E sulla moneta unica cade il silenzio di Eugenio Scalfari

E sulla moneta unica cade il silenzio E sulla moneta unica cade il silenzio L'euroscetticismo nella relazione del governatore LE STRATEGIE DI PALAZZO KOCH LROMA 0 scontro tra la Bundesbank e il governo tedesco è una frana...», aveva scritto Eugenio Scalfari due giorni fa, attribuendo la battuta ad Antonio Fazio. Ma se l'aspettava la «frana», prima o poi, il governatore delia Banca d'Italia. Si aspettava che la montagna incantata dell'Euro cominciasse a sgretolarsi, e che iniziassero a piovere pietre e fango sulla moneta unica. Così non c'è da stupirsi se, scorrendo le 35 pagine delle Considerazioni finali lette ieri dal governatore, si scopre che non c'è citata una sola volta la parola «Maastricht». Perché, quando c'è una frana, se si può ci si sposta per non venire travolti. Pochi e vaghi cenni sull'Euro. Giusto per dire che «la creazione di uno spazio efficiente per la finanza europea, la ricerca di rapporti stabili all'interno dell'area, l'introduzione in prospettiva di una moneta unica mirano a ricondurre alla crescita, nella stabilità, le economie dell'Unione». Giusto per riaffermare - con una mite ma ferma risposta agli attacchi condotti in questi ultimi giorni all'autonomia della banca - che «siamo convinti di svolgere il nostro compito di governo della moneta nell'interesse generale, a servizio del bene dell'Italia, della comunità internazionale, dell'Europa nella quale saremo sempre più strettamente integrati». Ma dal governatore non è giunta, né ieri né mai, una sola esortazione a perseguire con forza, questo obiettivo, o un semplice cenno al braccio di ferro tra Waigel e Tietmeyer. Il freddo silenzio di Fazio ha due spiegazioni. La prima è politica: i tempi e i metodi del progetto Uem portano intrinseca instabilità. Ecco perché, forse, il governatore aveva anche previsto che la «frana» sarebbe partita dalla Germania. C'è una ragione sodo-culturale, innanzi tutto: Fazio sa da mesi quanta difficoltà ci sia, tra i fieri governanti teutoni, a far ingoiare all'opinione pubblica l'idea di scambiare il Deutsche Mark con un Euro allargato. Secondo i più recenti sondaggi della Emnid 1' 84% dei tedeschi si dichiara contrario alla moneta unica se questa non è abbastanza forte o minaccia di far ripartire l'inflazione: qualche giorno fa, sulla rete tedesca Ntv, si poteva ascoltare la voce di Andreas, meccanico venticinquenne, che sparava contro Waigel e il suo tentativo di «toccare le riserve della Bundesbank», o quella di Robert, maestro di musica, che diceva «i confini in Europa non esistono più, ma ogni Paese deve mantenere una sua identità: e il marco, per noi, è parte di questa identità». Può Tietmeyer, il lupo monetarista, far correre rischi ai milioni di Andreas e di Robert tedeschi, che non ne vogliono sapere di perdere un bene rifugio come il marco e di caricarsi sulle spalle, attraverso l'Euro, i debiti degli italiani o quelli degli spagnoli? No, non può. Anche se, come Fazio ripete spesso, (d miei colleghi governatori sono tutti pronti a riconoscere i miracoli che ha fatto l'Italia in questi ultimi anni». Ma non bastano, evidentemente, a far dormire sonni tranquilli a Tietmeyer. Di qui «la frana», l'esplosione del conflitto tra la tecnocrazia dei puristi di Francoforte e la politica dei cristiano-democratici Waigel e Kohl. Che tuttavia nasce in Germania anche per ragioni economico-finanziarie, altro aspetto sul quale in Banca d'Italia si insiste da tempo, e che la relazione presentata ieri all'assemblea mette in risalto là dove rimarca che, tra i Paesi industrializzati «i conti pubblici sono migliorati dovunque, eccetto che in Giappone e in Germania». Qui, nel '96 «il disavanzo delle Amministrazioni pubbliche è aumentato dal 3,5 al 3,9% del Pil», «l'incidenza del debito sul Pil è salita dal 58,1 al 60,5%», «il disavanzo della sicurezza sociale è risultato superiore di circa 20 mi- bardi di marchi rispetto ai 4 inizialmente previsti». E nel '97 le cose stanno andando anche peggio: l'obiettivo di un rapporto deficit delle Amministrazioni pubbliche/Pil al 2,9% è plausibile solo nell'ipotesi di «una crescita del Pil del 2,5% e un numero di disoccupati che non ecceda in media d'anno i 4,2 milioni di unità». Ma al momento, tutto questo sembra poco più che un'illusione. Per questo la Germania, che è il vero gigante malato, non può più fare la voce grossa in Europa, né può più porre veti all'ingresso dei presunti «deboli» nell'Euro. Come scriveva ieri la Frankfurter Allgemeine, dopo la guerra sulle riserve auree in Germania «la colonna dei timidi e dei peccatori verso l'Unione monetaria si fa sempre più lunga, mentre i virtuosi sono sempre di meno». Per rimediare, Kohl potrebbe varare un nuovo Sparpaket, un altro piano durissimo di sacrifici per Maastricht: ma ne vale la pena con le elezioni tra 18 mesi e con la possibilità che poi nell'Uem entrino lo stesso i reietti del cosiddetto «Club Med»? La seconda spiegazione delle perplessità di Fazio su Maastricht nasce dalla sua formazione dottrinaria: da buon neo-keynesiano attento alle dinamiche dell'economia reale, Fazio invoca «più politica» nel processo di integrazione. Si arrovella spesso nel dubbio se sia stato giusto o meno «partire proprio dalla moneta» e ripete - come ha fatto ancora ieri - che «con la convergenza non solo delle economie, ma anche delle istituzioni e degli ordinamenti lo spazio finanziario europeo potrà porsi come elemento di stabilità». E' il principio dell'«equilibrio sostenibile» caro da sempre al governatore, e che la moneta unica può garantire solo se si traduce, oltre che nel rispetto dei criteri matematici del Trattato, anche in una strategia di crescita e di sviluppo. Per Fazio, fino ad oggi, l'ossessivo perseguimento di quei criteri ha impedito l'elaborazione di questa strategia. Coniugare le due cose non è facile, ma bisogna tentare. Non a caso il governatore non perde occasione di rimarcare - come ha fatto ieri - che «lo sforzo di riequilibrio delle finanze pubbliche in atto da più anni ha inciso sulla crescita dell'economia». E basta passare dalle Considerazioni finali alla relazione vera e propria per leggere che «secondo stime condotte con il modello econometrico della Banca d'Italia la variazione dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche del '96 avrebbe frenato la crescita del Pil di 0,2 nti percentuali». Quanto può reggere una situazione del genere? E «che fine ha fatto il piano Delors?», capita spesso di sentir dire da Fazio. Allora, considerate queste remore di fondo del governatore, lo si potrebbe oggi immaginare confortato dalla prospettiva che davvero la Germania e la Francia proponessero un rinvio dell'unione. E invece, ironia della sorte, Fazio non può fare neanche questo. Perché sa bene che, comunque, anche in presenza di un rinvio la lira e i Btp patirebbero guai serissimi, visto che il marco tornerebbe ad esercitare la sua antica primazia sui mercati, e i tassi tedeschi potrebbero persino rimuoversi al rialzo, trascinando quelli degli altri Paesi. Ecco perché, pur con tutti i suoi dubbi su Maastricht, il governatore tace ma non frena sufl'Uem: tiene ferma la barra del timone della politica monetaria, e auspica che l'Italia continui «con chiarezza di intenti la correzione della spesa pubblica» e stimoli una «ripresa non inflazionistica dell'economia». Non perché ce lo impone il lupo Tietmeyer, ma perché serve comunque al Paese. Su Maastricht, poi, accada quel che deve. Fazio no ha dubbi: «E' un problema politico...», ripete da mesi. I fatti gh' stanno dando ragione. Massimo Giannini «Per l'integrazione forse non si doveva partire dall'Euro La stabilità si ottiene anche con la convergenza delle istituzioni»