I MERCANTI DELLA LEGGE SFIDANO I GIUDICI di Aldo Rizzo

I MERCANTI DELLA LEGGE SFIDANO I GIUDICI I MERCANTI DELLA LEGGE SFIDANO I GIUDICI I nuovi managers rampanti «esperti del cavillo» I MERCANTI DEL DIRITTO Yves Dezalay a cura di Monica Raiteri Giuffrè pp. 282 L. 35.000 I MERCANTI DEL DIRITTO Yves Dezalay a cura di Monica Raiteri Giuffrè pp. 282 L. 35.000 N moto ostile dell'opinione pubblica investe la magistratura - un po' ovunque ma in Italia quasi rabbiosamente. Dopo la disaffezione (largamente giustificata) nei confronti della classe politica si è fatta strada nella coscienza nazionale un'avversione nei confronti dei giudici, fustigatori di male pratiche e cattivi costumi. Defilatisi o riciclatisi con grande abilità i politici, sono loro che ora stanno rischiando di diventare i capri espiatori di una transizione incompiuta, immolati sull'altare della riconciliazione nazionale. Il capo d'accusa è, con assai sospetto gusto per l'iperbole, la dittatura dei giudici. Ci si appella alle libertà e al garantismo e ovunque si denunciano presunte grossolane violazioni dei diritti e della privacy dei cittadini da parte dei pubblici ministeri. Ma in realtà l'ideologia neo-liberale imperante dagli Anni 80 non sembra voler perdonare ai giudici il fatto d'aver costruito la loro legittimazione sociale sul rifiuto del denaro e del mercato, di volersi ergere a «guardiani del tempio», sacerdoti degli ultimi sacelli di una concezione etica dello Stato. Non è un caso che nella polemica siano coinvolte nuove categorie professionali di dissacratori del tempio. L'Europa soccomberà ai professionisti Si continua in effetti a parlare molto di etica degli affari e di nuovi codici deontologici (si pensi da ultimo al dibattito innescato da recenti fascicoli di MicroMega su etica e bioetica). Ma si dovrebbe prestare più attenzione alle controtendenze, e fra queste alla formazione di una classe di «mercanti del diritto», a cui è dedicato il libro, ora tradotto da Giuffrè, del sociologo francese Yves, Dezalay, un ricercatore attento alle nuove frontiere della tecnocrazia. Il suo è un saggio su categorie professionali quali il commissario liquidatore, l'amministratore giudiziario, il supervisore del risanamento, il turnaround manager, dunque su quel mercato di professionisti che gravita intorno alle procedure fallimentari, alle offerte pubbliche di acquisto (Opa), alle strategie di risanamento e più in generale alle attività di consulenza e di intermediazione nel mondo degli affari. Indagando in tre diversi contesti - la Francia, l'Unione Eu- L'Europa soccomberà ai professionisti Usa: è il prezzo della globalizzazione ropea e gli Stati Uniti (ancora Wall Street come fucina di nuove competenze e professionalità) - i codici di condotta delle nuove generazioni di managers nell'età del big bang dei servizi finanziari, Dezalay offre un quadro efficace del darwinismo sociale delle professioni che oggi più contano, dai protagonisti del mercato delle consulenze agli investment bankers. Si tratta di specialisti rampanti, yuppies lawyers dotati di buona preparazione tecnica ma di scarse cognizioni deontologiche, e inclini a sovvertire le tradizioni consolida¬ te dei gentlemen lawyers, dei vecchi notabili del commercio e dell'industria. Il fenomeno più eclatante di questa competizione all'ultima cifra e all'ultimo cavillo è il cosiddetto «bracconaggio interprofessionale»: anche quando le istituzioni e le competenze definiscono un monopolio locale, lo sconfinamento in territorio altrui è continuo, perché riflette la fondamentale incapacità di tutti i gruppi professionali a delimitare in modo stabile lo spazio delle proprie competenze specialistiche (del resto, scrivendo questa recensione, nella quale da filosofo e politologo invado il campo dei giuristi, sto nel mio piccolo esercitandomi anch'io nell'arte non proprio nobile del bracconaggio interprofessionale). Due fondamentalmente le lezioni che si possono trarre da una lettura ragionata di questa ricerca. La prima è nell'invito a non nutrire eccessive aspettative nella riforma delle istituzioni, posto che la nostra più che l'età dei gradi legislatori può ben definirsi l'età dei mercanti del diritto. Il loro lavoro plasma la costituzione economica, conferisce nuovi assetti e vitalità a quei poteri influenti dal cui intreccio risulta la «costituzione materiale» di una società. La seconda è che ormai siamo entrati nel vortice della globalizzazione anche per quanto concerne il diritto, il che vuol dire americanizzazione della nostra cultura e delle nostre pratiche giuridiche. Anche nel settore del diritto, attraverso il quale ha portato la civiltà nel mondo, l'Europa sembra ormai essere perdente. E vi è già chi pensa, speriamo a torto ma raccogliendo crescenti consensi, che la battaglia per i diritti dell'uomo sia il cavallo di Troia del nostro declino. Paolo Portinaro LA NUOVA GUERRA VISTA DAL GENERALE illiam Sud qualche incontro con la fauna degli atolli, magari invadente come una famigliola di vicini di attracco, i compagni di avventura incontrano qualche inconveniente, in particolare l'unica ragazza, Gabriel, riporta un'infezione a una mano graffiandosela con un corallo. Da ultimo tutto il gruppo se la vede brutta, incappando in una tempesta annunciata da un albatro, che dura ottanta ore e che richiede il massimo dell'impegno. Come in un indimenticabile romanzo breve di Conrad, questo fortunale oltre a offrire l'occasione per uno splendido pezzo di bravura descrittiva cementa le individuahtà in un unico sforzo collettivo per il bene comune, anche se la McWilliam non insiste su questa morale - lei si limita a lasciar scorrere il suo occhio, registrando quello che vede con precisione talvolta micidiale - ma lascia che i suoi perplessi personaggi, così come i lettori, vi arrivino da sé. Miagolino d'Amico GUERRA STRATEGIA E SICUREZZA Carlo Jean Laterza pp. 272 L. 30.000 GUERRA STRATEGIA E SICUREZZA Carlo Jean Laterza pp. 272 L. 30.000 A guerra non è solo un atto della politica, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi. [...] Il disegno politico è lo scopo, la guerra è il mezzo e un mezzo senza scopo non può concepirsi». Chi non conosce questo passaggio famoso dell'opera classica del generale prussiano Karl von Clausewitz, scritta nel 1832 e intitolata appunto Della guerra {Vom Kriege)? Ma il suo significato è valido ancora oggi, alle porte del Duemila, in una situazione storica tanto mutata e tanto più complessa? «Sì - dice il generale Carlo Jean, presidente del Centro Alti Studi della Difesa, polemologo ma anche politologo fra i maggiori, non solo in Italia, parlando del suo nuovo libro Guerra, strategia e sicurezza - La guerra è parte integrante della politica e inseparabile da essa, oggi come ieri, e del resto questo era stato detto già da Aristotele e da Tucidide. Essi avevano anticipato quella che Clausewitz chiama "la stupefa¬ cente trinità della guerra"». E cioè? «Cioè la presenza, in ogni situazione bellica, di un fattore irrazionale, che è l'istinto di violenza, di un fattore a-razionale, che è lo strumento militare, e infine di un fattore razionale, che è lo Stato, con la sua visione dell'obiettivo politico, che deve vincere l'istinto irrazionale e utilizzare in modi adeguati e proporzionati allo scopo politico lo strumento militare. Tutto questo vale per sempre, e a maggior ragione oggi che le guerre di tipo classico sembrano cedere il posto a conflitti interni agli Stati, in nome di identità etniche o religiose, essendo finite le eleganti simmetrie del bipolarismo nucleare Usa-Urss, o Est-Ovest. Oggi la guerra sembra meno pericolosa, e lo è, rispetto al confronto nucleare dell'era ideologica, che poi era per certi versi un confronto virtuale, data la sproporzione tra scopi e mezzi, ma appunto per questo la guerra è più probabile, e dunque maggiore è il bisogno di razionalizzarla, di tenerla sotto il controllo della politica. Che è altra cosa che esorcizzarla in chiave pacifista o ecumenica, com'è accaduto per tanto tempo, per esempio, in Italia». Il libro di Jean è per molti aspetti un vero e proprio manuale di strategia militare, per altri è un saggio storico-politico, pieno di riferimen¬ ti generale Carlo Jean presidente del Centro Alti Studi della Difesa ti alla poliedrica e anche inquietante realtà contemporanea, dopo la fine del comunismo e della Guerra fredda. Del resto, riaffermare il primato della politica sullo strumento militare comporta una valutazione adeguata della nuova realtà internazionale, anche nei suoi aspetti socioeconomici. Dice Jean: «In un certo senso, siamo in un'epoca post-strategica, se per strategia s'intende solo quella militare. C'è, ci dev'essere, anche una strategia economica, per fronteggiare la sfida della globalizzazione del mercato, della competizione commerciale su scala mondiale. Nell'era della rivoluzione tecnologica e informatica, il controllo di territori o di zone geografiche non conta, di fronte alla conquista di aree del mercato planetario. E questo richiede una modernizzazione complessiva del sistema-Paese, anche sul versante costituzionale, nel senso di ripristinare, o d'instaurare, un processo decisionale che tenga conto del contesto in cui ora si colloca l'Italia. Naturalmente, la modernizzazione riguarda anche lo strumento militare, cioè il possibile uso della forza, che dev'essere credibile tecnicamente, ma anche e soprattutto per l'esistenza, alle sue spalle, di mia riconoscibile e omogenea volontà politica». Il libro è pieno di altri spunti: la «guerra giusta», il movente religioso nei conflitti contemporanei, l'importanza (residua?) del fattore nucleare, e così via. Ciascuno di essi meriterebbe un'analisi a sé. E' davvero un saggio molto intenso e complesso, peraltro dedicato dall'autore non a un pubblico specialistico, ma a chiunque voglia documentarsi sulle realtà profonde del mondo in cui viviamo (inclusi, si spera, molti esponenti della nostra classe politica). A merito di Jean, si sia o meno d'accordo con tutte le sue interpretazioni, va detto che il libro rifiuta qualsiasi determinismo storico e geografico, non pensa che, dopo la fine della Guerra fredda, si sia tornati al Congresso di Vienna, tiene conto delle nuove istituzioni internazionali e insomma è proiettato verso il futuro, pur sentendo, com'è giusto, l'eredità del passato. A cominciare da quella, concettualmente imperitura, di Karl von Clausewitz. Aldo Rizzo