L'aspirante re in doppiopetto
L'aspirante re in doppiopetto L'aspirante re in doppiopetto Così ha scalato il vertice di Cosa Nostra I SEGRETI DEL BOSS SPALERMO E è vero che, per un boss, l'origine è tutto, bisogna dire che Pietro Aglieri - Pitrinu 'u signurinu - possiede tutti i numeri (il know-how, per dirla col linguaggio del rampantismo di oggi) per accreditarsi come l'aspirante padrino. In fondo, di strada ne ha già fatta tanta, trovandosi secondo soltanto a Bernardo «Binnu» Provenzano, unica stella di prima grandezza ad essere riuscita a rimandare sempre - qualche volta in circostanze inspiegabili - l'appuntamento con le manette. Di Aglieri si parla da pochi anni. Da quando - cioè - il carcere e la lupara hanno operato una sorta di selezione della mafia palermitana, sempre più debole rispetto allo strapotere «corleonese», appiattendola sensibilmente. Insomma, non sono pochi quelli convinti che in altri tempi «Pitrinu» avrebbe navigato nella parte medio-bassa della classifica di Cosa nostra. E ciò malgrado l'origine, appunto. Che è uno dei suoi pregi principali. Quella di Aglieri è una delle famiglie storiche della borgata Guadagna-Villagrazia-Santa Maria di Gesù. Non nel senso della mafia moderna. Il padre di «Pitrinu», Vincenzo, non è conosciuto come boss. Per anni è stato un apprezzato coltivatore di agrumi, con la passione per le arance speciali - grosse dorate e succose - frutto di sperimentazioni ed innesti arditi. I figli li ha tirati su bene, almeno all'origine: Pietro studente al Seminario (maturità classica), la sorella insegnante, i fratelli Carlo e Rosario entrambi diplomati dopo un brillante corso di studi presso i preti del «don Bosco». Mai avuto problemi, la famiglia Aglieri, fino a metà degli Anni 80. Tranne il nonno, don Vice, che in tempi antichissimi si macchiò di «comportamento omertoso» per essersi rifiutato di testimoniare in una lite tra vicini. Era lui il vero signurinu: così era conosciuto alla Guadagna per il suo buongusto, insolito in un agricoltore. Impettito ed azzimato, batteva in lungo e in largo la borgata a bordo del suo «scappacavallo». Era lui, don Vice, l'uomo di rispetto. «Pitrinu» ne ha ereditato il nomignolo, ma anche le terre. Anche lui elegantone, incuteva ammirazione quando passava per la «Salita dei diavoli». Ma nella borgata non era considerato un capo, almeno fino a quando c'erano personaggi del calibro di Bontade, Teresi, Pino Albanese e tanti altri. Una lettera anonima lo indica a Giovanni Falcone e al commissario Cassarà come mafioso, ma la «soffiata» rimane senza riscontri. Quasi sconosciuto, forse un po' represso, Aglieri. Tanto che, nel disordine del terremoto provocato dalla guerra di mafia degli Anni 80, il giovane «Pitrinu» - forse per un comprensibile senso di rivalsa verso chi non lo aveva fatto emergere - si schiera con Totò Riina e Bagarella. Ma è dopo gli «ultimi giorni di Pompei», cioè dopo il bagno di sangue, che il giovane (è nato il 6 giugno del 1959) acquista numeri nella «hit parade» del crimine. La sua origine, la capacità di dissimulare, di ordire trame senza tradire il suo vero pensiero, di evitare lo scontro frontale, alla fine lo hanno consegnato all'immaginario del popolo di Cosa nostra come uno dei pochi candidati alla guida della «transizione». Che è la strategia che la mafia sta mettendo in atto per riorganizzarsi. Accantonata la pista stragista, Cosa nostra ha bisogno di passare inosservata per un lungo periodo, in modo da cercare rimedi all'offensiva dello Stato, tamponare le enormi falle aperte dai pentiti, e prevenire guai futuri ricucendo i rapporti tra le «colom¬ be», Cosa nostra palermitana mediatrice e «politica», e «i falchi», cioè i «corleonesi» più rudi e sanguinari. Chi meglio di «Pitrinu», apparentemente mite come un ex seminarista ma deciso come può essere uno che ha fatto il «para» a Pisa, aveva i numeri per tentare l'operazione? Forse Provenzano, ma è anziano e malato. E soprattutto viene visto come troppo vicino alla «segreteria perdente» di Totò Riina e Leoluca Bagarella. Già, ricucire lo strappo fra Palermo e Corleone. Ce ne vorrà di tempo. A Palermo si favoleg- già di contatti tra «'u signurinu» e Giovannello Greco, fuggito all'estero per sottrarsi alla mattanza corleonese. Sarà vero? I pentiti dicono di non saperne nulla. Però un fatto è certo: Aglieri aveva creato un asse con Bernardo Provenzano, il più moderato dei «corleonesi» di cui è figlioccio, ed aveva tentato di tessere una ragnatela trasversale nel territorio di sua competenza, che è quello dove lo hanno scovato i poliziotti. A sentire i più recenti collaboratori, «Pitrinu» non è stato con le mani nelle mani. Si dice abbia conse¬ guito enonni guadagni con la cocaina, intrattenendo rapporti diretti e privilegiati con una «multinazionale» della droga colombiana. Enormi ricchezze che, tuttavia, da sole non sono servite a solidificare un nuovo «gruppo» capace di guidare Cosa nostra fuori dalla crisi. Per questo Aglieri non ha abbandonato il suo territorio, a dispetto di quanti - come il giudice brasiliano Walter Fanganiello Maierovitch - lo davano esule a spasso per l'Avenida Paulista, in Brasile. No, il boss sta nel suo regno. E lì ha continuato ad operare. Sentite cosa dice di lui il collaboratore Salvatore Giuseppe Barbagallo: «L'Aglieri ha introdotto il sistema del cosiddetto vuoto a perdere». Non si tratta di detersivi, stiamo parlando di killer: «Per la commissione di omicidi utilizzava soggetti solitamente molto giovani, provenienti da zone completamente diverse da quelle ove i delitti dovevano essere eseguiti». Cioè killer utilizzati una sola volta, che poi cambiava. E meno male che è un moderato. Francesco La Licata VITTIME ECCELLENTI DELITTO SCOPELUTI. Il 9 agosto del '91, Aglieri uccide il giudice di Cassazione Antonio Scopelliti. Il corpo viene ritrovato in auto lungo la Salerno-Reggio Calabria DELITTO LIMA. L'europarlamentare democristiano Salvo Lima viene assassinato il 12 marzo '92. Aglieri e un altro killer lo hanno aspettato davanti alla sua villa di Mondello. STRAGE DI CAPACI. Il 23 maggio '92, una bomba sull'autostrada PalermoTrapani uccide il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta STRAGE IH VIA D'AMELIO. Il 19 luglio del '92, in via Mariano D'Amelio, un quartiere nuovo di Palermo, cade un altro giudice: Paolo Borsellino. Con lui muoiono i cinque agenti della scorta.
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