Arriva il deputato, parte la piaggia di sputi

UN'ORA DI ASSEDIO Arriva il deputato, parte la piaggia di sputi Calci a Padovan, Taradash giura: «Ho preso botte » DBDADTAAC - 'ORA UN'ORA DI ASSEDIO -—ra-it MESTRE M DAL NOSTRO INVIATO Alla fine, la strada si spoglia e il sole s'ammoscia. Restano i celerini ammucchiati davanti al cancello come se fossero andati a chissà quale guerra, con il loro manganello penzolante, l'elmetto alla cintura, gli anfibi e gli occhiali da sole. Resta il vicequestore Antonio Palmosi che se ne passeggia con la sua giacca tutta sporca di sangue, la giornalista di una tv che piange di paura, resta qualche insulto gridato a un megafono. Resta l'odore di una mattina storta, presa in mezzo alla sua violenza cialtrona, alla sua rissa da strapaese, al suo desolante becerume. Dentro, comincia il processo. Fuori, continua l'Italia. E' la storia che passa da queste parti, fra i campi piatti che vanno al mare, gli schei che fuggono e i capannoni che chiudono, ma è solo una piccola storia di piccole cose. E davanti all'aula bunker di Mestre, tre cariche di polizia e un coro infinito di insulti dividono quattro gatti che s'accapigliano come in un bar di quelli che frequentavano gli 8 soldati della Serenissima. Alla fine si contano 11 feriti di malebotte, più un questore che rischia il posto, più le polemiche che infuriano da Roma. E questa è solo l'appendice di una pallida mattina, che schiera su una stradina nei campi alle porte di Mestre due sparuti gruppi di avversari. In via delle Messi sono appena le otto. Giù all'incrocio, c'è un presidio della Life, con la solita cassetta, il contocorrente, la scatola di scarpe foderata con il volantino. Più avanti un gruppo del Coordinamento dei centri sociali del Nord-Est. Saranno venti ragazzi. Davanti all'aula bunker dove alle 9 comincerà il processo agli 8 che hanno assaltato il campanile di San Marco, ci sono 11 bandiere di Rifondazione comunista e altri venti, trenta attivisti della Life. Tutte manifestazioni annunciate. Dovevano esserci anche quelli di Gioventù Nazionale assieme alla Life, ma all'ultimo momento Paolo Caratossidis ha fatto sapere che preferiva tenersi fuori: «Ci saranno scontri, e allora preferiamo non partecipare». Comincia tutto alle 8,15. Marco Taradash di Forza Italia s'mcanunina con Fabio Padovan, fondatore della Life, per via delle Messi. Lo fanno dalla parte sbagliata, perché qualcuno avrebbe dovuto farli venire dall'altro imbocco, dov'erano appostate le bandiere di San Marco. Forse, è il primo errore della mattina. Padovan e Taradash si infilano in mezzo ai ragazzi dei Centri sociali. Scambio di insulti. Da una banda: «Sporco nazista». Padovan dall'altra, come racconta un testimone però smentito: «Con quelle facce dovreste essere voi in galera, non quegli 8 patrioti». Calci e spinte a Padovan. Sputi a Taradash, una fontana di sputi. A quel punto parte la prima carica della polizia. E curre curre guagliò, canta una voce dal vecchio stereo piazzato sul furgone bianco degli autonomi. «Curre curre guagliò», canticchia il funzionario della Celere battendo il tempo con il manganello sulla mano aperta. «A Padovan gli abbiamo dato due calci in culo», racconterà Luca Casarin, dei Centri sociali, dopo la prima rissa. Gli spaccano anche il telefonino, gli buttano giù le scatole con gli adesivi dei leoni di San Marco. I poliziotti partono all'attacco utilizzando le transenne come rostro. E quello di loro che si fa più male, riesce a piantarsi la transenna sotto al mento. Poi partono due lacrimogeni. Centro: uno colpisce alla gamba il povero contadino Albino Da Lio, che ha la sventura di abitare lì vicino e di stare al cancello a guardarsi la rissa. Stop. Arrivano le ambulanze, caricano via i feriti. Curre curre guagliò, canta ancora il vecchio stereo. Dalle file della Life applaudono. Insulti di incitamento venetissimi: «Mona mona». Pochi minuti dopo arrivano altri 5 della Life, sempre da dietro, come se lo facessero apposta. Altri insulti, altra carica. Questa volta, quelli dei Centri sociali rispondono con le pietre. Una passa vicino a una giornalista di una tv e colpisce l'YlO dietro di lei. Tornano le ambulanze, contano di nuovo i feriti. Pausa breve. Questa volta tocca a Franco Rocchetta, uno dei fondatori della Liga Veneta. Mistero gaudioso: anche lui arriva da dietro e quindi deve passare in mezzo agli autonomi. Anche per lui spinte e insulti. Dice: «Mi hanno colpito con due bastonate». Nel parapiglia qualche cazzotto l'abbiamo visto. Taradash ai microfoni: «Prima le prendevo dagli uni, adesso dagli altri. Anche oggi, ho preso botte e sputi». Sinceramen¬ te, è stato tempestato di sputi. Botte a lui, non ne abbiamo viste. Come racconta poi a una radio: «Su di me c'era un corpo di tiratori scelti di sputi che hanno fatto abilmente il loro dovere. Quando la Polizia si è decisa a intervenire è stata fatta una carica perfetta- mente inutile, che ha provocato dei feriti tra i poliziotti e anche tra ragazzi che non c'entravano niente». Quando torna la calma, dentro comincia il processo. Esce Padovan di corsa: «Servono due milioni e mezzo per liquidare le parti civi- li». Bastano cinque minuti, e i soldi si trovano. Botte da centomila alla volta. C'è persino quello che insegue Padovan mentre sta rientrando in aula: «Anch'io, anch'io. Ti do i soldi anch'io». E c'è pure uno dei poliziotti feriti che all'ospedale versa un obolo da 11 mila hre per gli 8 eroi di San Marco, come racconta felice Geremia Agnoletti, dirigente della Life. Tra le file del leone di Venezia, bandiere cori e cartelli. Uno dice: «Viva Feltri e quelle otto simpatiche canaglie». Un altro: «Santo Padre libertà per i veneti». E uno striscione: «Aiuto. Siamo bosniaci attaccati dai serbi di Roma». Nel clima di euforia, passa un cellulare pieno di imputati per un processo di mafia. «Liberi liberi», gridano i venetisti. Applausi e urla d'incitamento. E al cronista che li informa, «avete chiesto la libertà per i mafiosi», una selva d'insulti: «Venduto, mantenuto, terrone». Poi, però, ci parlano insieme. Antonio Viale, commerciante: «Ho pianto per la Nazionale nell'82. Ma vi chiedete perché l'Italia non mi fa più battere il cuore?» E Geremia Agnoletti: «Noi vogliamo solo gestire la nostra economia. E' una misera, banale questione di soldi». Tutto qui. E curre curre guagliò, continuano a cantare dall'autoparlante del furgone degli autonomi. Al megafono: «Stronzi, beccatevi questi cantanti, sono i 99 Posse. Sono napoletani e hanno più umanità di voi». Altre urla: «Noi ce ne andiamo, ma staremo ancora in giro tra le vostre villette di merda». Mona mona, rispondono da questa parte, fino ad arrochirsi la voce. Sole pallido e celerini in armi. Curre curre guagliò. E' l'Italia che è fatta così. Pierangelo Sapegno Gli agenti caricano tre volte mentre uno stereo suona una canzone napoletana Fra calci e manganelli restano feriti in 11 E la Life raccoglie i soldi per gli accusati A fianco, un giovane ferito durante gli scontri con la polizia. A sinistra, un autonomo prende a calci il leader della Life Fabio Padovan davanti all'aula bunker di Mestre

Luoghi citati: Italia, Mestre, Roma, Venezia