Boccassini sceglie il Pool «Non lascio Mani pulite» di Chiara Beria Di Argentine

Revocata la domanda per la Procura nazionale antimafia: «Creerei difficoltà ai colleghi» Revocata la domanda per la Procura nazionale antimafia: «Creerei difficoltà ai colleghi» La richiesta di trasferimento del sostituto procuratore era stata presentata 5 anni fa La decisione presa solo nelle ultimissime ore, dopo un colloquio con Borrelli Boccassini sceglie il Pool «Non lascio Mani pulite» MHANO. Ilda Boccassini ha rinunciato a un nuovo incarico alla Procura nazionale antimafia. La lettera con la quale il sostituto procuratore revoca la domanda presentata nel lontano '92, è arrivata a Roma, al Csm, ieri in tarda mattinata, indirizzata alla terza commissione referente e, per conoscenza, a Pierluigi Vigna, Procuratore nazionale antimafia. Diciotto righe per dire che Mani Pulite e le sue «complesse indagini» non si abbandonano. Non ora. «Mi vedo costretta», spiega Boccassini, «a revocare la domanda presentata perché un'eventuale assegnazione creerebbe delle difficoltà per l'Ufficio delle quali non posso non tener conto». Toni pacati. Nessuna polemica sui tempi lunghi per dare un incarico meritato in tanti anni di indagini sulla mafia, nessuna tentazione di descriversi come indispensabile, ma il messaggio del magistrato Boccassini è chiarissimo: non si lasciano a metà delle inchieste delicate, non si abbandonano dei colleghi troppo spesso attaccati o superficialmente descritti da alcuni come star sul viale del tramonto, da altri come ambiziosi alla ricerca di potere. «Non posso non tener conto», una decisione presa solo nelle ultime ore, dopo una notte insonne e un lungo colloquio con Francesco Saverio Borrelli e gli altri pm del pool. Al polverone d'interpretazioni suscitato anche dalla domanda di Borrelli per il posto di presidente della Corte di appello di Milano il pm aveva risposto con un'amara riflessione: «Ci sono colleghi che, senza aver letto una carta, una pagina d'istruttoria, rivisitano le inchieste di Milano descrivendoci come belve assetate di sangue... è accaduto anche a Giovanni». Parole da brivido, come per avvertire chi ha già dimenticato, anche nella magistratura, che isolati si è un bersaglio più facile. E, solo nelle stanze della Procura, si sa quante minacce arrivano ogni giorno, nel caso di una donna c'è poi sempre quel di più di volgarità, d'infamia. E' maturata così la rinuncia di Ilda Boccassini, 48 anni, napoletana, entrata in magistratura nell'82 sulle orme del padre Mauro, ex membro del Csm e uno dei fondatori della corrente di Magistratura indipendente. Una scelta in nome di un rigore che fa passare Boccassini per una dura, un magistrato dai modi bruschi a volte fin sgradevoli. Quella che a ogni polemica non solo sull'antimafia cita una frase del suo amico e maestro Giovanni Falcone, «Lo Stato siamo tutti noi»; quella che non si risparmia nel ricordare quanto sangue è stato versato in questo Paese per sconfiggere una criminalità che soffoca nel suo Sud la democrazia e, così facendo, si espone sempre di più; quella che ha sempre chiesto ai magistrati meno corporativismo e più professionalità. Una donna da anni oggetto di minacce di ogni tipo che sostiene «la paura è di tutti. Ci può essere ma non è qualcosa che m'impedisca di andare avanti», ma poi, a lettera firmata, confessa: «Come è difficile la vita». Perché per Boccassini non si è trattato solo di sacrificare la carriera (alla Dna si hanno funzioni di magistrati d'Appello) ma, soprattutto, a un incarico a Roma desiderato, non solo da lei. Lo svela il pm nella sua lettera: fu Falcone, prima della sua morte, a farle presentare la domanda sperando di poter lavorare insieme, in quella Superprocura per la quale tanto e tra tante ostilità si era battuto. Poi, Falcone è morto e Boccassini da cinque anni aspettava invano. Solo nelle ultime settimane si era aperto, all'improvviso, uno spiraglio: altri candidati alla Procura nazionale, avevano rinunciato e così Ilda Boccassini si è trovata a dover decidere, in poche ore, il suo futuro. Perché revocare la domanda significava chiudere una pagina della sua vita, rinunciare a impegnarsi sul fronte della lotta alla mafia con l'indiscussa competenza maturata prima a Milano nelle inchieste sulla criminalità organizzata e, dopo la strage di Capaci, nei due anni di applicazione con il pm Fausto Cardella, alla Dna di Caltanissetta. «Eravamo laggiù per una ragione, e quella ragione divenne il senso della nostra vita», poche parole per un risultato clamoroso, l'operazione Grande Falco, che portò all'arresto dei boss di Cosa Nostra autori della strage. Tremava di gelida rabbia, Totò Riina, quel giorno in carcere quando vide la giovane donna che l'aveva sconfìtto. E il settimanale L'Express scrisse: «L'allieva ha superato il maestro, Giovanni Falcone». Un encomio che Boccassini, tornata a Milano dall'ottobre '95, per seguire le inchieste sui magistrati sospettati di aver incassato tangenti, forse non ha apprezzato. Ma di certo, anche in questa occasione, ha dimostrato di non voler dimenticare la lezione di rigore e professionalità di Giovanni Falcone. Chiara Beria di Argentine est M ^^S^w^4&a' S* «*ri«,. llda Boccassini e, a destra, uno stralcio della sua lettera

Luoghi citati: Caltanissetta, Capaci, Falcone, Milano, Roma