Bufera sugli italiani in Somalia

Su Panorama una serie di fotografìe e un'intervista a un ex para della Folgore Su Panorama una serie di fotografìe e un'intervista a un ex para della Folgore Bufera sugli italiani in Somalia «Ecco le prove delle torture ai prigionieri» ROMA. I paracadutisti italiani, in Somalia, torturavano i prigionieri? Interrogativo atroce, e non nuovissimo, che questa volta viene riproposto da uno scoop di «Panorama». Titola il settimanale: «Ecco le prove». E in effetti è impressionante vedere una serie di fotografie, palesemente scattate da un fotografo dilettante, che immortalano la scena di un povero cristo somalo, sdraiato, semisvenuto, denudato, e tutt'attorno soldati in mimetica che lo seviziano. Si vede addirittura un militare italiano con gli elettrodi applicati alle inani e ai genitali del malcapitato e un altro che dà corrente girando la manovella di un generatore portatile. Accompagna il tutto un'intervista all'ex paracadutista Michele Patruno, 26 anni, autore delle foto, che racconta: «C'erano gli addetti a raccogliere informazioni dai somali catturati e curavano a modo loro il servizio». Lo scandalo è grande. Ricorda i casi analoghi di sevizie effettuate da para canadesi, belgi e statunitensi. Tra parentesi, sono in corso severe incliieste in tutti questi Paesi. Anche il nostro ministero della Difesa fa sapere che sui fatti somali esiste un'inchiesta penale, condotta dalla magistratura militare di Roma. Un'indagine sollecitata dal ministro Beniamino Andreatta e dal sottosegretario Massimo Brutti, che girarono al pm Antonino Intelisano ima prima intervista al para M.P. (oggi qualificato come Michele Patruno) uscita qualche mese fa sul quotidiano «La Gazzetta del Mezzogiorno». I fatti, per come li racconta Patruno, sono abbastanza chiari: nel corso delle operazioni del 1993, nei rastrellamenti, nella caccia ai predoni e nella ricerca delle armi, l'operazione «Restore Hope» si era trasformata in mia vera guerra. Più che a Mogadiscio, città dove pullulavano i giornalisti, i fatti più cruenti si registravano nelle lontane savane. A chi capitava di essere catturato con le armi in pugno, i militari occidentali - anche gli italiani - riservavano un trattamento durissimo. Fino ad arrivare alle torture. «E dopo gli interrogatori, venivano consegnati alla polizia somala, che, per quanto ne so, li condannava a morte per attentati contro i militari». Ora, sempre secondo il racconto dell'ex paracadutista, che era soldato di leva, e che in Somalia ci andò da volontario, in qualche caso si arrivò a una ferocia inaudita. «Far mangiare pane con peperoncino piccante per accrescere la sete, sigarette accese sotto i piedi, scosse elettriche, botte. Il tutto per puro sadismo». Il procuratore Intelisano, che sta accertando i fatti da qualche settimana - e che ebbe già a indagare nel 1994, dopo che il settimanale «Epoca» aveva pubblica¬ to delle foto simili a queste di oggi, ma meno crude -, si limita a far sapere che «sono stati trovati riscontri di una certa rilevanza» e che potrebbero essere ravvisati «fatti suscettibili di reato». Nessun militare italiano, comunque, risulta iscritto al registro degli indagati. Ci sarà anche un'inchiesta interna, comunque. L'annuncia il sottosegretario Brutti, che dice: «Se le accuse hanno un fondamento, non deve esserci alcuna indulgenza. Vanno individuati tempestivamente i responsabili perché non gravino ombre generiche e indistinte sui paracadutisti o sulle forze armate. L'intera vicenda dev'essere analizzata e compresa a fondo. Perché una denuncia con tanto ritardo? Comunque, chi ha commesso atti così efferati, se è vero, dev'essere perseguito con la giusta severità». E mentre l'ex capo di stato maggiore, ex ministro della Difesa, Domenico Corcione esclude qualsiasi forma di tortura - «Sono fatti inimmaginabili» -, il ministro Andreatta osserva un rigoroso silenzio. Il suo staff rimanda semmai a una dichiarazione durissima sul nonnismo. «Colpevoli tolleranze verso comportamenti barbari e perversi avrebbero effetti gravi sul futuro di tutti gli ufficiali». Figurarsi in caso di torture sui prigionieri. Con singolare coincidenza, proprio ieri si è appreso a Mogadiscio che una circostanziata denuncia era stata inoltrata in Italia da un giudice della-corte islamica di Mogadiscio Nord: i generali Giampiero Rossi (nel frattempo deceduto), Bruno Loi e Carmine Fiore sono convocati davanti alla corte islamica per rispondere delle accuse avanzate ai loro soldati. Il rapporto sarebbe stato affidato all'ambasciatore Giuseppe Cassini, inviato speciale in Somalia. Si osserva alla Farnesina che queste accuse vengono sollevate proprio ora che la mediazione italiana a Mogadiscio dava un certo risultato. Francesco Grignetti «Lo si faceva per farli parlare, per farsi dire i nascondigli di armi o di persone». Inchiesta della Procura militare Scariche elettriche alle mani e ai testicoli Il sottosegretario Brutti «Perché una denuncia con tanto ritardo?» Una delle raccapriccianti fotografie pubblicate da «Panorama»