OSSERVATORIO un mese soltanto per evitare il caos di Aldo Rizzo

OSSERVATORIO OSSERVATORIO Un mese soltanto per evitare il caos GGI a Roma si fa il punto sulla crisi albanese, quando mancano 34 giorni alla data prevista per le elezioni, che dovrebbero rappresentare la svolta decisiva verso il ritorno alla normalità. Trentaquattro giorni! Come pensano Prodi, Fino e Vranitzky, in così breve lasso di tempo, di risolvere, ciascuno per la sua parte (l'Italia, il governo di Tirana, l'Organizzazione per la sicurezza europea), gli enormi problemi ancora aperti? Non è una critica, e neanche una dichiarazione «a priori» di scetticismo, ma proprio una domanda, che in un certo senso rivolgiamo a noi stessi, come opinione pubblica. Ci mancava pure il caso Foresti, l'improprio colloquio telefonico attribuito al nostro ambasciatore da un neonato quotidiano albanese (nonostante tutto, nascono quotidiani a Tirana...). Il caso resta dubbio e anche misterioso, ma bisogna dire che anche le spiegazioni di Foresti non sono apparse finora di una chiarezza folgorante. Nell'incertezza, non c'è che il richiamo del diplomatico, tanto più che la sua sostituzione, per altro e non minore incarico, era da tempo prevista. Certo, anche questa decisione non è semplice. Se Foresti può aver dato l'impressione di essere un po' troppo dalla parte del presidente Berisha e del suo cosiddetto «partito democratico», mentre la condizione essenziale della mediazione italiana non può non essere la più assoluta neutralità, una sostituzione troppo brusca dell'ambasciatore può sembrare un'apertura, anch'essa sbilanciata, ai socialisti, per non parlare dei famosi o famigerati «comitati» del Sud. E tuttavia, fatti i conti, conviene che il cambio della guardia avvenga al più presto, diciamo prima, magari appena prima, della data elettorale, per non offrire pretesti agli «elettori» più facinorosi, per di più dotati di «Kalashnikov». Il caso Foresti porta al caso Berisha. Il presidente in carica non è esente da critiche e sospetti, tutt'altro. Ma sorprendono le dichiarazioni di un autorevole esponente della politica italiana, il presidente della Commissione Esteri della Camera Achille Occhetto, secondo il quale l'Italia avrebbe I dovuto procedere per tempo I alla «destituzione» di Berisha, come contributo al «disarmo» e alla pacificazione. Dice: «Attraverso un'azione diplomatica». Ma quale? Come si può destituire il capo di uno Stato estero per via diplomatica, cioè senza ricorrere ai metodi sbrigativi di un protettorato militare? I misteri non sono solo a Tirana, ma anche a Roma. Il vero problema, tuttavia, resta quello di come organizzare elezioni regolari o almeno decenti in Albania in trentaquattro giorni, mentre Berisha si dichiara «incompetente» a revocare lo stato di emergenza, decretato da un Parlamento da lui sciolto, e i suoi avversari a loro volta pretendono il controllo duetto di almeno l'ottanta per cento dei seggi da parte della Forza multinazionale (seimila uomini) e degli osservatori dell'Osce (duecento). Per non parlare dei comitati armati del Sud, che pretendono tutto e il contrario di tutto. Il premier Fino, che sembra quanto meno una brava persona, ha saggiamente lanciato un appello a Berisha e ai suoi e agli armati del Sud e anche del Nord, per un «patto di pace» che consenta le elezioni. Questo patto è l'obiettivo, tuttavia molto difficile. E torniamo agli incontri odierni a Roma, che preparano una conferenza internazionale per il 18 giugno, undici giorni prima della scadenza elettorale. Bene ha fatto il nostro governo a indire queste riunioni, affinché sia chiaro che l'Italia (incidenti di percorso, teorici e pratici, a parte) fa ciò che può e che deve fare, essendosi assunta la guida dell'operazione «Alba», ma che il problema generale di un'area nevralgica e nevrotica dei Balcani non può essere lasciato per intero o quasi sulle sue spalle. Il ministro degli Esteri Dini ha già detto che il ruolo dell'Unione europea in questa vicenda è stato «fortemente inadeguato». Osservazione giusta, da far valere. Aldo Rizzo zoj mm