«Non siamo come i lanciatori di sassi»

«e' falso dire che non abbiamo valori, fra di noi non girano droga e alcol, al massimo una birra» «Non siamo come i lanciatori di sussi» «e' falso dire che non abbiamo valori, fra di noi non girano droga e alcol, al massimo una birra» «Non siamo come i lanciatori di sussi» Milano, si difendono i ragazzi dei raid alle feste MILANO. «Ma non abbiamo mica buttato un masso dal cavalcavia...». Mette il freno a mano la ragazzina di 17 anni, capelli corti, jeans, tacchi e cellulare in tasca. Quanto di più lontano si possa immaginare da un teppista, anche se così l'hanno chiamata, lei come i suoi amici, per quella festa finita male dalle figlie di Roberto Vecchioni. «Non siamo come quei due balordi che hanno ammazzato un barbone in Central Park...», fa muro un altro, tutto in difesa, sul naso gli occhiali da sole come quelli di Brad Pitt, in testa la techno, Jovanotti, lo scooter nero con gli adesivi fluorescenti e le ragazze. Per ore, sono stati interrogati, prima in Questura, poi alla procura dei minorenni. Adesso appoggiato il motorino alla cancellata dei giardini di via Palestra - tengono soprattutto a dire una cosa: «Siamo qui a chiarire alcune faccende scritte dai giornali, ma senza mettere nomi, che i miei genitori neanche lo sanno che sono qui». Fanno l'elenco: «Non è vero che non abbiamo valori, non è vero che ci muoviamo in branco solo per fare casino. Da sempre, si va alle feste anche se non si è invitati...». Va bene. Ma le razzie, gli sfregi sulle poltrone di pelle, il tappeto preso come una sputacchiera? Le urla, il raid, l'incursione? «Certe cose non si possono giustificare, ma non generalizziamo... Chi di noi ha rubato, ha capito», spiega un altro, capelli lunghi, maglia bianca, la faccia buona, il cognome importante. Arrivano dai licei privati bene di Milano, dal San Carlo, dal Leone XIII, dal Cardinal Ferrari. Si trovano per strada, ogni pomeriggio, in piazza Santo Stefano, in via della Passione o in piazza Tommaseo per parlare di ragazze, moto e musica. Hanno tra 17 e 19 anni e quella festa vorrebbero dimenticarla per sempre. «Eravamo in trenta, abbiamo saputo che ci si trovava in quella casa e ci siamo andati. Non volevamo rubare o spaccare, volevamo solo divertirci», ricorda la ragazza. «Neanche sapevamo che ci abitava Roberto Vecchioni», aggiunge. Perché una casa è come un'altra, quando si sta in tanti, c'è la birra, facce nuove, amici di sempre. «Sì, al massimo una birra. C'erano le pizzette e basta. Non c'è droga, non c'è alcol, nemmeno uno spinello, siamo tutti sanissimi nel nostro gruppo», precisano. «Quando abbiamo citofonato, ci hanno fatto salire subito. Poi una ragazza, dalla foto dei giornali ho visto che era la figlia del cantautore, mi ha detto: se garantisci tu, potete restare», racconta. Come se fosse facile «garantire» per i 30 che in un attimo sono diventati 50 e c'erano facce che chissà da dove eran saltate fuori. Le t-shirt rubate, gli Swatch in tasca, la vetrata che va in mille pezzi, è storia di fascicoli giudiziari «e poi non ingigantia- mo la cosa che è stato restituito tutto», minimizza un altro, sigaretta in bocca e sono 18 anni o giù di lì. Il ragionamento non fa una grinza: hanno preso, hanno restituito, la festa è finita. Tutto così è più facile. Rimangono i mille perché che nessun sociologo può spiegare, se non con le parole di uno di questi ragazzi che racconta la storia di sempre. Questa: «Quelli là volevano solo farsi vedere, farsi notare dal gruppo senza rispettare le cose degli altri», dice uno. E la chiude lì, «che tanto non eravamo tutti ladri, e poi il furbo c'è sempre». L'immagine compromessa brucia, ma è alle conseguenze giudiziarie che guardano tutti. «Se io volessi fare il magistrato, poi non potrei farlo più, con la fedina penale che non è più illibata. Perché stroncarmi la vita?», si chiede la ragazza. Seguita a ruota dai suoi amici, più terra terra. «Mia madre si è messa a piangere davanti al magistrato...», giura uno. «I miei, l'hanno presa così male.-..», conferma un altro. E sostiene che quelle sono tutte balle scritte sui giornali, a partire dai genitori permissivi, che chiudono tutti e due gli occhi e fanno come se niente fosse successo. Ma con Roberto Vecchioni e la sua denuncia, sono velenosi. «Non è che voglia far pubblicità al suo tour e al nuovo ed?», chiedono maliziosi. E ricordano, come se fosse una leggenda, una festa a Milano, nel '91. «La madre di tutte le feste», la chiamano: 35 milioni di danni, un tavolo del '600 in fiamme. «E allora ci fu solo un trafiletto sul giornale...», gli hanno raccontato. Adesso parlano di poliziotti in borghese, che si aggirano nei loro luoghi di ritrovo, ed è come se nominassero i fantasmi. Giurano che in «casa, i miei hanno rotto di brutto». E poi si domandano: «La prossima festa? Chissà quando, forse è meglio aspettare...». Fabio Potetti «E' vero, certi eccessi non si possono giustificare, chi ha rubato ha capito» «Neppure sapevamo che era la casa di Vecchioni. Ma tutto è stato restituito»

Persone citate: Brad Pitt, Fabio Potetti, Leone Xiii, Roberto Vecchioni, Vecchioni

Luoghi citati: Milano