Dieci, cento mille marce di Lietta Tornabuoni

Dieci, cento mille marce PERSONE Dieci, cento mille marce ARA' poco utile mettersi a deplorare i trecento medici inquisiti a Milano, accusati di depredare il sistema sanitario nazionale in complicità con laboratori privati di analisi, prescrivendo esami mai fatti e incassando soldi in cambio. Si sa quanto la corruzione italiana sia diffusa, capillare: i medici corrotti saranno disonesti e colpevoli quanto gli evasori fiscali e una parte della Guardia di Finanza che ha offerto loro coperture, quanto i pubblici dipendenti che taglieggiano fornitori e appaltatori, quanto i militari ladri, i poliziotti criminali, i giornalisti ricattatori, i magistrati venduti o gli agricoltori inadempienti. I discorsi tipici in questi casi li conosciamo a memoria da tanto tempo: una mela marcia (o anche dieci, cento, mille mele marce) non fa regola, in ogni categoria possono esserci i delinquenti, tutti vivono qui e ora... Certo, alcuni sono peggiori di altri, l'occasione fa l'uomo ladro, nessuno è perfetto eccetera: anche se magari si può provare lo stesso indignazione, nausea. Ma l'episodio "dèi mèdici ìli Milano non riguarda soltanto gli eventuali colpevoli. Riguarda il sistema. Se invece di strapparsi i capelli in pubblico quando emergono truffe clamorose a danno dello Stato, i dirigenti di vario livello delle istituzioni lavorassero, facessero il loro mestiere nell'ambito del quale il controllo non è la funzione più trascurabile, badassero alla corretta applicazione delle leggi, sorvegliassero i conti, si guadagnassero lo stipendo, forse non sarebbe necessario aumentare i ticket, limitare le prestazioni, imporre nuove tasse, elemosinare contributi di solidarietà. Forse basterebbe evitare quelli che il governo chiama signo- Elente «gli sprechi» e sono i furti, per fare a meno di schiacciare e maltrattare i cittadini: invece si lascia che tutto vada come va e poi si chiedono a noi i soldi per rimediare, per colmare le voragini. GRANDI Mario Luzi dice che da giovane sognava un Paese libero, evoluto: «Non avrei mai immaginato uno sfacelo di queste proporzioni». Mario Monicelli conta sui giovani: «Spero che voi facciate una rivoluzione vera, una guerra civile, col sangue che scorre a fiumi: altrimenti qui non si rinnova nulla». Maria Corti teme gli inetti: «Il Paese è invaso da incompetenti». Toti Scialoja è insofferente: «Quando vedo Berlusconi mi prende un conato di vomito». Geno Pampaloni sperava in «un Paese più onesto, più attivo e reattivo, meno corroso dall'indifferenza e dall'opportunismo». Bruno Zevi constata che due persone molto importanti nella sua vita, Riccardo Lombardi e Ugo La Malfa, sono risultati «uomini che hanno sbagliato tutto». Aroldo Tìeri chiarisce quale sia il suo stato d'animo abituale: «Sono incazzato contro tutto quello che mi circonda». Per Attilio Bertolucci la massima preoccupazione è privata, è che i suoi figli registi Bernardo e Giuseppe non abbiano figli «e debbano un giorno proteggersi da soli». Le dichiarazioni sono in «Grandi vecchi», una raccolta di interviste di Dario Biagi a italiani illustri ottanta-novantenni, pubblicata da làmina: a testimoniare che la vecchiaia non è davvero l'età della pace. Lietta Tornabuoni

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