DIALOGHI TRA AMICI DA PLATONE A SARTRE di Franca D'agostini

IL CLASSICO IL CLASSICO di Alessandro Fo E9 fresca di stampa nella «Bur» Rizzoli in prima traduzione italiana una raccolta di massime greche attribuita al principe fra i poeti della commedia nuova: Menandro, Sentenze, per la cura (ispirata a una certa laconicità) di Giuseppe Pompella (con testo greco a fronte, pp. 122, L. 13.000). E' un corpus, raccolto sulla base di vari codici, che in questa edizione conta 877 numeri, di argomento vario (le donne, gli amici, la fortuna e cosi via), solo parzialmente assegnabili al garbato ateniese. Gli appassionati del taglio proverbiale possono gioire. Quelli della poesia potranno approfittarne per tornare a quanto ci resta del teatro di Menandro nella traduzione, con testo a fronte e note, di Guido Paduano per gli Oscar Mondadori (Milano 1980). Qualora intendessero restare comunque nell'area di una compatta saggezza, sappiano che quasi contemporaneamente Rizzoli propone nei «Superclassici» le Quartine del poeta persiano del XII secolo 'Omar Khayyam (introduzione di M. A. Forughi, traduzione a cura di Hafez Hajdar.pp. 106, L. 10.000): sentenze anch'esse, ma organizzate in armonie solenni e pensose che, da un'ossessione della morte, ricavano una rinnovata spinta alla vita, riscaldata dal vino e dagli amori. me: nella prima parte racconta le religioni dell'America precolombiana e dei popoli indigeni in Africa, nelle Americhe e in Oceania, e nella seconda fa vedere come sono cambiate queste religioni dopo l'incontro con l'Occidente (pp. 543, L. 75.000). Qua! è la chiave dell'opera, professor Filoramo? «E' nel titolo: senza la storia, senza il grande schermo del passato, non si capisce il presente. Lo dico contro la tendenza attuale di parlare soltanto dell'oggi. I giovani chiedono, vengono da un vuoto: lo vedo nelle università, dove affollano le aule degli insegnamenti di Storia delle religioni, che da noi sono pochi. La prima cattedra l'ebbe a Roma Raffaele Pettazzoni nel '24. Tardi, rispetto agli altri Paesi; e Croce era contrario, perché la religione per lui non era una categoria dello spirito, non aveva un oggetto specifico di studio: rientrava o nella morale o nella storia. Oggi è tutto cambiato. Lo Stato, l'università, la scuola hanno il dovere di dare informazioni sulle religioni, uscendo dalla logica dell'ora confessionale, esito del Concordato: sapere di religione non vuol dire infatti avere una fede, ma gettare ponti, comprendere chi è straniero. Viviamo ormai tutti in una società multireligiosa. Senza dire che, laicamente, la religione aiuta spesso a capire noi stessi, le nostre lontananze: dà la dimensione del tempo, della storia. Il sacro rimane un elemento culturale e antropologico da conoscere». Che cos'è il sacro oggi? «H bisogno di un senso assoluto, di trovare risposte a problemi fondamentali come il male e la morte. Ma il sacro oggi non si appaga più delle religioni tradizionali, le sue domande non trovano risposte già pronte. C'è un sacro che erra. Sciolto, disperato. Chi si mette a credere nella reincarnazione, chi nella natura o nel tao della fisica, chi gioca con il sé o con Internet». Il sacro è inevitabile? «Mirtea Eliade un giorno mi disse che il sacro è una struttura della coscienza. Io sono uno storico: mi limito a osservare che il sacro è un dato laicamente presente; non ne faccio una categoria generale». Che uomo era Eliade? «Lo conobbi a Parigi con la sua seconda moglie, la deliziosa signora Christinelle. Eliade aveva un volto notturno, onirico: di giorno era lo studioso che conosciamo, ma di notte era un altro, non dormiva e leggeva testi letterari, per lui forse più importanti dello studio delle religioni. Mi ha aiutato a non fossilizzarmi in una cosa sola». Se il sacro è ancora così diffuso, l'idea della secolarizzazione inarrestabile è sbagliata? «Sull'altopiano del Chiapas le donne tessono le loro bluse con molte figure: ci sono i moti celesti e i solstizi, rombi che raffigurano gli estremi della superficie terrestre e le coste del Pacifico e dei Caraibi, le file ricordano i tredici piani del cielo e i nove del mondo infero, e i personaggi sono il Sole, il Signore della Terra, il mostro Mano Pelosa, rospi, serpenti e lo scorpione che mi¬ naccia il Dio della Pioggia: gli pungerà il pene, se non formerà le nubi. E quando la tessitrice indossa la sua blusa, è orgogliosa del suo corpo, sente di far parte di quel cosmo che ha raffigurato. Un esempio di fede comune, anonima e diffusa. La secolarizzazione, là razionalizzazione, l'espulsione del sacro come conseguenza inevitabile del progresso, delle "magnifiche sorti e progressive", per me è un mito in crisi, smentito da tanta osservazione storica. Penso anche ai Paesi dell'Est, penso alla Cina, dove esistono ora dipartimenti di storia delle religioni. E' fallito il progetto di un Paese ateo». Professor Filoramo, che cosa caratterizza oggi la storia delle reUgioni? «Un dilagante pluralismo interpretativo e un'altrettanto dilagante specializzazione. C'è insomma una certa confusione. Per questo si avverte l'esigenza di uno sguardo comprensivo, di tornare a pensare il senso e lo scopo di questi studi». In che modo? «Tornando alle fonti. Leggere un testo significa reagire, farsi venire delle idee». Quali testi la coinvolgono di più? «Sconvolgente è il Vangelo di Giovanni, che mi rimane misterioso. Questo Salvatore che viene da un altro mondo mi martella fin dai tempi del liceo: è un'idea forse influenzata dagli gnostici. Uno gnostico crede che il mondo è creato da un dio malvagio e che tutta la realtà è malvagia; il vero dio è sconosciuto, è superiore al dio della creazione. E leggendo Heidegger ho capito l'affinità tra filosofia esistenzialistica e gnosi: lui parla di Dasein, di esserci, di noi uomini "gettati" nel mondo. Gettati da dove? Heidegger resta in un orizzonte immanentistico, mentre per uno gnostico l'uomo partecipa del divino, è frammento, scintilla di dio, e ha nostalgia di questa sua origine, di quando era immerso nel grande grembo della divinità. L'uomo è caduto da lì. E io straniero in un mondo straniero e ostile, finalmente posso tornare a casa. La gnosi fa tabula rasa dell'esistente, minaccia qualunque ordine costituito, qualunque gerarchia. E' nichilismo puro. Luciano Pellicani ha studiato l'azione rivoluzionaria di Lenin come applicazione d'uno schema gnostico alla politica». Che cosa le interessa di più nel fenomeno religioso? «L'unione di tutti gli opposti, l'essere specchio integrale della realtà umana, di un assassino e di un San Francesco. Mi incuriosisce indagare la forza di trascendere la realtà. C'è un racconto che mi ha colpito. L'ha scritto un gesuita in un rapporto dal Giappone, nel 1575. Dice che alcuni asceti buddhisti, quando si sentono stanchi della vita, si chiudono in una fossa grande come un barile scavata nella terra: si siedono lì e si fanno ricoprire, seppellire vivi. Respirano con una canna di bambù che sale in superficie. Invocano continuamente Buddha. Si lasciano morire. E' la loro prova suprema: credono che se dopo tre anni il loro corpo apparirà ancora perfetto, essi hanno raggiunto il paradiso. Una storia, una metafora del cercare, di questo trascendere di cui parlavo... Io sono uno storico, e uno storico fa soltanto l'eco dei fenomeni: io non ho idee, non ho una fede; mi faccio vuoto; non dò risposte per non influenzare i miei studi: ma queste tensioni, questi misteri del fenomeno religioso mi affascinano. Chissà se riuscirò a capire. Quando ci arrivassi, probabilmente non potrei più parlarne». Claudio Altarocca DIALOGHI TRA AMICI DA PLATONE A SARTRE PLATONE AMICO MIO Ermanno Bencivenga Mondadori pp. 178 L 26.000 PLATONE AMICO MIO Ermanno Bencivenga Mondadori pp. 178 L 26.000 RMANNO Bencivenga è uno dei pochi filosofi italiani che sa muoversi senza sforzo in almeno tre «campi» editoriali diversi: quello «scientifico» parauniversitario dei suoi saggi sulle logiche libere e sulla semantica dei termini singolari, quello di una saggistica filosofica per così dire «alta», che si esprime negli scritti più recenti, di filosofia pratica (IZ metodo delia follia, Il Saggiatore, 1994), e in ultimo quello della divulgazione di (presumibilmente) ampio e disinvolto consumo, da Giochiamo con la filosofia (Mondadori, 1990), a Platone, amico mio, ultima sua fatica. L'aspetto singolare dello stile di Bencivenga è che non si nota quasi nessuna differenza tra tre tipi di prodotto: Bencivenga passa dall'uno all'altro sempre con una stessa colloquiale chiarezza. Forse qui e là il tono è un po' troppo didascalico, ma bisogna dire che una buona consuetudine con la logica, lo sforzo di rendere chiare le proprie idee, non guastano in nessun caso: perché l'esser chiari non dovrebbe di necessità implicare il non essere «profondi» (sia pur dato che la profondità è un effetto di superficie: resta che, almeno come effetto, esiste). Ermanno Bencivenga, che grazie alla sua formazione logica è sempre chiaro, a tratti sfiora certe asprezze del concetto, certe pieghe e linee di fuga del senso. E ciò, da un punto di vista «continentale» (da anni Bencivenga insegna in California), è lodevole e necessario, perché mette in movimento il lettore, lo spinge a recarsi in biblioteca o in libreria, a prendere appunti, a pensare. L'impianto di Platone, amico mio è piuttosto originale. Bencivenga costruisce dieci ritratti dei maggiori pensatori, da Platone a Sartre, ma facendoli parlare direttamente, immaginando cioè un loro eventuale dialogo con il lettore. Si tratterebbe così di presentare i dieci come altrettanti potenziali «amici», le cui parole offrano consiglio e conforto. Ne risulta una specie di contaminazione stanislawskiana tra la psiche di Bencivenga e i sin- Ermanno Bencivenga pubblica da Mondadori «Platone, amico mio» goli personaggi-pensatori: in alcuni casi l'identificazione è completa, l'incontro è fatale (per intendersi: Valeria Moriconi che impersona Lady Macbeth), in altri, si genera una prevedibile dissonanza (Carmelo Bene che tortura Amleto). Ovviamente, ciascun pensatore nello spiegare al lettore-amico il proprio punto di vista fa un largo uso di metafore e immagini. Esemplare è il caso di Spinoza, come noto un maestro dello stile assiomatico-geometrico in filosofia, che modellò la sua Etica sugli Elementi di Euclide, e che si trova invece qui a spiegare la propria concezione della sostanza servendosi dell'immagine di un grande mare in movimento, unico e complesso, individuale e totale. In altri casi, Bencivenga tenta di imitare la prosa dell'autore, di scrivere «A' la manière de...». Così l'enfatico stile di Nie¬ tzsche, fitto di punti esclamativi, ossimori e varie paradossalità, innestato sul buon senso californiano e la passionalità calabrese di Bencivenga, fa un ben strano totale. Il libro è nel complesso curioso, e ottiene, credo, lo scopo prefissato di fornire un primo avvicinamento, «da amici», ai grandi della storia del pensiero. Una osservazione soltanto va fatta circa la motivazione dell'opera (e in generale del recente interesse di Bencivenga per la filosofia come saggezza pratica) presentata dall'autore nell'introduzione. Dice Bencivenga: la filosofia di oggi si occupa prevalentemente dei problemi teorici, e trascura l'etica e la saggezza pratica, dimentica il suo ruolo di consigliera e amica degli umani. Ma di quale filosofìa sta parlando, Bencivenga? Non certo della filosofìa continentale, che da circa mezzo secolo sta infinitamente (e per lo più vanamente) svolgendo proprio questa tematica, e Q lamento contro il teoreticismo della modernità ha assunto accenti e strepiti così alti che si è parlato di una «svolta etica» del pensiero contemporaneo, dal secondo dopoguerra a oggi. Franca D'Agostini Un carteggio

Luoghi citati: Africa, America, California, Cina, Giappone, Milano, Oceania, Parigi, Roma