«Maastricht, l'Italia e l'Avvocato»

«Maastricht, PHufia e PAwocato» DALLA PRIMA PAGINA Cesare Romiti, presidente della Fiat, torna a parlare dopo mesi di silenzio e racconta i suoi piani «Maastricht, PHufia e PAwocato» «Oggi dobbiamo entrare fra i primi in Europa» LROMA A riflessione riparte in pratica da dove si interruppe sul finire dello scorso anno, cioè dall'Unione monetaria, dalle sue grandi opportunità ma anche dalle sue crescenti difficoltà. «Non voglio rinvangare il passato - esordisce il presidente della Fiat - ma in questa rincorsa verso Maastricht, da quando l'Italia cambiò strategia dopo il vertice di Valencia con Aznar, io vedo il Paese trasfigurato, come fosse una persona che tenta di saltare da un palazzo all'altro, senza avere sotto di sé alcuna rete di protezione. Il rischio che abbiamo assunto è molto elevato, perché se si cade senza rete ci si sfracella». Romiti riprende così un concetto che gli è caro fin dal meeting ciellino di Rimini dell'estate scorsa: non era meglio negoziare con i partner un ingresso posticipato nell'Euro, approfittando del fatto che, per legge, le pensioni non potevano esser toccate fino al '98? Si può considerare» quello, un «peccato originale»? «Resto convinto di sì - dice - e man mano che passano i giorni la mia convinzione aumenta». Fu bollato come «sfascista», leader degli euroscettici e del «partito della svalutazione». Ma ci tiene a ripetere che quelle accuse furono ingenerose e false, perché lui in Europa ci voleva entrare allora come ci vuole entrare oggi, a condizione che questo non avvenga con un «Paese spossato». E per confermarlo, ora è pronto ad aggiornare il suo giudizio: «Ormai fermare il treno in corsa non si può più. Al punto in cui siamo arrivati è giusto tentare tutti gli sforzi possibili per entrare con i primi in Europa, proprio perché questo avviene in un clima di crescente nervosismo internazionale». Il Romiti di oggi va oltre ed auspica addirittura un'accelerazione del processo di integrazione: «Sarebbe preferibile anticipare la decisione su chi entra e chi no, fissata alla primavera del '98, per evitare che in qualche Paese si diffonda la tentazione di un rinvio: il rischio di attacchi speculativi sui mercati, altrimenti, sarebbe elevatissimo, in particolare per l'Italia». Altra questione è se poi i nostri sforzi saranno coronati o no dal successo: «Me lo auguro di cuore», assicura il presidente della Fiat. Così come altra questione è se il resto dell'Europa marcocentrica ci voglia imbarcare o no: «Io credo che, quando l'anno prossimo si stabiliranno gli "ins" e gli "outs", la prima scrematura sarà fatta solo sui numeri, cioè sul rispetto dei criteri del Trattato. Poi si giudicherà la "tenuta" del risanamento di ciascun Paese ed entreranno in ballo valutazioni di ordine più politico: la stabilità dei governi, l'efficienza delle pubbliche amministrazioni, la presenza dello Stato nell'economia, il costo dei sistemi di protezione sociale». E questo è campo minato per l'Italia, perché secondo il presidente della Fiat «non c'è all'estero un sentimento anti-italiano, anzi ci giudicano simpatici, brillanti ed efficienti, ma c'è preoccupazione per i difetti storici della nazione. Ed è difficile dar torto all'uomo della fi t La sendolorosa pIo considela condan strada tedesco, abituato ad avere in portafoglio l'amato marco che l'ha salvato dalla super inflazione del dopoguerra». E' insomma l'eterno problema italiano «della credibilità e dell'affidabilità». E' il nostro punto debole perché - sostiene Romiti - «i politici parlano linguaggi spesso non coerenti». Sulle pensioni, sul lavoro, sugli interventi per l'economia la maggioranza fatica ad esprimere una linea chiara e questo rende più impervio il nostro cammino verso Maastricht. Anche se non lo dice, per Romiti come già per Giorgio Fossa all'assemblea della Confindustria di giovedì scorso l'ostacolo ha un nome e un volto, quelli di Fausto Bertinotti. E anche in questo caso, per Romiti c'è un secondo «peccato originale» nel passato, dal quale derivano le difficoltà di oggi: «Le forze dell'Ulivo sbagliarono all'inizio, associando Rifondazione senza mettersi d'accordo prima sui punti principali e irrinunciabili del programma di legislatura». Adesso è troppo tardi. E così la maggioranza si sfibra, negoziando una «pratica» dopo l'altra, giorno per giorno. Va bene o va male? «Io dò atto al governo di aver perseguito il risanamento senza addossarne il peso alle classi più deboli - pre- tenza di Torino è stata più che traumatica ro davvero ingiusta na che ho avuto j j mette il presidente della Fiat ma siamo alla vigilia di decisioni importanti, che possono essere cruciali per l'ingresso in Europa con i primi». Dal Dpef al piano di convergenza, dalla Finanziaria alla trattativa sul Welfare. Secondo Romiti il governo dell'Ulivo ha raggiunto risultati apprezzabili sul deficit e l'inflazione, ma ora è al punto critico: serve l'ultimo colpo di reni, e in tempi molto stretti, altrimenti si vanifica l'enorme sacrificio a cui il Paese è sottoposto. «Se la maggioranza trova un buon accordo su questi problemi va bene, altrimenti il governo si assuma la responsabilità di elaborare un progetto, lo presenti in Parlamento e lì si vedrà chi è pronto a votarlo». Sembrerebbe una riedizione della formula politica delle «larghe intese», che per mesi è stata considerata l'obiettivo vero delle spallate degli industriali al governo e che è tornata ad aleggiare anche all'assemblea confindustriale. «E' una vecchia storia, che non mi stancherò mai di smentire: gli industriali non hanno mai voluto sovvertire gli equilibri politici. Vogliono solo che il governo faccia le scelte riformiste di cui c'è bisogno». E qui il messaggio, oltre che al premier, va al leader del pds: «L'opinione pubblica ha guardato con simpatia e speranza alle istanze innovatrici della sinistra di cui D'Alema si è fatto portatore: ma i fatti degli ultimi mesi fanno temere qualche battuta d'arresto». Anche questo deve aver contribuito a moltiplicare le incomprensioni degli imprenditori con il centrosinistra, che restano tante. «E' vero, ma io ho notato da un lato una suscettibilità eccessiva dei parti¬ ti della maggioranza, che vivono ogni critica come un atto di ostilità, quando invece la dialettica è un aspetto fisiologico in una società aperta é in una democrazia matura. Dall'altro lato c'è stata, in effetti, qualche frase eccessiva da parte di noi industriali». Per chi ha memoria, un esempio lampante è quell'«ora1 tocca a*«Ì>'Alema» pronunciato un mese fa dal presidente della Pirelli. «E' stata un'uscita personale di Tronchetti che io non ho condiviso - ammette Romiti - non spetta a noi indicare i presidenti del Consiglio. Comunque mi sembra che la fase di scontro frontale sia passata». E' un auspicio, perché c'è bisogno di un dialogo costruttivo: «Il Paese continua ad avere un disperato bisogno di sviluppo e l'economia non sembra mostrare sintomi di risveglio. Lo stesso calo record dei prezzi è dovuto sì alla politica antinflazionistica del governo e al rigore della Banca d'Italia, ma non si può negare che abbia un nesso anche con la debolezza della congiuntura». Insomma, da via Bissolati «la ripresa, in Italia, ancora non si vede». Con un'eccezione per l'auto. E in questo, faccio notare al «Dottore», gli aiuti del governo per la rottamazione hanno giocato un ruolo importante sul mercato italiano, benché anche lo Stato ne abbia tratto un saldo finanziario positivo. «Queste forme di sostegno vanno giudicate per i risultati che danno sostiene Romiti - per questo andrebbero estese ad altri settori, per esempio gli elettrodomestici, le due ruote, l'edilizia». E' così che il colloquio, dopo la riflessione sui massimi sistemi, ripiega sulla Fiat e Romiti - pacato sui temi della politica - risfodera la sua proverbiale grinta di capo-azienda, che si accinge a presentare i conti ai suoi azionisti: «Il 16 giugno gli parlerò di una Fiat mondiale, che cresce sui mercati internazionali, che continua ad investire, che fa ricerca e crea valore per i suoi azionisti: un'azienda che può contare su un management e su risorse umane di prim'ordine. Gli parlerò del bilancio del '96, che come è noto è largamente positivo, anche se a formarlo hanno contribuito un certo numero di plusvalenze». E per il '97 - aggiunge - «allo stato delle conoscenze posso prevedere che si annulleranno i debiti, la posizione finanziaria sarà attiva e il risultato non sarà inferiore al '96, anche senza contare sulle plusvalenze dello scorso anno». Plusva¬ Mi MedioNon direi. con qualitmigliori ba lenze di cui Romiti comunque va fiero, perché legate ad operazioni che hanno dato lustro e liquidità al gruppo, come la quotazione della New Holland a New York e la cessione della Prime al gruppo Generali. Siamo così alla cronaca economica più recente. Anch'essa intessuta di momenti difficili per il Dottore. Come l'affare Marzotto-Hpi, ad esempio: «Io non capisco cosa abbia spinto Marzotto ad uscire - ragiona lui - visto che l'operazione era più utile, economicamente e patrimonialmente, per gli azionisti del suo gruppo che non per quelli di Hpi. Mi dispiace, questo sì, anche se ora banca in declino? Dispone di uomini à paragonabili ai anchieri del mondo y j dobbiamo guardare al futuro e non al passato». Ma questo fallimento di uno dei più ambiziosi «disegni» di Mediobanca, insieme a quello su Supergemina o sull'affare Ambro-Cariplo concluso a danno della Comit, non segna forse il declino di Cuccia e il tramonto di un'epoca, di un modello di capitalismo? «A Mediobanca e ai suoi uomini mi legano stima, amicizia e rispetto - commenta Romiti -. Sono uomini le cui qualità professionali non hanno nulla da invidiare ai migliori banchieri del mondo. Il rapporto con loro non è cambiato e non cambia alla luce di questi fatti, che sono il fisiologico effetto della concorrenza che cresce in Italia. Ma di qui a dire che Mediobanca è finita ce ne corre!». In realtà, ripete Romiti, la speranza è che di Mediobanche ce ne siano sempre di più: «A una condizione però - aggiunge - e cioè che a crearle sia il mercato e non i disegni politici». Non lo dice, il presidente della Fiat, ma par di capire che si riferisca alle recenti operazioni sulle banche. Ad esempio quella del San Paolo, che le cronache descrivono ispirata dell'asse cattolico Scalfaro-Fazio-Prodi? Romiti non vuole entrare nella polemica: «L'Avvocato Agnelli, presidente dell'Ifi - si limita a dire -, nell'informarmi dell'operazione mi ha chiarito che l'ingresso di Ifi-Ifil nel San Paolo ha le caratteristiche di una pura partecipazione finanziaria, che può accrescere molto il suo valore. Stesso discorso per la partecipazione acquisita nel capitale Fiat: l'Avvocato mi ha chiarito che non comporterà in futuro nuovi ingressi in consiglio Fiat». Il futuro, appunto. Ma cosa vede nel futuro il manager abi¬ tuato a combattere con le crisi e con la shumpeteriana competizione di ogni giorno, ora gravato per la prima volta dal peso di una condanna che può gettare un'ombra sul suo lungo e celebrato cursus honorum?«E come ha vissuto l'uomo, uno dei più potenti in Italia, questa vicenda così traumatica? «Più che traumatica - dice - per me è stata molto dolorosa: affermare che la sentenza non mi abbia colpito duramente equivarrebbe a negare la realtà. So che è una frase scontata e ripetuta da tutti coloro che si sono trovati nella mia situazione, ma io considero davvero ingiusta quella condanna. In 4 anni di iter giudiziario ci sono state cose che mi hanno lasciato perplesso, sia nella fase dell'indagine, che in quella del processo. Malgrado questo, oggi ho di fronte a me una sentenza che per la mia cultura e la mia educazione ha un carattere quasi di "sacralità". E allora reagisco con l'unico strumento che mi consente la legge, il ricorso. Al giudice di secondo grado voglio dire ancora molte cose, chiarendo ulteriormente quanto ho già sostenuto: ripeterò che non si può imputare, in un bilancio consolidato, al capo di un gruppo formato da 1100 società una responsabilità penale perché quattro o cinque di esse avevano fondi non denunciati nei rispettivi bilanci, a mia totale insaputa». Dal particolare al generale, dal caso Fiat a una legge che in molti vorrebbero cambiare, a tutti i tentativi abortiti, da Tangentopoli in poi, per la comprensibile «sindrome da colpo di spugna». Sul falso in bilancio è in corso da tempo un ampio dibattito, che ha visto il contributo più recente di grandi esperti, dal professor Giovanni Colombo a Pellegrino Capaldo. «Io penso che il falso in bilancio debba restare un reato - dice Romiti - e che vada trattato in quanto tale, cioè punendo chi ne è responsabile. Il problema è che nel codice esiste dal '42, ma non è stato mai applicato, se non in alcuni casi di bancarotta fraudolenta. Penso che il legislatore dovrebbe definire meglio la fattispecie del falso in bilancio e quindi precisare quando rientra nella categoria dell'illecito. Specie poi quando si tratta addirittura di bilanci consolidati». Difficile immaginare se matureranno mai le condizioni politiche, per una svolta del genere. Nel frattempo, a smuovere le acque è stata quella quarantina di industriali, banchieri e finanzieri, tra cui Enrico Cuccia, che dopo la sentenza scrisse a Romiti una lettera di solidarietà, scatenando l'ovvio tormentone di polemiche. Romiti sorride: «Sì, nei giorni successivi parlai con un personaggio autorevole, che mi disse: "Quella lettera ti ha nuociuto". Per chi l'ha voluta strumentalizzare come fosse una richiesta di depenalizzazione del falso in bilancio, forse potrebbe essere vero. Ma l'intento della lettera di sicuro non era quello. E comunque, posso soltanto dire che, in ogni caso, mi ha fatto molto piacere». Lettera a parte, la sentenza sembra oggi aver riaperto un capitolo che sembrava chiuso, nella secolare storia della Fiat: sui giornali mulina da giorni un turbinìo di ipotesi sui problemi della successione al vertice, tra Torino, Milano e Roma si diffondono scenari dalle tinte shakespeariane sullo scomporsi e ricomporsi di al- leanze, dentro la famiglia e fuori. Insomma, resta da capire se dopo la sentenza sia cambiato qualcosa per il presidente della Fiat, per i suoi destini nel gruppo, per i rapporti con Agnelli. Lui non si ritrae: «Come ha detto bene l'Avvocato, c'è qualcuno che tenta invano di creare contrasti. Posso dirle che con l'Avvocato non è cambiato assolutamente nulla e che i rapporti resteranno sempre eccellenti, qualunque cosa accada. Alle illazioni dei giornali non dò alcuna importanza. Io non modificherò di un^ virgola il mio modo di lavoiaic qui in Fiat: mi adopererò sempre per difendere la competitività del gruppo, accrescere la sua redditività e i suoi profitti, come ho fatto dal primo giorno in cui sono entrato qui, nel lontano 1974. Allora il fatturato era di 3800 miliardi e la capitalizzazione di Borsa di 363 miliardi: le previsioni per il il fatturato '97 sono intorno ai 90 mila miliardi e la capitalizzazione attuale è di 24 mila miliardi. Questo è stato il mio impegno e sarà così fino all'ultimo giorno». Ma quale sarà «l'ultimo giorno»? Coinciderà con l'assemblea del giugno '98, a cioè con il compimento de- _;uo settantacinquesimo anno d'età? Sarà prima, sarà oltre? Romiti, l'uomo d'acciaio che a Mirafiori sfidò i terroristi e piegò i sindacalisti nell'autunno caldo della Fiat, sorride di nuovo: «Gli anni passano...». Poi si riprende subito: «Ma sa, un conto è l'età anagrafica, un conto l'età che uno si sente dentro, le cose che ancora è capaco di fare. Vedremo: adesso sto in Fiat, e dopo...». Dopo cosa c'è? La politica, come si continua a mormorare? «Dopo chissà - conclude farò il nonno, il globetrotter, scriverò un libro...». Tutto è possibile. Ma dopo, dopo. Massimo Giannini U Su Stato sociale e occupazione il governo si assuma la responsabilità diportare un progetto in Parlamento Poi in aula vedremo chi lo voterà Ull 16 giugno all'assemblea degli azionisti parlerò di una Fiat mondiale che cresce sui mercati internazionali Per il 1997 prevedo un fatturato di 90 mila miliardi fi t La sentenza di Torino è stata dolorosa più che traumatica Io considero davvero ingiusta la condanna che ho avuto j j Mi Mediobanca in declino? Non direi. Dispone di uomini con qualità paragonabili ai migliori banchieri del mondo y j blea onisti i una Fiat e che cresce ati onali 7 ato di 90 ardi quando lascerò la guida Fiat? Farò il nonno, il globetrotter o scriverò un libro... ijjj ombattere i e con la ana comdi ogni a gravato a volta dal a condanna gettare sul suo celebrato norum?«E ssuto l'uoei più polia, questa sì trauma che trauce - per me lto doloroare che la on mi ab duramenebbe a neltà. So che scontata e tutti coloono trovati ituazione, ma o davvero inella condanna. di iter giudiziastate cose che mi ciato perplesso, fase dell'indagine, ella del processo. questo, oggi ho di e una sentenza che cultura e la mia edu un carattere quasi tà". E allora reaginico strumento che e la legge, il ricorso. di secondo grado voancora molte cose, ulteriormente già sostenuto: ripeon si può imputare, ncio consolidato, al gruppo formato da età una responsabie perché quattro o esse avevano fondi nciati nei rispettivi mia totale insaputa»presidente della Fiat Cesare Romiti leanze, dentro la famiglia e fuori. Insomma, resta da capire se dopo la sentenza sia cambiato qualcosa per il presidente della Fiat, per i suoi destini nel gruppo, per i rapporti con Agnelli. Lunon si ritrae: «Come ha detto bene l'Avvocatoc'è qualcuno che tenta invano di creare contrasti. Posso dirle che con l'Avvocato non è cambiato assolutamente nulla e che i rapporti resteranno sempre eccellenti, qualunque cosa accadaAlle illazioni dei giornali non dò alcuna importanza. Io non modificherò di un^ virgola imio modo di lavoiaic qui in Fiat: mi adopererò sempre pedifendere la competitività degruppo, accrescere la sua redditività e i suoi profitti, come ho fatto dal primo giorno in cusono entrato qui, nel lontano 1974 Allora il fatturato era d li presidente onorario di Mediobanca Enrico Cuccia Nella foto in alto l'Avvocato Giovanni Agnelli con il premier Romano Prodi presidente della Fiat Cesare Romiti u Cosafarò quando lascerò la guida Fiat? Farò il nonno, il globetrotter o scriverò un libro... ijjj