«lo, l'Enimont e quei giudici» di Giovanni Bianconi

I veleni del faccendiere: «Ma non ho riciclato il denaro delle toghe» I veleni del faccendiere: «Ma non ho riciclato il denaro delle toghe» «lo, PEnimont e quei giudici» Patini: altre tangenti da scoprire ROMA. «Tutti parlano della tangente Enimont costituita nella seconda fase, al momento della vendita, ma io sono convinto che qualcosa ci sia stato anche nel primo stadio, quando è nata Enimont». Pierfrancesco Pacini Battaglia butta lì la frase come se niente fosse, e si vede che avrebbe voglia di spargere altri sospetti. Lui dice che le tangenti sono due, ma per adesso i giudici stanno ancora cercando di ricostruirne una, quella nota che è servita - secondo le accuse della procura di Perugia - anche per corrompere alcuni magistrati romani. Agli atti di quell'inchiesta è rispuntata la voce di «Chicchi», intercettata per mesi nel suo ufficio dei Parioli. Di fronte alla nuova tempesta giudiziaria, lui si difende così. Conosce il commercialista Melpignano? «No. Forse l'ho visto una volta con l'ingegner Melodia, non ricordo bene. In ogni caso non ho mai discusso un affare con Melpignano, né partecipato a battute di caccia con lui, come ha scritto qualche giornale; né in Tunisia, dove peraltro non sono mai stato, né in Spagna». Ma sapeva chi era prima di leggere che l'hanno arrestato? «Ne avevo sentito parlare, anche perché credo di aver conosciuto tempo fa suo fratello Stefano». E il giudice Savia, lo conosce? «Non l'ho mai visto. Gli ho solo cambiato dei soldi ima volta, tramite Danesi, e ricordo che gli chiesi: "Siamo sicuri della provenienza lecita di questi milioni?". Lui rispose che aveva venduto una casa a Punta Ala. Mi pare che dopo chiese un altro cambio, ma io rifiutai perché temevo l'accusa di riciclaggio». Un presentimento che s'è avverato... «Cosa vuole, a un banchiere se non gli danno il riciclaggio che cos'altro possono contestargli? La corruzione, certo, ma sempre in concorso. L'unica cosa seria è il riciclaggio». Per la quale, naturalmente, si proclama innocente. «Certo. Ma dopo che io sono finito in carcere alla Spezia (e ci sono finito perché qualcuno voleva fare la guerra a Di Pietro) non mi crede più nessuno. Nemmeno la gente per strada, nemmeno lei: vuole che mi credano i magistrati? Mi chiamano in continuazione, e io rispondo. A Milano, Perugia e Roma come indagato, a Trento, Aosta, Lucca e Reggio Calabria come testimone. Uscire da questa storia sarà difficilissmo». Torniamo a Savia. Se non lo conosce, perché disse a Danesi, mentre discutevate del processo Enimont, che Caltagirone lo foraggiava? «Quell'intercettazione non sono mai riuscito ad ascoltarla, non sono convinto di aver pronunciato quella frase. Comunque erano discorsi tra due persone abbastanza sputtanate come eravamo io e lui, che cercavano di farsi belle l'una con l'altra». A che scopo, scusi? «Quando uno parla con un'altra persona cerca di piacere, non le pare? Tanto più un banchiere come me, che deve convincere gli altri a mettere i soldi nella sua banca». Ma parlavate di mandare Savia a Milano, del processo Tav, e lei chiede a Danesi di incontrarlo. «Quello di Milano è un discorso privo di consistenza. Sulla Tav non posso dire nulla perché sono appena stato interrogato dal pm di Roma Saviotti. Quanto all'incontro, è Danesi che lo propose, e io dissi sì perché sono sempre disponibile». Insomma, quali giudici romani conosce? «Conosco Giovanni Pagliarulo, Elio Cappelli, Roberto Napolitano e Pietro Federico; e gli ultimi due stavano a Grosseto, non a Roma. Però dava loro dei soldi, faceva investimenti. «Non certo per corromperli, non ne avevo interesse». Scusi Pacini, perché i giudici e l'opinione pubblica dovrebbero credere alle cose che lei dice oggi, e non a ciò cbe diceva nel chiuso del suo studio? «Perché in quei colloqui si è parlato molto, ma si è concluso zero; di tutti i progetti fatti non ne è andato in porto nessuno. E poi perché sono tutte supposizioni e nessun fatto». Veramente nell'inchiesta Savia qualche fatto è venuto fuori. «Ma io con quella gente non c'entro niente. Era un giro romano, e io vivevo in Svizzera». Conosce il costruttore Bonifaci? «L'ho incontrato una volta, me lo presentò Danesi, non ricordo se in ufficio o al bar. E forse l'ho rivisto a una partita di calcio». Mai un affare insieme? «Mai». Qualcuno già vi paragona, tutti e due salvati da Mani Pulite... «Io non mi sento salvato da nessuno, anzi. Tantomeno da Di Pietro, al quale non ho mai dato una lira. Però mi sento lo stesso sbiancato. 0 sbancato: basta guardare i conti degli avvocati». Giovanni Bianconi IL banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia