Ma Borrelli: «Sapeva tutte le accuse» di Paolo Colonnello

Ma Borrelli: «Sapeva tutte le accuse» Ma Borrelli: «Sapeva tutte le accuse» MILANO. Gli atti dell'inchiesta Bpm ufficialmente non erano ancora pubblici ma, nel pettegolo paese di Palazzo di giustizia, li conoscevano in molti. Non tutti però. Roberto Solito, l'ex dirigente della Banca inquisito per concorso in falso in bilancio, suicidatosi sabato sera, era tra quelli che li ignoravano. E forse anche per questo, quando ha visto il suo nome comparire su un quotidiano con la notizia della perizia sul buco di 400 miliardi della Banca Popolare, ha deciso di impiccarsi. E adesso è la solita, triste, polemica. In un'intervista a «Prima pagina», il procuratore Francesco Saverio Borrelli si è detto sicuro di poter escludere «che il contenuto di notizie giornalistiche dell'ultima ora possa aver sorpreso l'ex dirigente della Banca Popolare di Milano, al punto da provocare il tragico gesto». Secondo il procuratore quando Solito venne interrogato il 4 giugno del 1996, «tutti gli elementi di accusa gli vennero contestati». Ciò nonostante Solito ha dovuto apprendere dai giornali di essere non solo nella lista della richiesta di rinvio a giudizio firmata dal pm Targetti una quindicina di giorni fa, ma soprattutto dell'esistenza di una perizia di circa 3.000 pagine che analizzava anche le sue responsabilità. Secondarie, si dice ora, rispetto a molti altri dirigenti della Bpm accusati di concorso in falso in bilancio. Ma a Solito questa differenza non poteva spiegarla nessuno: non il suo avvocato che di quei documenti - l'ultima parte dei quali depositata nella cancelleria del gip il 5 maggio scorso - aspettava le copie una volta che fosse stata fissata dal gip Grigo l'udienza preliminare. Così come prevede la legge. L'avvocato Carlo Gilli ieri ha denunciato «il mostruoso meccanismo della giustizia, un sistema perverso». Che, come ha spiegato il legale, non riguarda tanto il pm o il gip in causa, quanto la legge che non prevede per gli imputati di essere messi a conoscenza degli atti dell'inchiesta finché non sia fissata l'udienza preliminare. Mentre autorizza, ad esempio, le parti civili, ad ottenere copia degli atti dal pm, relazioni tecniche comprese: rendendoli automaticamente pubblici. Un paradosso. Che in questo caso si è rivelato letale. «Le notizie però - giura Paolo Bassi, presidente della Bpm, e quindi parte civile, tra i pochi ad avere a disposizione la monumentale perizia - non sono uscite da noi». Ma nemmeno direttamente dalla procura. Anche il pm Targetti, che ieri ha incontrato l'avvocato Gilli, ha ribadito che Solito, durante il secondo interrogatorio come imputato (la prima volta venne sentito come semplice teste), il 4 giugno del 1996, fu informato dei capi d'accusa che lo riguardavano. Ma è stato a sua volta critico con il meccanismo del deposito atti: «Basterebbe prevedere per legge che sia il pm ad avvisare le parti e fornire loro gli atti». Come in realtà, ma ufficiosamente, spesso già succede. <(A me però - ha detto Gilli non va di muovermi come un carbonaro quando seguo la difesa di un mio cliente». Il problema è che a sconvolgere il condirettore generale della Bpm in pensione, non era tanto la richiesta di rinvio a giudizio quanto il contenuto della perizia, firmata dal consulente tenico della procura Gian Gaetano Bellavia, in cui forse aveva immaginato che la sua posizione potesse venire aggravata. Solito doveva rispondere, come gli altri 24 dirigenti imputati, di concorso in falso in bilancio per un buco di 400 miliardi, nato da un «matrimonio» sbagliato con la Ifm nel 1988 (che fallì l'anno dopo con un crack di 600 miliardi), scoperto dalla nuova dirigenza della Bpm nel 1993 e tenuto nascosto almeno 5 anni per diversi motivi: dalla richiesta di collocamento in Borsa (presentata proprio nel '93), ai finanziamenti «facili», sostiene l'accusa, concessi al gruppo Ferruzzi, fino alla paura di doversela vedere con i sindacati e dipendenti della banca che sono azionisti dell'istituto di credito e hanno potere di nomina dei propri dirigenti. 400 mibardi che, si dice, potrebbero nascondere di tutto: da scalate interne, agli incrementi retributivi, dalle speculazioni in Borsa ai finanziamenti ai partiti. Un'inchiesta partita con 60 indagati e 200 testimoni, i cui risultati sono ora contenuti in oltre 60 mila pagine. Paolo Colonnello Sconvolto dalla notizia delle 3000 pagine di analisi delle sue responsabilità Il procuratore di Milano Borrelli e la sede della Banca Popolare

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