Viaggio nella Repubblica del Nord di Paolo Colonnello

Viaggio nella Repubblica del Nord Viaggio nella Repubblica del Nord Tra «gazebi» e pasticcini, arriva la «secesiùn» ORE 9,30, Rovetta, Alta Val Seriana. Caffè e secessione. Anzi «sicissione» o «successione», variante: «sucesiun». «Da dove viene lei piove? Si vede che non è di qua». Nel baretto sulla statale che porta al Passo Presolana, cuore del cuore della Padania, montana, la colazione a quest'ora, si capisce, è roba da stranieri. Anche se è domenica e fuori piove. Il ragazzo del bancone è svelto: «Milanese, eh?». E ingaggia un duetto con la madre sull'indipendenza della Padania. «Ah, è qui per la sucesiun. Cosa dice lei, 'sto Bossi è un po' sputtanato, eh? Per voi è così, ma veda, non è una questione di sicissione, è che noi qui non ne possiamo più di pagar tasse. Qui nell'Alta Bergamasca ci vorrebbe l'autonomia, come la Val D'Aosta. Tenga lo scontrino». Duecento metri più avanti, puntuali come svizzeri, i padani della Lega han sistemato il «gazebo» (variante: «gasebo») per i referendum. E c'è già una piccola coda di votanti. Si fermano le auto dei valligiani come quelle dei villeggianti milanesi: una firma e una protesta. «Prodi ride? Beh, qui ci son già 100 firme, e sono solo le 10, se si moltiplica per i 13 mila banchetti sparsi per la Padania... Vediamo se il Violante dice ancora che siamo un'infima minoranza». Arriva un signore baffuto con figlio: «Vuol vedere la mia tessera? Guardi, guardi qua». Apre un'agendina e mostra il santino di Mussolini in saluto romano: «L'è ura che la pianta de rumpi i ball. E' ora di finirla con questi ladroni. Dentro tutti, meno Bossi». L'occhialuto volontario della Lega protesta: «Ma proprio quello con l'immaginetta del Duce doveva intervistare?». Ore 11, elusone. Il viaggio in Padania, nella domenica del referendum di Bossi, continua. Pochi chilometri più in basso, nella cittadina che ospita uno dei più rinomati festival jazz d'Italia, è il gentilissimo vicesindaco Sergio Giudici, con assistente bionda in camicia verde, a gestire il banchetto. «Siamo già a 200 firme, noi qui vorremmo la Repubblica autonoma della Bergamasca», dice. Nella minuscola e antica piazzetta del centro, Giudici più che raccogliere firme accoglie amici ed elettori: «Condoglianze per il papà, signora... Dottore che piacere vederla... Giovanni salutami lo zio...». Spiega: «Queste zone sono sempre state casseforti de. Ma ai voti che prendevano non corrispondevano gli impegni: qui dovevano fare una ferrovia, un'au- lostrada, perché il turismu c'è, però a volte bisogna fare tre ore di coda per arrivare da noi. Giusto signora?». La signora, con coniuge, annuisce ma è un po' critica: «Bossi non mi convince, però questo è un voto di protesta. Anche lui, in fondo, con il suo modo di fare ha consegnato il Paese alle sinistre». Ma a lei piacerebbe separarsi dall'Italia? «Noo, tutto sommato mi sento ita • liana, anche se continuando così diventeremo l'angolo dell'Europa da scartare». Ore 11,30, Albino. Il gazebo sta sulla strada per entrare nella valle, presidiato da tre camice verdi, con tanto di baschetto e stemmi. Si fermano i motociclisti con fidanzata al seguito. La giovane leghista vorrebbe anche raccontare, ma un gigantesco padano motorizzato e in divisa verde, la blocca: «Sssst. Dig ment, dig nient a cheschì. Se vuole le notissie che vada dai capi, giù a Bergum». Ore 12, Bergamo. Arrivando dalla valle Seriana è impossibile non notarlo: il gazebo è sistemato in un distributore di benzina: «Si fermano un sacco di automobilisti», dice con candore un attempato volontario. Per la benzina o per firmare? «Per firmare, no? Siamo già a 180». All'ingresso della città alta si superano le più rosee previsioni: passato mezzogiorno le firme sono già 400. «Vedrete che pieno nei nostri 28 banchetti», gongola il giovane «presidente» di gazebo. «La maggioranza vota per il sì all'indipendenza senza nemmeno andare in cabina». Ma davvero volete l'indipendenza? «Perbacco, ci credo fermamente - risponde Giuseppe, imprenditore - anche se da questo referendum mi aspetto solo che si smuova qualcosa. In Italia bisogna chiedere 100 per ottenere imo». Ore 15, Arcore. Dalle valli alle pianure della Brianza, quelle operose del Cavaliere. «No, qui il Berlusca non ha firmato, ma magari ha firmato a Milano», spera un «gazebista» piazzato a meno di 100 metri dalla villa di Berlusconi. «Ad Arcore non lo vediamo mai, lui viaggia in elicottero. Io l'ho incontrato solo una volta 10 anni fa in un bar, era con Geir Ar, quello delle telenovelas.». Ore 16, Monza. «Io firmo ma non voglio la secessione, è per protesta, ormai viviamo in casa barricati: gli albanesi, gli zingari. Loro hanno dei problemi? Va bene, ma risolviamoli a casa loro. Questo per gli albanesi. E gli zingari? Lo sa che vanno in giro in Mercedes? Vengono da là, da Montenero (Montenegro, ndr)». Ore 17, Milano, Città Studi. Al banchetto di piazza Piola, esultano: «(Abbiamo superato quota 400 e sta andando bene ovunque in città». Una signora porta i pasticcini. Un altro, impiegato Enel, teorizza: «Io sono per la secessione, sono convinto che sia un bene anche per il Sud. Anzi meglio per loro, che essendo più intelligenti, dovendosela cavare, verrebbero fuori meglio». Paolo Colonnello

Persone citate: Berlusconi, Bossi, Duce, Mussolini, Rovetta, Sergio Giudici