Bravo Presidente, autogol

Bravo Presidente, autogol Bravo Presidente, autogol Le Pen in crescita: lo manderemo a casa «Les Frangais d'abortì», «Prima i francesi». Arriva il numero 3, Bruno Gollnisch, a omaggiare il capo, chiamandolo con il nome di battaglia deUa campagna, «Zorro». «Zorro - spiega Le Pen - è sempre inseguito dai gendarmi spagnoli perché è un vero giustiziere. Come me». In effetti i gendarmi, quelli veri, sono stati sulle tracce di qualche candidato che stasera brinda. Come Hubert Massol, presidente dell'associazione «Pétain», l'uomo che nel '72 trafugò le ceneri del Maresciallo. Jean-Jacques Susini, l'ideologo Oas che tentò di assassinare de Gaulle in nome dell'Algeria francese. E Francois-Xavier Sidos, ex braccio destro del golpista di professione Bob Denard. «Il 90% dei politici andrebbero arrestati, e molti impiccati», ringhia Le Pen: ma non allude ai suoi, bensì agli odiati gollisti. «In un Paese civile quest'uomo sarebbe in galera», mormora l'inviato di un quotidiano gauchiste. Invece quest'uomo, stasera, è al massimo storico. Quindici francesi su cento han¬ no votato per lui. «Una vittoria straordinaria». Soprattutto, Jean-Marie Le Pen è l'arbitro delle elezioni. Centinaia di suoi candidati, quelli che hanno raccolto almeno il 12,5% (la percentuale non si calcola sui votanti ma sugli iscritti ai registri elettorali) potrebbero partecipare al secondo turno. «E lo faranno, senza eccezioni. Anche se questo avrà conseguenze drammatiche per i candidati della destra di governo. Anzi, proprio per questo». Il coro, ottimista: «Chirac a casa». Allora è vero che Le Pen sogna un Parlamento di sinistra. «Questo lo dice lei. Io dico che una vittoria della Gauche segnerebbe il fallimento della politica europeista del Presidente. E io auspico che Chirac fallisca. Chirassic Park deve chiudere». Il coro, esagerato: «JeanMarie all'Eliseo». Nella sede del Front National, a Saint-Cloud, banlieue ricca di Parigi, a 500 metri da casa Le Pen (una villetta liberty nel parco), ci sono tricolori ovunque (almeno sette, compreso quello nella toi- lette), foto del capo con il Papa, Reagan e Prost, una statua di Giovanna d'Arco, camerieri in smoking tra cui un malcapitato senegalese, e militanti che applaudono, sbeffeggiano i volti smarriti dei capi gollisti che passano in tv, urlano «untore» al socialista Fabius, il premier dello scandalo del sangue contaminato. Le Pen impugna due telefonini: sono i candidati che gli danno notizie. Lui, istrione, commenta a alta voce davanti ai giornalisti, che chiama «gazzettieri»: «A Orange il nostro sindaco, Jacques Bompard, è in testa. A Marsiglia il mio vice, Bruno Mégret, è al 36,1%. Nelle Yvelines mia figlia, Marie-Caroline supera il 38%». E gli altri, gollisti, socialisti? «Sono 40 anni che a ogni elezione li sento dire di aver vinto, e ogni volta resto stupefatto come fosse la prima». I redattori di «Les Francais d'abord» gli si stringono attorno. Ma stasera Le Pen non ha una parola contro neri e maghrebini. Con le leggi Pasqua-Debré, il governo ha giocato d'anticipo, recependo alcune proposte e soprattutto l'istanza anti-immigrati che aveva fatto le fortune elettorali del Front. Stavolta la campagna di Le Pen è stata giocata tutta sul fronte della nazione, che «Zorro» si impegna a salvare dalla dissoluzione nel Moloch di Maastricht, dipingendo un'atmosfera da ultimi giorni della Francia: «Una nazione prigioniera dei tecnocrati, ingannata dai media, umiliata dai politici. Vogliono commettere un crimine: cancellare duemila anni di storia. Solo io voglio impedirlo. Un altro bicchiere, prego». Aldo Cazzullo «Ai ballottaggi ci saremo anche noi e saremo cruciali» Il leader del Front National Jean-Marie Le Pen al voto DEumniADESTRA NELLA SEDE PARIGI DAL NOSTRO INVIATO Jean-Marie Le Pen avanza a fatica in un mulinio di pacche, rifiuta lo champagne, si versa sogghignando un bicchiere di «vin mousseux», frizzantino, e proclama: «Brindo al gemale capitano che ha condotto la nave nelle secche». Gli risponde un grido: «Chirac a casa!». Le signore in abito bianco e bracciali vistosi lo abbracciano, Jany, la moglie, in blu e bottoni d'oro, gli salta al collo. Lui, prontissimo: «Sì, Chirac deve andarsene. Un altro bicchiere, prego». Il più a sinistra tra i signori in doppiopetto che levano i calici nega l'Olocausto. E' Eric Delcroix, condannato nel '96 dal tribunale di Parigi per aver definito un «mito» lo sterminio degli ebrei. Alla sua destra, Xavier Scheiter, candidato a Parigi, nipote dello storico revisionista Robert Faurisson. Al centro, i redattori del bimensile del Front National, dalla simpatica testata

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