Provenzano ultima primula rossa

Provenzano, ultima primula rossa Provenzano, ultima primula rossa Dopo la cattura di Riina guida l'organizzazione «Questa è un'indagine tecnica, tradizionale cbe si è basata soprattutto sull'impegno e sul sacrificio degli agenti. Negli ultimi anni hanno collaborato moltissimi uomini d'onore, tutti appartenenti ad uno schieramento forte e guerrafondaio, ma declinante. La prova che Aglieri appartiene alla componente emergente della nuova mafia è nel fatto che non si è mai registrata, salvo il caso di Scarantino, nessuna dissociazione nelle file della sua famiglia». Sandra Rizza PALERMO. E' stato per quasi trent'anni il capo più misterioso di Cosa Nostra. E adesso è l'ultima storica «primula rossa» del clan corleonese. Bernardo Provenzano, classe 1933, detto «zu Binnu», conosciuto anche come «u tratturi», il trattore, per la sua determinazione, è il superboss che vanta la più lunga latitanza nella storia della mafia. Ma nell'olimpo degli «imprendibili» restano altri tre boss considerati operativi nella Sicilia occidentale: il palermitano Mariano Tullio Troia, alleato dei corleonesi, e i trapanesi Francesco Messina Denaro e suo figlio Matteo, capi della mafia di Castelvetrano. Nessuno però può competere con «zu Binnu», vero acrobata della clandestinità. Un fantasma. Il suo volto è sconosciuto persino ai soldati dell'esercito corleonese. Dopo la cattura di Riina è toccato a lui prendere in mano le redini di Costa Nostra, decimata dagli arresti, indebolita dai pentiti, impoverita dai sequestri di anni e di denaro, e tentare di rimettere in piedi l'organizzazione. Lui solo, del resto, aveva il carisma per richiamare all'ordine gli uomini d'onore. Nell'ordinanza di rinvio a giudizio del maxiprocesso i giudici scrivono che Provenzano «è uno dei personaggi più sfuggenti ed inafferrabili, oltreché uno dei più feroci e sanguinari, di Cosa Nostra». La sua scalata criminale comincia negli anni 50, quando Provenzano insieme a Riina diventa il più fidato luogotenente di Luciano Liggio, allora capo della mafia corleonese. Da quel momento la sua scalata al vertice delle cosche sarà irresistibile. A partire dagli anni '80, dopo aver ehminato gli avversari con i kalashnikov, Provenzano e Riina sono i capi assoluti. Liggio, che tra i due ha sempre privilegiato Riina, di Provenzano diceva: «Spa- ra come un dio, peccato che abbia il cervello di una gallina». Ma il pentito Cancemi sostiene che è Provenzano il boss che «tiene in mano tutti gli appalti ed i rapporti con i politici». Secondo alcune intercettazioni del '93 Provenzano avrebbe trascorso parte della sua latitanza in provincia di Palermo. «Zu Binnu deve venire hi città», dicevano Antonino Gioè e Gioacchino La Barbera, uomini d'onore di Altofonte in attesa di incontrare il padrino. Sulla sorte di Provenzano, negli ultimi anni, si sono intrecciate molte leggende. Il pentito Di Maggio nel '93 ipotizzò che «zu Binnu» potesse essere morto. Ipotesi smentita dallo stesso Provenzano che nell'aprile del '94, inviò una lettera al presi¬ dente della corte d'assise di Palermo per nominare come legali di fiducia Salvatore Traina e Giovanni Aricò. La lettera risultava spedita da un «Catalano Serafino» mai individuato, residente in via Albanese 18, un edificio a pochi passi dall'Ucciardone. Provenzano è l'unico superboss che sia riuscito a rimanere sconosciuto persino a molti uomini d'onore vicini ai corleonesi. Totò Riina, interrogato dopo la cattura, ha smentito ogni legame con «zu Binnu»: «So che Provenzano è un mio compaesano - ha detto -, ma non lo conosco». L'unica persona di cui il padrino si fiderebbe è la moglie, Saveria Palazzolo, che, dopo una lunga clandestinità, è ricomparsa sei anni fa a Corleone con i due figli. Gli investigatori hanno ipotizzato che Provenzano fosse affetto da un cancro, e costretto a tornare spesso a Palermo per curarsi. Oggi la procura di Palermo è convinta che si deve a «zu Binnu» l'esistenza di una sorta di «patto di non belligeranza» tra le famiglie mafiose di Palermo e i clan corleonesi. [s.r.] purché si abbia la volontà di impegnarsi senza risparmio di fatica». E' vero che il «dichiarante» Giovanni Brusca ha avuto un ruolo in questa operazione? Che avrebbe riconosciuto la foto scattata ad Aglieri nel suo rifugio? «Non mi risulta, non ho nulla da dire su questo». C'è la «soffiata» di qualche altro pentito all'origine di questa indagine? Nel clan di Aglieri non c'è mai stato alcun traditore, tranne Enzo Scarantino... In fuga da 30 anni smentì nel '94 la morte con una lettera Mariano Tullio Troia e i Messina Denaro gli altri superlatitanti Guido Lo Forte procuratore aggiunto di Palermo Sopra, i poliziotti esultano dopo l'arresto di Aglieri In alto a sinistra il boss

Luoghi citati: Altofonte, Castelvetrano, Corleone, Palermo, Sicilia