La Folgore «Un' ignobile speculazione»

La procura militare vuole accertare se sono stati episodi isolati o c'erano connivenze la Folgore «Un 'ignobile speculazione» LIVORNO DAL NOSTRO INVIATO Bè!, sbotta, «se vuol sapere come l'abbiamo presa, l'abbiamo presa male, molto male». Il comando della Brigata Folgore è in un palazzotto inizio secolo, in via Gramsci, che è una strada nel cuore di Livorno né larga né stretta e con i platani. Di fronte, la caserma Pisacane, e nella caserma quello che resta della brigata perché gran parte, ora, si trova in Albania per un'altra missione «di pace», come furono il Libano, la Somalia, e com'è quella nella ex Jugoslavia. «Sono cose che fanno male, quelle lì, a vederle e a saperle». E vuol dire le torture, quelle illustrate dalle fotografie rilanciate dalla televisione. Il colonnello Marco Bertoiini ha 44 anni, è di Reggio Emilia ed è il capo di stato maggiore dei paracadutisti: è lui che fa da diga, lì al primo piano di Villa Orlando, perché il comandante, generale Luigi Cantone, si trova a Tirana dov'è volato quindici giorni dopo il rientro dalla Bosnia. «Non possiamo parlare, sa, gli ordini...», dice il colonnello Bertolini. Ma ce l'avrebbe la voglia di dire, di porre a voce alta quelle domande che tutti vorrebbero fare: perché si è arrivati a questo punto? Perché, se è vero come sembra, la cosa è stata tirata fuori dopo tanto tempo? in ogni modo arrivare alla verità, e arrivarci al più presto possibile. Forse, lui vorrebbe osservare, in t'ondo non imbarazzano, ma fanno molto peggio, fanno dolore, quelle fotografie pubblicate su «Panorama» (che qui a Livorno è andato esaurito nelle edicole fin dalle 10 del mattino) e rilanciate dalla televisione con un somalo disteso a terra circondato da militari uno dei quali ha in mano due fili, quasi fosse sul punto di sottoporre il «prigioniero» alla «picana» di cilena memoria, una tortura semplice semplice e maledettamente efficace: due fili elettrici appoggiati ai genitali del malcapitato, e poi la scarica. Il colonnello ha gli occhi lucidi e batte un pugno sulla scrivania. No, non parla: lui è un militare e l'ordine del silenzio non lo spezza. Ma chissà che cosa vorrebbe dire, chissà se c'è rimpianto perché ancora non si è capito se in Somalia gli italiani siano serviti davvero a qualcosa. Ma forse sì, forse a qualcosa sono stati utili anche loro, anche i berretti amaranto: se non altro per un anno e mezzo i somali hanno vissuto con regole diverse che non fossero soltanto quelle della forza e della prevaricazione. La consegna del silenzio è rigorosa, ma prima che arrivasse da Roma il capitano Giovanni Matonti, in Somalia ira febbraio e giugno '93, ha potuto commentare: «I fatti denunciati haimo dell'incredibile. Sono sempre stato a fianco del generale Loi e posso dire soltanto che è una persona onesta e squisita e profondamente religiosa. Se solo avesse avuto una minima notizia di questi fatti sarebbe andato fino in fondo. Era di uno straordinario rigore, ho visto rimandare in Italia ragazzi che avevano commesso delle sciocchezze». Ma ci sono quelle foto... «Credo che sia un'ignobile speculazione. Certo non si può negare che quattro scemi possano aver commesso delle sciocchezze, in ogni caso si tratterebbe di casi isolati che non possono mettere minimamente in dubbio l'alto valore umanitario della nostra missione ampiamente documentata da atti ufficiali». Ma in Somalia non c'era la pace, c'era la guerra, una guerra per bande che l'Onu non seppe né prevedere né controllare perché nessuno controlla la guerra. E ora, lì alla caserma Pisacane, di fronte al comando, fra i molti che tacciono, imo dice di esserci stato in Somalia, anche se lontano «da dove sono avvenuti i fatti». Perché lui non ha dubbi: i «fatti» ci sono stati e sono quelli orrendi illustrati dalle fotografie. «Ma era tutto così difficile, laggiù, dovevamo assolutamente sapere dove i ribelli tenevano i depositi delle armi ed era una questione di vita o di morte e non solamente nostra. Sì, di quelle faccende ne parlavano tutti». Ma sottovoce. Vincenzo Tessendoli

Persone citate: Bertolini, Giovanni Matonti, Loi, Luigi Cantone, Pisacane, Villa Orlando, Vincenzo Tessendoli