In lacrime le truppe di Chirac

In lacrime le truppe di Chirac In lacrime le truppe di Chirac PARIGI DAL NOSTRO INVIATO Ammutolisce Patrick Stefanini, vicesegretario del partito neogouista. Sbianca Michel Péricard, il presidente dei deputati, e quasi sprofonda nel suo doppiopetto blu, come per nascondere le lacrime, mentre lo schermo tv con la composizione della nuova Assemblea Nazionle si colora di rosa. Piange invece senza pudore Frangoise, la militante con la maglietta dalla scritta «Un élan partagé», uno slancio condiviso, slogan della campagna elettorale più disastrosa che si ricordi. Era parso un segno di malaugurio: «Condiviso con chi? Con la sinistra?», aveva ironizzato Bernard Pone, ministro dei Trasporti, uno dei pochi leader della maggioranza a non condividere la decisione dell'Eliseo di sciogliere l'Assemblea Nazionale. Anche il simbolo della campagna, un sole nascente che sarebbe piaciuto a Cariglia e al psdi, scelto personalmente da Claude Chirac, figlia e consigliere (fraudolento) di Jacques, era stato accolto come un presagio funesto: troppo simile a un sole calante. Quello almeno era stato cancellato. Tardi, però, per evitare il tramonto della destra. «Perdere? E' escluso», confidava Chirac ai suoi, cinque settimane fa. Allora il suo partito controllava tutte le leve del potere: l'Eliseo, il Parlamento, il governo, quasi tutte le regioni, le città più importanti. Il Presidente aveva la Francia in pugno, ma non ha saputo sentirne il polso. Sotto le tende bianche di avenue Georges V, quartier generale della campagna della (ex) maggioranza, a due passi dall'Etoile, cuore della Parigi di destra, i militanti tentano di celare la delusione. Si lasciano sfuggire appena un brusio, mentre gli exit-polis indicano che gollisti e liberali hanno perso metà dei loro seggi. Ma ululano di dolore, quando in tv appaiono i volti soddisfatti della vecchia guardia socialista. Ora che Jack Lang evoca lo spirito di Mitterrand, le reclute dell'esercito sconfitto esplodono in un boato di disapprovazione. I loro generali latitano. Preferiscono rapide apparizioni tv. Alain Juppé invita i suoi a «stringersi attorno al presidente». «Bravo», grida Frangoise tra i singhiozzi. Charles Pasqua parla di «rifondazione». Applausi. Edouard Balladur di «riscatto». Sotto la tenda, Frangoise si asciuga gli occhi. Dentro, al primo piano, lo sguardo dei luogotenenti gollisti si perde fuori dalle finestre dagli infissi dorati, verso i Palazzi del potere che stanno per abban donare. Dall'altra parte della Sen¬ na, l'hotel de Matignon, sede del primo ministro, dove sono già pronti i bagagli di Juppé. In riva al fiume, l'Assemblea Nazionale, dove tanti dei parlamentari in grigio, camicia bianca e cravatta nera che ora si scambiano pacche consolatorie non metteranno più piede. Fin da ieri, tutti i collaboratori dei ministeri sono stati invitati a restituire telefonini, computer portatili e anche le chiavi dei Palazzi. Il ministro dell'Agricoltura ha già sistemato i suoi collaboratori: venerdì scorso li ha invitati a pranzo e ha distribuito presidenze di enti pubblici e società commerciali. Per lui si è riservato un futuro da scrittore: domani esce il suo primo saggio, «La rivoluzione aumentare». Per l'uomo rimasto solo nei grandi saloni dell'Eliseo, 400 metri da qui, il futuro sarà duro da digerire. Stasera Chirac si prepara alla più lunga coabitazione della storia della Quinta Repubblica. Con Mitterrand si scontrò per due anni. Con Jospin dovrà fare i conti fino al 2002. In coda al buffet sotto la tenda, i suoi fedeli addentano tartine al foie gras e preparano disegni di riscossa. Già si parla delle amministrative del '98. «Dovremo fare quadrato attorno a Juppé, che resta il capo del partito», spiega il suo braccio destro, JeanFrangois Mancel. «E Séguin? mormorano altri -. Non potrà restare a mani vuote». La sconfitta approfondisce la frattura tra le fazioni. Del resto la Destra francese è la più eterogenea del mondo: si va dai razzisti di Le Pen ai liberali di Madelein agli euroscettici di Pasqua. Ma stasera gli sconfitti preferiscono sottolineare le divisioni nelle file nemiche. Il padre di Frangoise, funzionario del partito, abbraccia la figlia e sibila: «Voglio proprio vedere come governerà Jospin con i comunisti, che vogliono quadruplicare le imposte sul patrimonio e bloccare l'euro». E qualcuno ricorda che Chirac dispone pur sempre di un'arma decisiva - lo scioglimento dell'Assemblea -, che stavolta ha usato male, ma in futuro potrà interrompere l'egemonia della Gauche. Sull'altra riva della Senna, ovviamente quella sinistra, comincia la notte della gioia. Giovani e vecchi socialisti accorrono a migliaia in boulevard Saint-Germain, verso la Maison de l'Amérique Latine, il palazzo liberty dal grande giardino saggiamente affittato da Jospin per la sera della vittoria. «On a gagné», abbiamo vinto, saltellano. «E ora, alla Bastiglia». La festa continuerà per tutta la notte ai piedi della colonna che accoglie i resti delle vittime dei moti del 1830, dove si concludono tutti i cortei della Gauche e dove appena 17 mesi fa i socialisti piangevano la morte di Mitterrand. «Ma non facciamo paragoni», dice Marcel, che mostra con orgoglio la tessera della Sfio, antenata del ps). «Mitterrand vinse promettendo di cambiare la vita dei francesi. Stasera noi vinciamo perché i francesi non volevano farsi cambiare la vita dalla destra». Rifiuto del progetto di Chirac, più che adesione a quello di Jospin. L'avanguardia della festa tarda. Ecco le prime auto con bandiera. Ma non è quella socialista, con la rosa nel pugno, bensì dello Stade Tolosa, che sabato sera ha vinto il campionato di rugby. Ha ragione Marcel, meglio non fare paragoni.

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