Guerriglia davanti all'aula-bunker

Napolitano: c'è un clima di provocazione. Sott'accusa le misure di sicurezza. Niente rito abbreviato agli imputati Napolitano: c'è un clima di provocazione. Sott'accusa le misure di sicurezza. Niente rito abbreviato agli imputati Guerriglia davanti all'aula-bunker Alprocesso ai Serenissimi scontri tra autonomi e polizia VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO Gli unici tranquilli, ieri, erano gli otto Serenissimi. Quando arrivano sui due cellulari dei carabinieri, è già tutto finito. Ci sono state le cariche della polizia davanti all'aula bunker, i cazzotti a Fabio Padovan della Life che sventola la bandiera di San Marco n - per sbaglio, si dirà - passa tra le file dei centri sociali. Mentre volano pietre e i celerini vanno alla carica dei sessanta autonomi, tra manganellate, lacrimogeni e l'azzeccata colonna sonora dei 99 Posse «Curre curre guagliò». Era nell'aria che potesse finire così. Si sapeva che il miscuglio politico davanti all'aula bunker poteva degenerare. Tra amici dei Serenissimi, la Life, la Liga e pure i centri sociali che poi, alla fine dei conti, sono quasi contenti: «Meglio un cazzotto oggi che finire come in Croazia domani». Si sapeva, ma è a Roma che l'eco delle manganellate fa più rumore. «Sono fatti gravi, c'è un clima di provocazione. Molti gruppi se ne stanno approfittando», tuona il ministro dell'Interno Giorgio Napolitano. E non manca di tirare le orecchie ai responsabili dell'ordine pubblico a Venezia: «Il dispositivo di polizia non è riuscito a impedire gli incidenti. Ho richiamato prefetto e questore al massimo sforzo». «Al momento non posso esprimere valutazioni», prende tempo il capo della polizia Ferdinando Masone. Mentre il questore di Venezia Lorenzo Cernetig, non dice una parola. E alle telecamere che lo assediano ripete solo: «Grazie, grazie, grazie a tutti». Da Roma, arriva la preoccupazione pure del vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni. Dice: «E' compito di tutti che il processo si svolga nella massima tranquilhtà, senza pressioni». Giancarlo Galan di Forza Italia, presidente della Regione Veneto, lancia accuse a senso unico: «Non è possibile essere in balia di gruppuscoli violenti e intolleranti e di organizzazioni che per titolare pseudo-diritti assumono atteggiamenti che portano alla provocazione». «Sono gli autonomi, i soliti picchiatori. Sono loro il vero pericolo della democrazia», si accoda Roberto Maroni della Lega, ex ministro dell'Interno. Poi, tira le conclusioni: «I cittadini e i leghisti, ancora una volta sono quelli che le hanno prese». In aula, arriva appena l'eco delle cariche e delle polemiche. Qui, sono in ballo condanne per vent'anni, la Storia della Serenissima armata e gli otto che sono andati sul campanile e che rischiano di brutto. Smesse le tute da galera, si presentano in giacca. Tengono un po' gli occhi bassi e chiedono tutti il rito abbreviato, cioè il processo a porte chiuse che allevia di un terzo la pena. A dir la verità, Fausto Faccia non vorrebbe. Era il capo del commando e quasi litiga con il suo avvocato, che gli dice: «Ma sì, ma sì...». E invece, a sorpresa, è il pm Rita Ugolini a dire di no. «Ci sono le perizie al blindato da fare», spiega. Sceglie la linea del processo pubblico, ma tanto non è più aria di proclami, inni, rivendicazioni. In questa seconda udienza, gli imputati giocano la carta dei risarcimenti. Un po' di soldi per togliere di mezzo le parti civili e abbassare ulteriormente le pene. Venticinque milioni vanno al personale del vaporetto dirottato dal Tronchetto a piazza San Marco, cinque all'azienda trasporti di Venezia, sette milioni e 700 mila lire alla Procuratoria di San Marco. Ma non bastano. «Serchè do rnilioni», lancia l'appello l'avvocato Luciano Gasperini, che difende i tre Contin, Flavio, Cristian e Severino, più Luca Peroni. «Cercate i soldi», ordina ai parenti, agli amici, a quelli col leone dalla spada in mano sul bavero della giacca. E i soldi arrivano, cinque milioni in tre minuti, quattro in contanti più un assegno che arriva da uno che è parente di Fausto Faccia. «Date i soldi, servono per la cauzione, per liberarli», implora una signora che viene dalla provincia di Treviso. Non ha capito che per la libertà c'è da attendere. Ma fa lo stesso. Arrivano le 20 mila, le 100 mila. Anche diecimila lire per volta. «Meglio per i patrioti che la tassa per l'Europa», dice un'altra. Che poi spiega: «Tanto io quella tassa non la pago. Prima andiamo in Europa, poi si vedrà». I cinque milioni raccolti non bastano per il Comune di Venezia. «Non è una cifra congrua», smorza gli entusiasmi il legale che rappresenta il municipio. E spara: «Ci vogliono almeno 200 milioni». Nessuno fiata, non è più tempo di cori. Anche quando i Serenissimi entrano in aula, il grido «Veneti liberi, veneti liberi» si perde subito. II pm Rita Ugolini impiega meno di cinque minuti per ricostruire i fatti, elencare le accuse e annunciare i suoi testimoni. Quando dice che il coma di Antonio Barison «non era dovuto a cause traumatiche, durante l'intervento dei Gis dei carabinieri», si sente solo qualche risolino. Poi in aula torna il silenzio. Il pm dimentica, come vorrebbe la legge, di spiegare perché vuole quei testi. Il presidente della Corte Graziana Campanato glielo ricorda. Ma a quel punto gli avvocati insorgono. Due annunciano di voler presentare istanza di ricusazione della Corte, per togliere di mezzo quel giudice che sembra di parte. Oraziana Campanato incassa, ma smorza i toni. Si vedrà. Gli avvocati presentano altre eccezioni. Alle 14 si spengono i riflettori. Si torna in aula 1' 11 giugno. Fabio Potetti processo ai secessionisti Un momento degli scontri di ieri mattina davanti all'aula bunker dove si è svolto il processo ai secessionisti