Il Drake, un mito spericolato di Pierangelo Sapegno

Il Drake/ un mito spericolato Il Drake/ un mito spericolato «Mio padre diceva che correre è come vivere» I RICORDI DEL FIGLIO ROMA DAL NOSTRO INVIATO Il Drake sapeva che il cuore della sua macchina aveva un tempo per vivere. Quand'era pronta una Ferrari, lui chiamava Peppino, il suo meccanico tuttofare, il migliore che aveva, e si metteva al volante. Andava in giro e la provava. Anche Peppino se ne innamorava, e per questo potevano starsene tutt'e due in silenzio per le stradine di terra, a far nubi di polvere tagliando i campi tra i filari di ciliegi, a guardare l'imbuto davanti a loro. Noi non riusciamo sempre a capire il piacere di una macchina. Ma la poesia di una Ferrari sì, può commuoverci. A Enzo Ferrari, il Drake, non importava niente del viaggio che faceva il mondo sulla sua macchina, perché i pionieri devono essere fatti così. A volte, senza nemmeno girarsi, chiedeva a Peppino «come ti sembra?» mentre smanettava sul cambio e infilava una curva. Forse ci fu una sera che Peppino non rispose. Guardava la luna. Però, il Drake sapeva capirlo. E adesso a guardare queste due Ferrari qui da- vanti al Campidoglio, uno capisce che il cuore di queste macchine è andato oltre il suo tempo, e che può capitare anche questo a chi poi vuole inseguire solo il futuro, a chi vuole correre più veloce di tutto e di tutti. Il futuro e la velocità erano gli amori del Drake. Forse, sono la stessa cosa, noi non l'abbiamo capito e non sappiamo se lui lo pensava. Però, come dicono suo figlio Piero e Luca di Montezemolo, sappiamo che lui viveva per questo. Ma in tutti questi anni è cambiato anche il futuro, come vuole lo scorrere della vita. Così, il tempo e il mondo hanno portato il mito del futuro proprio qui, nella città del passato, con i suoi colori papalini e le sue luci anti¬ che, con la sua lentezza indolente, fascinosa. C'è il sole e un po' di ponentino a Roma. Poi ci sono i 50 anni della Ferrari, corsi tutti disperatamente. Piero, il figlio del Drake, è nato proprio poco prima che quel mito cominciasse. L/ha conosciuto un giorno che era bambino, quando suo padre lo portò per la prima volta a fare un giro sulla Ferrari. «Era una berbnetta, non ricordo se era una Tour de France o una Mille Miglia». Ricorda che era azzurra e a strisce nere, questo lo ricorda bene. Lo fece sedere in mezzo, nel tunnel fra i due posti davanti. Lui era così piccolino che ci stava. Guidava il Drake, e a fianco c'era Peppino, perché non usciva mai senza di lui. La macchina era nuova, ap¬ pena costruita, e la calandra era come se avesse un sorriso di stupore. «Mio padre era un guidatore spericolato, e anche quella volta portava la macchina in modo molto sportivo, con una mano sempre sul cambio». Solo che le strade allora erano bianche e si passava fumando fra i campi e le vigne, fuori da Modena, lasciando nuvolaglie di pietrisco alle spalle. «Mio padre», dice Piero, «non riusciva ad andare piano. Non poteva». Ma non aveva paura per lei? Nooo, papà no. Perché la velocità per lui era la vita, come ricorda Piero, ancora adesso: «E' difficile da spiegare, aveva fretta in tutto, voleva arrivare al traguardo presto, sempre. E anche quando costruiva una mac¬ china, la sua fissazione era di non perdere tempo. E pure con il motore nuovo, faceva una sola prova, per essere più veloce degli altri, per arrivare primo». Tutto questo, in fondo, è rimasto nel piccolo grande mondo di Maranello, fra quelle stradine, attorno a quel campanile. Parte da un paese così, un segno del nostro tempo e del futuro, che è la velocità, la rapidità, e chissà come è fatto il suo cuore, dentro a quelle forme così perfette e a quel muso che si infila nell'aria e che ci corre dentro. Qualcosa sarà rimasto da allora a oggi, e lo vedremo anche in questi giorni di ricordi. Il Drake aveva una cosa più di tutte, ed era la grinta. Non è che ti insegnava le cose, non è che ti parla¬ va. Uno beveva da lui, come faceva Peppino, quando gli stava seduto accanto andando nei campi. Il figlio Piero dice che il senso della velocità lui l'ha imparato da suo padre, che non amava viaggiare e che anche da vecchio continuava a correre attorno al suo campanile. Dice che per lui, però, è soprattutto libertà, una ebbrezza speciale. «Io dico che correre è come essere vivi», ripete. Anche noi continuiamo a farlo, dappertutto, accorciando il mondo. Sappiamo che da qualche parte ci porterà. E pensare che il Drake non voleva che suo figlio si innamorasse dei motori com'era successo a lui. Gli diceva sempre: «Da grande diventa agricoltore o prelato». Ogni 15 giorni gli por¬ tava Topolino, e allora lo faceva sedere sulle sue ginocchia e lo sfogliava assieme a lui. Anche il. Drake ogni tanto si fermava. Come questi due bolidi, questi due monumenti piazzati davanti al Campidoglio sotto al sole dolce di Roma. Uno è quello del 1951, quando la Ferrari vinse con Gonzales il suo primo Gran Premio di FI in Inghilterra. L'altro è di Schumacher, appena 3 settimane fa a Montecarlo. Da Enzo Ferrari a Montezemolo. Mentre il mondo va e il Drake continua a correre contro la luna, davanti alla luna. Come quella sera che tornava con il figlio Piero da Bologna a Maranello. Provava la Superamerica, che era un modello degli Anni Sessanta. Lui correva, correva, divorando i ciliegi e i campi attorno a sé. Ma vedeva sempre una luce dietro, e pure quando accelerava ancora, quella restava attaccata, e non riusciva a capire perché. «Chi è che ci segue?», chiese. Nessuno. «C'è una luce. Come fanno a restarmi dietro?». Piero si girò. Non era niente. Non era nessuno. Era la luna. Pierangelo Sapegno ■

Persone citate: Enzo Ferrari, Montezemolo, Schumacher

Luoghi citati: Bologna, Inghilterra, Maranello, Modena, Montecarlo, Roma