Figaro contro Figaro

contro Svelato il giallo del «Barbiere di Siviglia»: la sera del debutto fu la «claque» di un droghiere a tendere un agguato di fischi Svelato il giallo del «Barbiere di Siviglia»: la sera del debutto fu la «claque» di un droghiere a tendere un agguato di fischi contro PROMA IACQUE a tutti, al primo incontro. A Hegel: «Ho sentito il Barbiere di Rossini I per la seconda volta. Bisogna che il mio gusto si sia molto depravato, perché trovo questo Figaro più attraente di quello di Mozart». A Schopenhauer: «Una medicina irresistibile, rassorenatrice, obliosa». A Leopardi: «Riesce universalmente grata la musica di Rossini perché le sue melodie sono totalmente popolari, e rubate, per così dire, alle bocche del popolo». Stendhal era già sedotto, Baudelaire stupì per la capacità dell'autore di rendere «le comique absolu». Piacque al pubblico, che allora decideva. Dopo il debutto, il 20 febbraio 1816 al Teatro Argentina, il Barbiere di Siviglia non uscì mai di repertorio e da Roma iniziò la sua folle corsa: Bologna, Firenze, altre otto città italiane, poi Londra, Parigi, Vienna, Lisbona/Monaco, Bruxelles, Madrid, Lipsia, Breslavia, fino ad approdare, nel 1826, a New York, nel teatro gestito dal vecchio ma tenacissimo Lorenzo da Ponte. Sopravvisse perfino alla grande eclisse rossiniana del Secondo '800, quando nessuno, all'opera, aveva più voglia di ridere, o di far ridere. Una moda che stenta a passare. E allora: perché mai la prima sera «credetti che il Teatro Argentina crollasse sotto le fischiate e gli schiamazzi del pubblico romano», come scriverà lo stesso Rossini? Anche Traviata cadde alla prima, ma Verdi, alla ripresa dell'anno successivo, cambiò gli interpreti. Anche Madama Butterfly, e Puccini fece non poche modifiche prima di riproporla, tre mesi dopo. Il Barbiere invece trionfò, con gli stessi interpreti, senza ima nota cambiata, a distanza di 24 ore. Chi organizzò quella contestazione, chi aveva interesse a frapporsi al cammino del ventiquattrenne genio di Pesaro? Le notizie e i documenti ci sono tutti e una lettura incrociata aiuta a svelare il mistero. Due, da sempre, i sospettati: Giovanni Paisiello, il compositore che, a San Pietroburgo nel 1782, aveva messo in musica Le barbier de Séville, ou la Précautìon Inutile, la prima delle tre commedie di Beaumarchais dedicate al suo personaggio più gemale, Figaro. La seconda, Le mariage de Figaro, è la fonte delle mozartiane Nozze di Figaro. Nel 1816, Paisiello ha 76 anni e i Borboni, tornati a regnare su Napoli, lo hanno pubblicamente umiliato per la sua adesione alla Repubblica partenopea del 1799, la simpatia che gli dimostrò Napoleone, gli incarichi conferiti da Gioacchino Murat. All'anziano maestro resteranno da vivere solo tre mesi, tristissimi; non ha certo il potere di comandare, a distanza, una simile gazzarra e la prassi di «intonare» lo stesso testo da parte di compositori diversi era del resto abituale: con quella commedia di Beaumarchais si erano cimentati, prima e dopo di lui, altri dodici musicisti, sempre senza scandalo. Responsabile - il secondo sospettato - può essere stato qualche impresario rivale: di quali perfidie fossero capaci questi mercanti del melodramma lo racconta bene Gioacchino Belli, nel suo sonetto L'opera seria, dove li paragona a dei venditori di pesce, anche marcio. Una disinvoltura che appartenne, in massimo grado, al più celebre di tutti, Domenico Barbaja. Il 4 gennaio 1816, il duca Francesco Sforza Cesarmi - 44 anni, proprietario e impresario dell'Argentina, costruito dalla sua famiglia nel 1731 - scrive all'amico monsignor Carlo Mauri, sostituto del segretario di Stato cardinal Consalvi. La sera precedente, nel suo teatro, era andata in scena L'Italiana in Algeri, la mattina dopo aveva dovuto litigare di buon'ora con Cesare Sterbini, librettista incaricato di consegnare il testo del Barbiere entro e non oltre il 29 gennaio: un termine terribilmente breve, ma tassativo, se si voleva essere pronti, come previsto, per la stagione di Carnevale. E Rossini, che aveva voluto quel soggetto, stava aspettando i versi nel suo appartamento di via de' Leutari, messogli a disposizione dal duca (oggi, proprio di fronte, vi abita un giovane compositore...): «Caro amico, sono stufo di fare una vita simile, che non lo comporta la mia salute. Sono ormai vecchio, stufo del mondo e non devo pensare che a una vita tranquilla... Si è dovuto superare ieri sera un partitacelo terribile, che era del teatro Valle, che non faceva altro che procurare di far star zitti tutti quelli che volevano applaudire. Se ne accorse perfino mia moglie nel palco mentre a me non è passato neppure per la testa di mandar delle persone a far partito contrario al Valle». Era davvero malato, il duca, e così stanco. Morì infatti il 16 febbraio, quattro giorni prima del debutto. Il «partitaccio terribile del Valle» agì anche la sera del 20 febbraio? Fedele D'Amico smonta la tesi della congiura: «L'affermazione è insostenibile se si pensi all'amicizia fervidissima che legava Rossini ad uno di quegli impresari, Pietro Cartoni». Per il Valle, inoltre, Rossini aveva appena composto Torvaldo e Dorliska, e nove giorni dopo la prima del Barbiere firmò, per Cartoni, la scrittura per una nuova opera, La Cenerentola. Pietro Cartoni era un droghiere di 37 anni e si stava arricchendo con le candele, il cioccolato e i cantanti. Non aveva, a differenza dello Sforza, né teatri né beni di famiglia, ma non era stanco e neppure malato. Viveva in un appartamento di palazzo Capranica, riforniva di cibo il goloso duca Bartolomeo e quando Rossini tornò a Roma per scrivere Cenerentola, abitò in quella casa, mangiando alla sua tavola, che l'inflessibile gourmet tuttavia non gradì: «Tanto sovraccaricava di aromati le vivande che dovetti nutrirmi a mie spese». Sua moglie Girolama era cognata di Ferdinando Paèr, compositore che sarà buon amico di Rossini a Parigi. Fu lei ad appassionare lo sposo alla musica, e lui ne intuì subito le potenzialità economiche. Dal 1809 gestiva il Teatro Valle e aveva buttato gli occhi sull'Argentina. La morte del duca Francesco fu l'occasione inattesa: gettò nel panico la nobile famiglia romana e Nicola Ratti, segretario e archivista del defunto nobiluomo, si trovò a fronteggiare l'ira dei cantanti e del librettista per i compensi che tardavano ad arrivare. Si va in scena. Rossini, che suona il clavicembalo in orchestra, e Sterbini fanno precedere al libretto un Avvertimento alpubblico, nel quale ricordano che il testo è stato «di nuovo interamente versificato e (vi sono) aggiunte parecchie nuove si- tuazioni di pezzi musicali che erano d'altronde reclamate dal moderno gusto teatrale, cotanto cangiato dall'epoca in cui scrisse la sua musica il rinomato Paisiello». Per rispetto del quale, decidono anche di cambiare il titolo: non il Barbiere di Siviglia, ma L'inutile precauzione. Davvero inutile quello stratagemma, e destinato a durare pochissi¬ re, i cantanti sono i migliori e amatissimi dai romani: Manuel Garda è il Conte d'Almaviva, Luigi Zamboni è Figaro, mentre il contralto Geltrude Righetti Giorgi dà voce a Rosina. E' lei, qualche anno dopo, nei Cenni d'una donna, già cantante, sopra il maestro Rossini a raccontarci il seguito: «Si tacquero adunque e si disposero ad ascoltarmi. Come io cantassi la cavatina della Vipera, lo dicono i romani stessi e lo dirà Rossini. Essi mi onorarono di tre consecutivi applausi generali, e Rossini alzossi pure una volta per ringraziarli». Applausi dunque, non solo gazzarra e scontri, insulti, cappellate, quella «bella e brava mischia» di cui ha miràbilmente scritto Riccardo Bacchelli. E Cartoni? Chi, se non lui, aveva interesse a creare un caso attorno a quell'opera nuova? Amico di Rossini, uno dei suoi impresari, deciso ad averne l'esclusiva a Roma. Giovane, di fresca ricchezza, ansioso di accumulare nuovi meliti e gloria, già così potente da indirizzare, ai rivali dell'Argentina decapitato dalla morte del duca, un avvertimento esplicito: o si scende a patti con me, o sono in grado di mandare all'aria qualsiasi opera, anche se avete scritturato i migliori interpreti. Quella sera, dunque, agirono due Figari: uno in scena, il secondo, invece, fu un altrettanto astuto maestro del retroscena, esempio in carne e ossa del personaggio inventato da Beaumarchais e amato da Rossini. E la rissa in teatro non è anch'essa immagine speculare dell'«orrida fucina» che si scatena sul palcoscenico alla fine del primo atto? Cartoni vinse la sua battaglia: nel 1824 ottenne l'Argentina in enfiteusi e, allo scadere dei vent'anni pattuiti, la sua famiglia si tolse la soddisfazione di vendere quel diritto ai principi Torlonia. Quella notte - lo racconta lui stesso - Rossini donni tranquillo. Resta dunque un dubbio: sapeva, e tollerò in silenzio, certo che la sera dopo avrebbe trionfato, ammirando l'«invenzione prelibata» di quel self made man che aveva fatto irrompere la vita nel teatro? E' da allora che il mondo appartiene ai droghieri, ai factotum? Sandro Cappelletto «imspfDtourirti «Gazzarra, scontri, insulti e cappellate» ma 24 ore dopo, senza cambiare nulla per il compositore fu un trionfo Dietro il spartitacelo terribile» che zittì ogni applauso c'era un «maestro del retroscena» che voleva il teatro Argentina mo, perché tutti chiamarono subito l'opera II barbiere. Ma serve a capire la consapevolezza che il giovane maestro aveva della propria specificità, così coraggiosa da permettersi qualche libertà rispetto alle abitudini e alle convenzioni del pubblico. Si alza il sipario e si fischia subito, come riesce solo ad una claque numerosa e ben predisposta. Eppu-