Si riapre il caso-Castellari

Non più suicidio: ora la procura indaga su un possibile delitto Si riapre il caso-Castellari Non più suicidio: ora la procura indaga su un possibile delitto ROMA. Dal carcere di Perugia dov'è rinchiuso, l'ex pm romano Orazio Savia continua a ripetere che lui non ha fatto nulla per portare nella capitale il processo sulle tangenti Enimont. Quella vicenda giudiziaria, con il conflitto tra le Procure di Roma e Milano su chi doveva indagare, è imo dei cardini dell'accusa dei magistrati perugini, e dai verbali d'interrogatorio raccolti viene fuori uno spaccato del Palazzo di giustizia romano affollato di ombre e trattative sotterranee. Il procuratore aggiunto, di allora e di oggi, Ettore Torri ha raccontato di una riunione nella stanza del procuratore dell'epoca Vittorio Mele all'indomani della scomparsa di Sergio Castellari, il manager che Savia voleva arrestare, trovato morto nelle campagne intorno a Roma. Dopo quattro anni, ieri s'è saputo che per quella morte la magistratura romana indaga con l'ipotesi di omicidio anziché suicidio, sulla base di accertamenti già svolti e nuove testimonianze, i documenti trovati per esempio dall'ex pm di Aosta David Monti che nell'inchiesta «Phoney money» si imbatté in una dettagliatissima rassegna stampa sul «caso Castellari» in casa dell'ex finanziare e funzionario delle Partecipazioni statali Domenico Presacane. Erano i primi mesi del '93, e si doveva decidere come comportarsi con Mani pulite che voleva il processo. All'incontro partecipavano Mele, i tre aggiunti Volpali, Coirò e Torri, e «molto probabilmente anche Savia». Ricorda Torri davanti ai pm Renzo e Cardella: «A parte Volpari, che non espresse alcuna precisa opinione, tutti gli altri partecipanti ritenevano in cuor loro che dal punto di vista giuridico la questione di competenza andasse risolta a favore di Roma. Malgrado ciò, prevalse l'opinione, caldeggiata soprattutto dal dottor Mele, secondo la quale valeva la pena di liberarsi di un procedimento così fastidioso e scottante, sia per l'intrinseca materia che per gli eventi connessi alla scomparsa di Castellari... L'unico che manifestasse un'aperta contrarietà alla trasmissione degli atti a Milano, e l'unico che si sia concretamente battuto per evitare che questa trasmissione vi fosse, fu il collega Savia.... Ci rimproverava un'eccessiva arrendevolezza nei confronti dei colleghi milanesi». Uno strano atteggiamento - notano i pm di Perugia, convinti che Savia volesse il processo Enimont per «aggiustarlo» in favore del suo amico Bonifaci e altri -, «diametralmente opposto a quello che, nello stesso torno di tempo, egli palesò nel corso del colloquio con Vinci e Squillante a proposito dei "palazzi d'oro"». Si tratta di un colloquio svoltosi nei corridoi della Procura riferito da una «fonte confidenziale» al maggiore del Ros Enrico Cataldi, e parzialmente confermato da Vinci. Secondo la «fonte» l'ex capo dei gip Squillante disse a Vinci che stava indagando sullo scandalo dei «palazzi d'oro»: «Ma insomma, non hai fatto un cazzo per sette anni e adesso...». Vinci replicò che l'inchiesta era frutto del lavoro della Guardia di finanza; «a questo punto - riferisce la "fonte" - Squillante diceva con tono autorevole che avrebbe provveduto lui nel governare la cosa all'ufficio dei gip; per quanto riguardava la Finanza, avrebbe provveduto il dottor Savia che da anni lavora col predetto corpo». Altri indizi sul «porto delle nebbie» vengono dal racconto dell'amministratore delegato dell'Eni Franco Bernabò, a suo tempo sottoposto ad un interrogatorio-fiume dal giudice Torri. Dopo quella deposizione, Bernabò andò dall'allora presidente dell'Eni Cagliari (suicidatosi a San Vittore nell'estate '93), il quale «non mostrava alcuna preoccupazione per quanto stava accadendo all'Eni e a me». Qualche tempo dopo, durante un viaggio a Londra, a Cagliari fu comunicata una convocazione dell'autorità giudiziaria: «Saputo che era quella di Roma, si mostrò palesemente sollevato. Ricordo che fece un gesto con il braccio come a dire "va tutto bene, non c'è problema". La cosa mi colpì molto, perché mi sarei aspettato una reazione completamente diversa». [gio. bia.l