non vorrei dare una immagine sbagliata della mia esperienza. La missione, secondo me, in complesso è stata eseguita in maniera eccellente. Però è anche vero che di cose "pazze" ne sono state fatte tante». Ma se ripensa oggi a quei giorni, cosa pensa? «Che era diventata una lotta per la vita. Tutti erano diventati pazzi. I somali mandavano avanti le donne e i bambini, poi ti sparavano». E se dovesse dire qualcosa ai ragazzi che sono volontari oggi? «Che la ferma volontaria di tre o cinque anni è una presa in giro. E allora, anziché buttarsi, e credere che tutto è lecito, si trovino un lavoro vero e imparino un mestiere». Francesco Grignetti «Tantissime brutalità Quelli del Tuscania lo dicevano dopo i rastrellamenti» «Ho visto 2 giovani picchiati per un giorno e una notte in un container»

Persone citate: Salvio, Salvio Tutone

Luoghi citati: Somalia, Torino, Tuscania