Ho votato dieci volte: 5 sì e 5 no

Ho votato dieci volte: 5 sì e 5 no Non è stato difficile perforare i «controlli» di presidenti e scrutatori nei seggi Ho votato dieci volte: 5 sì e 5 no HO votato dieci volte. In dieci seggi diversi, dalle 11 alle 2 del pomeriggio, in centro a Torino. Per dieci volte, dieci presidenti dei «gazebo» padani mi hanno chiesto la carta d'identità e mi hanno registrato negli appositi modelli: «Nome, cognome, data di nascita e residenza». Primo voto. Piazza San Carlo, sta per piovere, sono le 11. Sotto il telo bianco il presidente di seggio sta vidimando ansiosamente decine e decine di schede verdi, pronte per essere votate. C'è la fila. Signore ingioiellate e profumate appena uscite da messa, mariti che chiedono informazioni su quanti hanno votato e su come si esprime il voto per il premier del governo padano. Il precedente del seggio, elegante signore di una certa età che fuma sigarette con un bocchino scuro, consegna la scheda che ha appena siglato di lato, e invita ad accomodarsi nella ((gabina di cartone» in un angolo del gazebo. Mi iscrive al numero 176 dell'elenco dei votanti. Piazza Castello, ore 11,20. Qui l'elettore è accolto niente di meno che da un membro del governo padano, l'onorevole Mario Borghezio strabordante di sorrisi e di verde (cravatta a pois, fazzolettino, penna, distintivo). Un giovane presidente di seggio, aiutato da tre segretari, scrive i dati al numero 107 del registro. Come mai così pochi votanti? «Macché pochi - rispondono in coro - portiamo via le schede continuamente e riempiamo sempre nuovi modelli». Borghezio, intanto, firma copie della Padania a signore felici. Per il voto e per l'autografo. Il terzo voto in piazza del Municipio. Gazebo deserto, presidente di seggio un po' malinconico, piove. Le generalità finiscono alla linea 29 del registro. «Mi raccomando, voti anche per il presidente del governo, che è importante». In piazza del Duomo ha smesso di piovere. Dentro il seggio di cartone c'è una discussione animata fra quattro leghisti, che dibattono su come chissà chi è stato cacciato da chissà dove. E' quasi una baruffa padana, anche se sono tutti d'accordo sul fatto che «è una vergogna». Altro gazebo, altro voto. Il quinto, a Porta Palazzo. Il seggio è piantato in mezzo al territorio «nemico». Dall'altra parte della via c'è il bar pieno zeppo di marocchini, e votando si ha l'impressione di essere guardati storto da venti occhi che spuntano oltre la strada. Il presidente è molto gentile: «Guardi che può anche votare no, se vuole», dice iscrivendomi a linea 110 del registro. Grazie e arrivederci. Vicino a piazza della Consolata il verde trionfa in tutte le sue tonalità. Gli adesivi appiccicati al gazebo, il nastro adesivo che tiene insieme l'urna e l'improbabile seggio, i calzini di uno dei segretari, il foulard di una signora, il completo in fresco lana di un elettore. Le generalità finiscono (con una penna a sfera verde) vergate al numero 10 del registro. Il settimo voto quasi in piazza Statuto, via Garibaldi. Poca gente. Uno sta votando, uno aspetta in coda, arriva una signora con un barboncino nero. Berto (versione padana del più noto Bobby?) non si tiene, e la fa proprio al confine del gazebo padano. La padrona evita il rimprovero tirando fuori dalla borsetta un fazzolettino di carta. Può votare. I votanti sul registro sono già 99. Nel seggio a metà via Garibaldi, deserto, c'è una presidentessa con unghie smaltatissime blu cobalto e immancabile fazzolettino verde. Non ritiene necessario invitare l'elettore padano a infilarsi nel cartone: «Tanto - dice uno che forse la sta aiutando - votiamo tutti allo stesso modo, no?». Nono voto. Via XX Settembre. Sessanta nomi nel registro, scarsa affluenza, un presidente tuttoverde: giacca, cravatta, camicia, fazzoletto, distintivo, calzini. Chissà il resto... L'ultimo voto al parco del Valentino, ponte levatoio del Castello Medievale. Un ragazzo e una ragazza, sembrano gli ambulanti che affollano i mercati rionali: «Votate per la Padania, votate per la Padania». Passano due sposi. Lei con strascico infinito, lui in nero e occhialini. La sposa passa oltre e si ferma un attimo, con l'aria di chi, forse, ha una mezza idea di votare. «Ma dai, che è una boiata» fa lui. L'ha convinta, e tirano dritti. La prima crisi matrimoniale, nel nome del Senatur, è scongiurata. Due voti in meno. P.S.: per non far invalidare l'esito del sondaggio, dirò come ho votato: 5 volte sì, 5 volte no. Il referendum è salvo, via con lo scrutinio. Flavio Corazza Bastava esibire un documento per il via libera alla «gabina»

Persone citate: Berto, Borghezio, Flavio Corazza, Mario Borghezio, Nono

Luoghi citati: Torino