Straniero nel Paese che non c'è più di Paolo Guzzanti

Straniero nel Paese che non c'è più Straniero nel Paese che non c'è più Si svuotano le chiese, si riempiono le discoteche IL PELLEGRINO KAROL WOJTYLA VARSAVIA DAL NOSTRO INVIATO Varsavia è gelida, soffocata dalla nebbia e dall'umidità, ma gelida anche nell'animo. Così lontana da Karol Wojtyla che cammina incerto nella sua gabbia di ossa malate, e così lontana dal suo passato. E' un luogo comune, ma è pura verità: la Polonia del Papa, la grande Polonia sofferente della guerra fredda, di Solidarnosc, della polizia segreta, è morta e sepolta come le vecchie sceneggiature. Ma anche drammaticamente viva. E lontana dal Papa rosso in volto, consapevole, intelligente, malfermo, il grande protagonista, il grande antagonista, l'uomo che proprio qui applicò la sua forza fino a smattonare una breccia nel muro polacco, il primo, il più calcificato. Da lì venne poi giù tutto. Ma lentamente. Oggi torniamo sui luoghi della Polonia scomparsa, la tomba del prete Popieluzko assassinato dalla polizia segreta e protagonista di un grande processo che seguimmo per mesi pestando la neve intorno a un tremendo palazzo di giustizia da cui erano tutti esclusi. Chi si ricorda più come si chiamasse il capitano che uccise Popieluzko, ma ricordiamo che aveva delle foto compromettenti del sacerdote con una donna. Non c'è più nulla tranne alcuni fiori. Ma le chiese sono vuote e sì che a quest'ora, l'ora del vespro, le chiese polacche erano gremite di minatori, di giovani operai che puzzavano e sudavano, con quei baffi folti e duri, le sopracciglia di ferro, l'aria cattiva e forte di chi resiste, si oppone. E il vecchio mentore del regime, Urban, uno fra i pochi grandi ebrei superstiti che difendeva sempre e comunque il partito, il generale Jaruzelski che sembrava la fotocopia orientale di Augusto Pinochet in Cile. Oggi Varsavia è lustra, non ancora del tutto occidentale, ma con molta voglia di diventarlo. Ma si vede che qui di valori occidentali ne passano pochi: soltanto quelli del denaro, del mercato, della vecchia classe dirigente che aveva accumulato abbastanza valuta in nero durante il regime per poi potersi permettere di finanziare aziende. Tutti liberali, todos caballeros. Tranne il clero, questo ben alimentato, compatto, tosto clero polacco che ricordo ben seduto e ben servito la sera nei migliori ristoranti davanti a qualche eccellente terrina di caviale: e infatti vedo intorno al bravo Papa così scarno, così smunto ed essenziale, vedo questi bei prelati rosei, imponenti, soltanto il cardinale Glemp, l'uomo dalla mente più fina, che non è mai stato un gaudente e che oggi è ancora più asciutto, rincagnato durante la cerimonia papale. E i vecchi comunisti? Oggi parli con i vecchi comunisti - peraltro tornati legittimamente al potere e di nuovo ai ferri corti con la Chiesa, più o meno come ai tempi della guerra fredda - e ti dicono che sono diventati liberali: socialisti, ma liberali. Todos caballeros. Un vizio, una moda. Si sente invece una permanenza del vecchio, dello stantìo, un umore e un odore che leggi nelle cose, nei muri, sulle facce e che è la memoria, la patina del passato, come da noi l'autoritarismo fascista o Crispino, che ancora emana smorfie. E dunque non ti sfugge la cortesia dei poliziotti, i quali ringhiano contro la gente portando a tracolla le spropositate mitragliatrici dell'impero dell'Est. E riconosci certe insegne di negozi pateticamente artigianali, l'odore di una povertà astuta, incanita e specializzata negli anni della dittatura. Ma sono tracce, perché il brutto mondo antico è morto e non tornerà più. E neanche il cattolicesimo da barricata dell'elettricista Walesa tornerà più. E dunque neanche il grande potere politico della curia, delle diocesi, dello stesso Papa, perché qui agli atei di prima si è aggiunta la peste occidentalizzante del New Age, è ca¬ lata una cappa di indifferenza. Le chiese vuote, le discoteche piene, le ragazzette di Varsavia che finalmente non devono ricorrere alla compiacenza dei turisti occidentali per comperare merci negli spacci in cui si compra soltanto in dollari. Qui oggi si vende tutto in dollari, ma all'aperto e dunque ti sembra che non ci sia nessuna differenza fra qui e l'America: vedi banconote verdi ovunque, peccato che manchino i quarti di dollaro. Il Papa legge il suo discorso e la televisione trasmette ovviamente in diretta, ma il fatto non è più un evento. E' un fatto per anziani, nostalgici, mamme e zie. La popolazione attiva, o non sa, o non ricorda, o rimuove. Oggi i polacchi rendono infatti a Wojtyla lo stesso servizio che gli inglesi resero a Churchill nel 1946: hai vinto la guerra? Benissimo, adesso facci un ultimo regalo: permettici di dimenticarti per sempre. E' una legge di natura, è il fastidio che portano con sé gli eroi, i reduci, i vecchi campioni che possono raccontare soltanto vecchie battaglie e mostrare vecchie ferite. Ma questo Papa, che è ferito nel corpo e neU'anima come pochi, che sopporta eroicamente una malattia dolorosa che gli distrugge le ossa, questo Papa che è stato un bersaglio, carne chirurgica, un protagonista del secolo, sa benissimo che bisogna essere misurati, cauti, quasi assenti. Certo, qui a settembre si rivota e il clero polacco ha la schiena irta di aculei per la voglia di rivincita sui nao-posl comunisti. Dunque la visita ha anche una valenza politica, ma non per Wojtyla che è venuto soltanto per alimentarsi con l'aria della sua terra, il suono della sua lingua, la tenerezza dei suoi ricordi. I prelati ascoltano, e sono volti forti, da battaglia. Lui ha il volto segnato, la pelle serica, i pomelli sanguigni, la voce concentrata che suona quelle sue tre note cui siamo abituati quando parla in italiano, e adesso sembra così innaturale sentirlo parlare in polacco per ore, perché è la lingua del suo popolo (e starnutisce e dice scusate: poi starnutisce di nuovo e riceve di ritorno mi applauso: e sorride mite, divertito, aggiunge una battuta, incanta la folla) e della sua infanzia. Una lingua viva, ma già trasformata, nuova, diversa, cambiata. I tedeschi dell'Est e dell'Ovest avevano già creato due lingue diverse, per lessico e intonazione. Qui c'è il polacco del prima e del dopo. Il Papa parla la lingua del prima. Paolo Guzzanti Sull'aereo una battuta con aria un po' scherzosa «Certo, sono deluso. Di meglio in peggio, ma speriamo. Coraggio» Il Papa con II presidente polacco Kwasniewski e una bancarella con ricordi kitsch della visita del Pontefice

Luoghi citati: America, Cile, Polonia, Varsavia