BERTINOTTI FILM ROSSO

BERTIN/ÌTTI ìlm tKJsso Mentre esce «Cronache del terzo millennio»: il leader di Rifondazione racconta il suo cinema BERTIN/ÌTTI ìlm tKJsso PROMA ER una volta Fausto Bertinotti parla di cinema e l'occasione è una rarità: 1 nei successi comici e nello smarrimento del cinema italiano, l'unico film che si voglia politico, diretto dall'ultimo regista che si definisca comunista. Cronache del terzo millennio di Francesco Maselli trasforma la storia di un immenso edificio periferico popolato da centinaia di esclusi e di relitti della società minacciato di demolizione, e della lotta degli abitanti per difendersi, in una metafora anticapitalista precisa: la legge di mercato non è naturale né è il solo pensiero economico praticabile, i non-padroni che ne accettano la realtà di mercificazione violenta finiscono col diventare sfruttatori dei più poveri e col perdere se stessi. Dunque, polemica non tanto sotterranea contro il pds governativo e socialdemocratico, speranza tenace in un futuro comunista simboleggiato da giovani che ricominciano a studiare la lunga storia contraddittoria del movimento dei lavoratori: e una forma raffinatissima, quasi da teatro di ricerca espressionista, da rappresentazione di gironi infernali, da oratorio. Su questo film diverso da tutti interroghiamo il leader di Rifondazione comunista. Cosa le è piaciuto, in «Cronache del terzo millennio»? «Il fatto che sia così radicalmente controcorrente. Il discorso simbolico espresso attraverso la fisicità, i corpi delle persone, la materia dell'edificio, dei letti, degli oggetti. M'è sembrato un film filosofico». Non politico? «Politico alto, non intossicato da quella degradazione della politica, da quel suo dissolvimento, da quel suo limite tra i più drammatici che è la separazione dalla società. Mi piace che Cronache del terzo millennio veda l'intensità della presenza del lavoro nella vita delle persone, proprio adesso che il lavoro sembra cancellato e i lavoratori sembrano condannati all'invisibilità. Mi piace che il film ragioni su uno dei tratti caratteristici del nostro tempo: il nuovo processo di accumulazione, di globalizzazione capitalista, che pare cancellare la Storia, la geografia, le classi, le città, mentre al di là dell'apparenza ripropone il dominio dello sfruttatore sullo sfruttato». Per dire queste cose Maselli usa uno stile molto sofisticato, non facile. «E' in controtendenza tanto nelle idee quanto nella forma estetica. Gli auguro grande successo». Considera «Cronache del terzo millennio» un film di propaganda? «No. Si vedono i segni della ricerca: per fare propaganda devi sbandierare certezze e soluzioni che nel film non ci sono». Un film comunista? «Non so se per un'opera d'arte si possano usare definizioni simili. Se si potesse, direi un film neocomunista: nel senso della rifondazione e deU'irriducibilità al consenso apologetico all'attuale processo. Io l'avrei intitolato La periferia: il sistema capitalista precedente voleva integrare le persone-consumatori, allargare i propri confini; il sistema attuale espelle, spinge fuori; e soltanto in questa nuova umanità periferica sta una speranza». Ma lei ci va, al cinema? «Poco. Molto meno che in passa¬ to. E con dispiacere: amo moltissimo il cinema, amo pure il fatto fisico, la socialità dell'andarci. Appartengo all'esperienza dei cinefonim, la comunità del cinema è stata per me formativa quanto i film del neorealismo italiano, quanto Rossellini e Visconti». Cos'è per lei il cinema politico? «Adesso mi riesce difficile considerare i film politici o impolitici, d'autore oppure no, appartenenti a un genere o a un altro: rifiuto le classificazioni. Se penso al cinema politico possono tornarmi in mente La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, Il sospetto di Francesco Maselli, i film della Nouvelle Vague o di Ken Loach. Ma tenderei ad ac¬ cettare il fatto che possa essere politico ogni film che per forma, racconto o linguaggio propone un atteggiamento critico e non adattativo, che oppone resistenza». Ricorda il primo film che ha visto? «Ricordo i cinema all'aperto, le estati d'infanzia, lo schermo spiato dalla ringhiera di casa, il western con i cavalli, i vecchietti petulanti, gli spari, l'onore, la vendetta, la pianola, il grande paesaggio americano». Il suo attore prediletto? «Humphrey Bogart, naturalmente. Ma continuo a pensare che in questa predilezione ci sia qualcosa d'inesplicabile: magari mi piaceva soltanto per l'eleganza d'un gesto, per il modo ^d'accendere una sigaretta. Ama' vo anche Gerard Philipe eroe spadaccino, con quelle gran maniche bianche svolazzanti...». L'attrice più amata? «Marilyn Monroe, naturalmente». Il comico preferito? «Totò, naturalmente. Lo adoro, conosco benissimo quasi tutti i suoi film. Chaplin o Buster Keaton ci piacevano, da ragazzi, perché ci dovevano piacere. Totò ci piaceva perché non sembrava colto, ci piaceva e basta». Il cinema le pare ancora l'arma più forte? «Continuo a pensare che incida più nel profondo. Naturalmente la televisione ha il sopravvento, incrocia tecnologie nuove, è iì mezzo di comunicazione dominante. Ma nei film vedo la possibilità, d'un progetto più intenso che si sottrae alla omologazione, alla standardizzazione». C'è in Rifondazione comunista una politica culturale, una aggregazione di intellettuali e artisti paragonabile a quella del pei in passato? «No. Noi non possiamo avere una analoga capacità calamitante. Tutt'e due le parti sono ora più deboli. Rifondazione comunista è più debole perché non ha la forza di attrazione che il pei aveva come parte di un universo in cammino. Il mondo della cultura è più debole perché la modernizzazione capitalista tende a mangiarsi, a ridurre drasticamente tutte le autonomie; perché il sistema economico tende a invadere e a plasmare di sé ogni manifestazione umana. In passato, idee di innovazione della società sono venute dalla cultura, dalle case editrici, da gruppi di intellettuali che, adesso, stentano pure a tirare avanti. E' un processo da ricostruire con pazienza, a partire dalla mappa di chi sta fuori dal coro omologante». Lietta Tornabuoni «I miei attori prediletti? Bogart, Marilyn Gerard Philipe e naturalmente Totò» «Sono uno spettatore appassionato, amo il gesto fisico, sociale, di sedermi tra gli altri» «Ricordo i western con spari e vendette spiati dal balcone durante l'estate» A r e à: laia ea. io ma io ia oonti ra ge il ticaionto reoonalorerodei ada lito, iù ne oda a«Sono uno spettatore appassionato, amo il gesto fisico, sociale, di sedermi tra gli altri» «Ricordo i western con spari e vendette spiati dal balcone durante l'estate» BERì^d'accendere' vo anche spadaccinoniche biancL'attrice«Marilyn Mte». Il comico«Totò, natuconosco besuoi film. Cton ci piaperché ci Totò ci piacbrava coltoIl cineml'arma p«Continuo più nel prola televisioincrocia temezzo di cnante. Ma bilità, d'unche si sottralla standaC'è in Rnista unle, una tellettuanabile apassato? «No. Noi nuna analo zione rBERTIN/Ì