Corruzione, in carcere Savia e Bonifaci

Corruzione, in carcere Savia e Bonifaci L'ex procuratore di Cassino e l'editore del Tempo accusati dai pm di Perugia. Arrestato anche Melpignano Corruzione, in carcere Savia e Bonifaci Riparte l'indagine sul «porto delle nebbie» ROMA. Torna in carcere Orazio Savia, l'ex pubblico ministero romano diventato procuratore di Cassino, già arrestato a settembre scorso nell'inchiesta spezzina su Pacini Battaglia; finisce in cella Domenico Bonifaci, costruttore e proprietario del quotidiano romano «Il Tempo», già coinvolto nel processo Enimont; arrestato anche Sergio Melpignano, pure lui vecchia conoscenza delle inchieste di Tangentopoli. Riparte così, in maniera clamorosa, l'indagine della procura di Perugia sulla corruzione nel palazzo di giustizia di Roma, dopo che per mesi i carabinieri del Ros hanno lavorato su accertamenti patrimoniali, intercettazioni ambientali, ricostruzioni di quel che accadde nel «porto delle nebbie» romano nei primi anni di Mani pulite. Un periodo in cui nelle campagne intorno alla capitale mori - per suicidio o omicidio non si sa ancora, l'inchiesta della procura romana non l'ha ancora chiarito - Sergio Castellari, l'ex direttore generale delle Partecipazioni statali che Savia voleva arrestare. Anche quella mor+° viene riletta nell'ordine di carcerazione eseguito ieri, e diventa un macabro riscontro all'ipotesi che il processo Enimont dovesse rimanere a Roma anziché prendere la strada di Milano proprio per poterlo «aggiustare» meglio. L'accusa per gli arrestati è di corruzione in atti giudiziari, appropriazione indebita, frode fiscale, falso in fatturazione e falso in bilancio. Secondo gli inquirenti Bonifaci diede al giudice Savia 1 miliardo e 300 milioni di lire, tramite Melpignano, nonché «l'utilità della gestione della società Promontorio s.r.l.» un'immobiliare che doveva fare da schermo «alla provenienza delittuosa dei beni» - affinché il magistrato «ponesse le sue pubbliche funzioni al servizio degli interessi» dei due. Come? Con l'intervento sul suo collega romano Antonino Vinci perché conducesse la sua inchiesta sui «palazzi d'oro» in maniera «favorevole agli interessi del Bonifaci e del Melpignano», recita l'atto d'accusa. E poi con il tentativo di trattenere il processo Enimont a Roma, in modo da arrivare a una «conclusione non traumatica» per il costruttore, il commercialista e altre persone fra cui Gabriele Cagliari, suicidatosi a San Vittore nel luglio del '93. Agli atti dell'inchiesta condotta dai pm di Perugia Cardella, Renzo e Della Monica ci sono le ormai famose intercettazioni ordinate dalla procura della Spezia, in cui Emo Danesi raccontava a Pacini Battaglia il disappunto di Savia per non essere riuscito a tenere quel processo. Ma le indagini degli ultimi mesi hanno portato alla conclusione che Savia voleva arrestare Castellari proprio «con il fine di radicare la competenza dell'autorità giudiziaria di Roma per quel procedimento» rivendicato anche dai magistrati milanesi, come ha testimoniato il procuratore aggiunto della capitale Ettore Torri che affiancava Savia nella conduzione dell'inchiesta. Secondo il giudice che ha firmato gli ordini di carcerazione, la lettura della richiesta di arresto firmata da Savia il 15 febbraio 1993 contro Castellari dimostrerebbe la fondatezza dei sospetti di Torri, in quanto giudicata assolutamente strumentale, considerato anche che Castellari, oltre a proclamarsi innocente, s'era detto pronto a chiarire la propria posizione. E la lettera lasciata da Castellari prima di morire sugli inquisitori «di cui è nota (...) la diretta e profonda corruzione», viene considerata dal giudice non tanto indiziaria quanto suggestiva, ma comunque una conferma della «spregiudicatezza» di Sa- via. I magistrati perugini hanno anche le intercettazioni in cui Danesi chiedeva a Pacini di cambiare per il giudice amico 250 milioni in franchi svizzeri, perché «ha venduto la casa di Punta Ala e glieli hanno dati in nero»: la difesa di Savia sostenne che lui non aveva case a Punta Ala, ma i Ros hanno scoperto che gli immobili ce l'aveva la «Promontorio», di cui il magistrato sarebbe il reale proprietario. Per i reati economici legati a questa società il magistrato e Melpignano sono indagati insieme ad Anna Maria Amoretti, so- eia dello studio del commercialista. E sono accusati di aver intascato 1'«ingiusto profitto» di 642 milioni, ricavato dalla differenza tra prezzo reale e prezzo ufficiale della vendita di alcune case intestate alla società. Melpignano è anche indagato per ricettazione, per aver occultato circa 39 miliardi ricevuti da Bonifaci e provenienti - sempre secondo il gip di Perugia - «dai delitti di appropriazione indebita e falso in bilancio». Nel periodo '93-'94 Savia aveva un telefono cellulare intestato alla società Italvie del gruppo Bonifaci: un altro elemento, per l'accusa, della «molteplicità delle regalie» ricevute dal giudice e della «compravendita della funzione giudiziaria tra il Bonifaci e il Savia», il quale doveva evitare al costruttore «sgradite sorprese». Commenta l'avvocato di Bonifaci Massimo Krogh: «Sono stupito, il mio assistito non è mai stato interrogato dai magistrati di Perugia; credo proprio che i pm abbiano preso una papera». Giovanni Bianconi Le accuse: indebita appropriazione, frode fiscale falso in fatturazione e falso in bilancio Ma si rilegge anche il delitto Castellari Orazio Savia l'ex capo della procura di Cassino già arrestato nel settembre scorso Domenico Bonifaci il costruttore proprietario del quotidiano «Il Tempo» Sergio Castellari l'ex direttore generale delle Partecipazioni statali «suicida» che Savia voleva arrestare